Per tutto l’entusiasmo che può suscitare nel pubblico ed il senso d’empatia derivante da uno spettacolo di questa insolita tipologia, non è sempre necessariamente semplice comprendere le implicazioni a livello del comportamento animale, l’educazione impartita e la predisposizione genetica di coloro che rendono gli specifici desideri del pastore, verità. Impartendo una direzione, persino l’attrazione gravitazionale, nei confronti di creature per cui muoversi in maniera caotica è una semplice parte dell’esistenza. Finché il prefigurarsi di una sagoma sul tratto di cammino non lo rende impraticabile. E la nome di quella creatura è “cane”. O cani, come nel caso della premiata squadra del Quack Pack USA, composta da Roy, Ben, Ty e Tam, quattro esemplari della razza che tra tutte vanta la prerogativa implicita di controllare il bestiame. O… Gli uccelli! Vuole il caso per l’appunto, che sussista un ampio catalogo di ragioni per condurre un gruppo d’anatre a destinazione, sia questo il recinto di una fattoria o l’anello posto ad arte in mezzo a un campo, affinché le coese protagoniste possano attraversarlo in rapida sequenza, ispirandosi all’impresa della biblica analogia del cammello. Permettendoci d’includere idealmente, nel ricco novero di quei pretesti, la collocazione contestuale di un canale o pagina sui social, dedicati ad uno dei gruppi di arti performative più atipici ed interessanti di tutta la Costa Est. Perché è proprio di questo che si tratta, nelle lunghe sessioni di allenamento pregresse, finalizzate ad associare nella mente dei cani la “lingua straniera” di una serie di fischi attentamente modulati, ciascuno dei quali corrispondente a uno preciso comando. Senza inflessioni emotive, momenti d’incertezza o alcun possibile fraintendimento, così come gli addestratori avevano imparato a fare dagli anni successivi al 1906. Epoca di fondazione ISDS (International Sheep Dog Society) ed il riconoscimento dei meriti di razze come queste, per cui l’imposizione di un tenore comportamentale a erbivori o volatili è forse una delle cose più semplici di questo mondo. E in un certo senso parte della natura stessa, benché ciò necessiti quel balzo concettuale non sempre o necessariamente semplice, che vede l’uomo parte di un sistema oltre che il mero e spassionato detentore di un predominio. Ma non è mai davvero possibile, nella maggior parte delle circostanze, ottenere il pieno controllo di altri esseri viventi senza condividerne per quanto possibile gli interessi e le aspirazioni…
Appare perciò innegabile, nella perizia dimostrata in situazioni come queste: l’addestramento alla pastorizia di creature come i Collie è ben più che l’imposizione a terzi di un canone comportamentale utile agli stessi padroni. Bensì l’agevolazione, data in dono dai creatori di una razza ai propri degni beniamini, a diventare tutto quello che potevano, sfogando la propria notevole energia ed il senso del dovere che fa parte delle loro implicazioni ereditarie. Così come mutuate dal famoso capostipite della razza, il più volte celebrato Old Hemp (1893-1901) il cane da lavoro di Adam Telfer, pastore del Northumberland con residenza per l’appunto sul confine (border) tra Scozia ed Inghilterra, il cui stile d’interazione con le pecore deviò ad un certo punto dal tenore normalmente mantenuto dai suoi colleghi a quattro zampe. Quando sulla fattoria, diversamente dalla norma, calava un insolito silenzio, mentre il cane radunava gli animali senza abbaiare, nell’assenza di alcun tipo di ringhio ma piuttosto correndogli attorno e facendo uso in modo pressoché esclusivo della propria rapida e obbediente presenza. Il che aprì sostanzialmente le porte ad un fondamentale cambio di paradigma destinato a prendere il nome di “stile tradizionale”, poiché un cane da pastore che non agita a sproposito le onde sonore possiede l’implicito e prezioso potenziale di ascoltare, essendo predisposto alla creazione di una vera e propria grammatica dei comandi impartiti di volta in volta con la voce, il fischietto o i semplici gesti delle mani. Così Hemp, inserito presto nel circuito della riproduzione sistematica grazie all’impegno del padrone e dopo le dimostrazioni di successo nella sua zona d’origine, si sarebbe guadagnato l’opportunità di produrre una quantità stimata di 200 cucciolate, favorendo in massima parte la creazione di uno standard destinato ad essere formalizzato entro il 1915. Ma non prima di aver permesso la creazione, in tutto il mondo ed a partire dal territorio delle Isole Inglesi, di un nuovo ed imprevisto tipo di sport, denominato la prova del cane da pastore o sheepdog trial. Consistente nella creazione ad arte di un circuito, entro cui un gruppo di creature (in genere pecore o capre) devono essere condotte con la massima precisione possibile mediante l’esecuzione degli ordini ricevuti di volta in volta dai rispettivi padroni. Ambito in cui il predominio delle classifiche è spesso appannaggio della razza dei Border Collie, benché degni concorrenti figurino talvolta tra i cani da pastore delle Shetland, gli Australian Kelpie, il Briard delle Brie ed il Koolie. Tutte razze addestrate professionalmente mediante una metodologia ben collaudata, che include l’associazione di particolari tipi di fischi a comandi esattamente prevedibili. Direttive come “Vieni qui” o “Mettiti a terra”, utilizzate per modificare il ritmo della loro pastorizia oppure “Come by” e “Walk up” rispettivamente corrispondenti all’esecuzione di un movimento in senso orario ed anti-orario attorno al gregge, manovre fondamentali nella predisposizione di un perimetro funzionale, imposto con finalità precise al gruppo dei soggetti erbivori destinati a ricevere l’impartizione di ordini di seconda mano. Verso l’ottenimento e la creazione di una letterale estensione indipendente di chi determina il corso delle operazioni, colui che immagina e determina il bene.
Da un punto di vista teorico non è per questo necessario immaginare l’addestramento al lavoro di una particolare razza di cani come uno sfruttamento di creature per il nostro guadagno o interesse a ridurre il carico di lavoro collaterale. Laddove in assenza della mano e l’intento dell’uomo, non esisterebbero neppure i Border Collie e chi può veramente affermare, in tutta coscienza, che il mondo sarebbe in alcun modo migliorato da questo? Poiché la rinuncia ad essere aiutati o fornire un contributo in cambio, come specie, è l’inizio di una forma d’isolamento che conduce immancabilmente alla solitudine improduttiva. E ciò necessita un apprendimento per il cane, come avviene anche per l’uomo. Ma deriva da una predisposizione innata delle anatre, le pecore o tutte gli altri esseri dotato di un istinto implicito di aggregazione! Ben prima che nessuno, per qualsiasi ragione, potesse intervenire a indurre l’ulteriore messa in pratica di tale inclinazione a uno stile di vita piuttosto che un altro.