L’orso bianco nel canile che chiamavano Pastore dell’Asia centrale

Sperduto tra i colli aridi della Preistoria, circondato dai suoi molti nemici che ululavano e ringhiavano con un pesante intento di minaccia, il popolo del Turkmenistan fece la stessa cosa di molti altri venuti prima e dopo di loro: si circondò di mura, ed all’interno di esse posse venerande raffigurazioni dei propri spiriti ed antichi Dei. Creazioni antropomorfe in terracotta ma anche immagini d’altre creature, ritrovate oltre cinque millenni dopo nel 1965 presso il sito archeologico di Altyndepe, vicino Aşgabat in Turkmenistan, tra cui viene spesso citato, per la preminenza e l’importanza filologica, l’immagine ampiamente riconoscibile di un cane. Forse il primo esempio, del tutto inconfutabile, dell’avvenuta addomesticazione del nostro unico alleato di quei tempi nella lotta contro l’innata ferocia della natura, la testa squadrata con le orecchie triangolari e l’accenno appena visibile di una coda. Questo perché allora come ancora adesso ed in taluni ambienti particolarmente tradizionalisti, vigeva l’usanza di accorciare simili parti anatomiche, per massimizzare le possibilità del cane in combattimento. Crudele? Senz’altro. Ma tetramente utile, nel mondo di una volta in cui soltanto il più forte poteva sopravvivere all’incontro frequente con l’antesignano rivale di genìa lupesca. E forse proprio in quel confronto riesce a figurare la questione più significativa dell’intera faccenda; poiché sarebbe stato ragionevole, e in parecchi modi prevedibile, immaginarsi un’inerente somiglianza tra le due creature. Mentre da quella statuetta molossoide, così tozza e muscolosa, emergono i particolari tratti tipici di un cane che tutt’ora esiste. Essendo in chiari termini, e al di là di qualsivoglia tentativo ragionevole di negazione, giunto fino ai nostri giorni con l’aspetto e un gruppo di caratteristiche per lo più invariate. Ora poiché in questo mondo, naturale o meno, ogni elemento è sottoposto a una continua e imprescindibile tendenza a mutare, soprattutto in considerazione del genoma notoriamente “flessibile” dell’animale a quattro zampe per eccellenza, il fatto stesso che ciò possa essersi verificato può costituire un chiaro punto a favore della razza sredneaziatskaya ovcharka (Pastore dell’Asia centrale) più comunemente detta Altai. Ritenuta di gran lunga troppo utile, nell’assoluzione di una pluralità di mansioni, per poterla sostituire efficacemente con qualsiasi alternativa disponibile fino ad ora. Perché in essa, come nell’originale branco di lupi, figurano le predisposizioni complementari dei diversi membri capaci di attribuirsi reciprocamente i doveri: chi fa la guardia al territorio, chi procura il cibo, chi protegge il gregge affidatogli dai pastori umani. Propensione, questa, sorprendentemente imprescindibile nella specie C. lupus familiaris. Così come le forme ponderose messe in evidenza dall’idealizzata statuetta di Altyndepe…

Considerata dunque una delle razze canine più antiche sulla Terra, assieme al suo vicino per territorio e caratteristiche, il mastino tibetano, l’Altai costituisce se vogliamo una sorta di alternativa maggiormente rustica e autosufficiente rispetto ad esso, con un pelo più corto e l’indole indipendente di un vero e proprio guerriero turkmeno. Paese, quest’ultimo, che considera esplicitamente l’animale come uno dei suoi due tesori più caratteristici, accompagnandolo tradizionalmente al cavallo armonioso, dorato ed instancabile della stirpe Akal teke. Ed in effetti a quanto è stato possibile determinare, popolazioni aborigene di questo cane sopravvivono tutt’ora in quel paese, assieme alle zone limitrofe di Uzbekistan, Afghanistan e Iran. Mentre per l’intero territorio dell’ex Unione Sovietica, varianti più o meno pure furono create attraverso i secoli, al fine di sfruttarne la naturale inclinazione alla pubblica utilità in contesti rurali. L’associazione particolarmente stretta al giorno d’oggi della razza al paese della preistorica Altyndepe può essere tuttavia associata in modo particolare all’opera di un singolo personaggio politico, il presidente ormai da 15 anni del Turkmenistan, Gurbanguly Berdimuhamedow, grande cinofilo ed autore di almeno un libro sulla storia dell’Altai, che ha notoriamente fatto un’abitudine di donare cuccioli di questo cane ai leader stranieri. Particolarmente celebre, a tal proposito, il siparietto del 2017 con Vladimir Putin, aspramente criticato dagli animalisti per la presunta improprietà di sollevare il piccolino per la collottola, come se si fosse trattato di un cucciolo di leone.
Dal punto di vista dello sviluppo fino al raggiungimento dell’età adulta, d’altra parte, il Pastore dell’Asia centrale è caratterizzato da tempistiche piuttosto prolungate, con fino a tre anni necessari prima che sia effettivamente possibile definirlo abbastanza grande da difendersi e iniziare a lavorare. Periodo al termine del quale, con i suoi 50 Kg minimi di peso ed un’altezza al garrese di 70 cm nei maschi, esso giunge a costituire un letterale gigante capace d’incutere immediato senso di timore nei suoi nemici. O come purtroppo ancora capita in alcuni dei paesi dell’Asia, offrire uno spettacolo alla lotta coi suoi simili per il pubblico ludibrio, sebbene sia acclarato come tali pratiche desuete siano in genere meno spietate, essendo fatte proseguire soltanto al primo sangue, contrariamente a quanto avviene con i pitbull. Forse per il costo maggiore dell’animale. Con uno standard formalizzato soltanto nella seconda decade del Novecento, laddove prima si era soliti parlare in modo vago di “pastore mongolo” o “kirghiso”, la razza riconosce nel suo standard un’ampia varietà di cromatismi, tra cui bianco e nero ma anche marrone a macchie, o con maschera contrastante in corrispondenza del muso. Molto più stringenti d’altra parte, per lo meno in patria, risultano essere i test necessari d’attitudine alla pastorizia e/o la guardianìa di particolari linee di sangue, ritenute quelle maggiormente pure e degne di essere preservate. Laddove il concetto prettamente moderno di tenere una creatura di dimensioni simili come cane da compagnia è ancora ben lontano dall’essere accettato in contesti rurali o privi del benessere inerente dell’urbanità contemporanea. Il che presenta, implicitamente, un altro tipo di problema: la necessità primaria per questa razza di muoversi e svolgere attività fisica con cadenza quotidiana, pena l’insorgenza di problemi sia fisici che comportamentali. E non è propriamente facile riuscire a controllare, in condizioni impreviste, un colosso quadrupede di queste dimensioni!

Tra le caratteristiche anatomiche dell’Altai, va notata la significativa pappagorgia (capace di proteggere la gola) e il costato particolarmente lungo ed arrotondato.

Cane consigliato solamente a chi ha dimestichezza estrema nell’addestramento e la gestione di questi animali dunque, sebbene sia nota la sua fedeltà e bontà d’animo nei confronti dei bambini e la famiglia, a patto che sia stato tirato su in maniera impeccabile. Ciò è perfettamente desumibile dai trascorsi agresti dell’Altai, che non avrebbe certo potuto tenere al sicuro intere greggi di pecore o capre, se fosse stato tanto feroce da mordere gli esemplari meno disciplinati.
Mentre nella cognizione digitalizzata del grande spazio comune internettiano, questi sono cani che ricorrono come figure spropositate all’interno dei più brevi e stupefacenti viral video, rigorosamente privi di didascalia. “Non può essere, non ci credo. Come può esistere…” sembra quasi di sentire l’ipotetico fruitore ideale della scena: “…Un cane tanto GRANDE” Ma il mondo, questo lo sappiamo, può riuscire a riservare un’ampia gamma di sorprese. Specie quando certe innate caratteristiche sono state anteposte ad altre, grazie all’opera continuativa ed infallibile che nasce dalla più assoluta necessità.

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