La lunga genesi del parco eolico sul tetto del mondo

Il fatto stesso che siamo diventati tanto efficienti e rapidi nell’edificazione di una completa installazione energetica offshore, con potenziali dozzine d’imponenti mulini a vento che spuntano surreali tra le acque come in un quadro di Salvador Dalì, è la prova evidente della sostenibilità economica di un tale approccio alla generazione di energia, anche senza considerare l’importanza di un simile approccio per il futuro dell’ambiente e la conservazione di una valida parvenza d’integrità ecologica per il nostro già provato pianeta. Il che non può porre in subordine, d’altronde, l’elevata quantità di risorse necessarie al completamento di un simile progetto, l’impegno spesso pluriennale ed una dose imprescindibilmente elevata di know-how necessario, affinché si possa mettere in funzione l’operante prospettiva dell’appalto generalmente concesso in via diretta dal governo di una delle maggiori potenze economiche esistenti. Come per l’appunto la Cina, attuale leader mondiale per quantità e resa energetica delle proprie installazioni eoliche onshore in luoghi spesso remoti, un merito oggettivo indipendente dalle divergenze o spregiudicate mosse compiute sul sentiero per affermarsi nel proprio ruolo di superpotenza fermamente intenzionata a espandere i propri confini sulla base di un diritto politico autonomamente fabbricato. Giustapposizione guarda caso estremamente rilevante per quanto concerne il parco delle pale nel distretto di Seni, finalmente connesso alla rete in questo inizio del 2024 poco sopra la città di Nagqu alla quota impressionante di 4.650 metri, superiore a quella di qualsiasi altro complesso simile attualmente esistente. Giusto in quella che gli atlanti nazionali chiamano ostinatamente Regione Autonoma di Xizang, con i nome subentrato a quello storico, la bandiera e l’identità creata dal popolo tibetano stesso. Benché alcuna pregressa imposizione di un sistema di governo straniero, anche se fondata su azioni improprie e l’uso delle armi moderne, non possa né dovrebbe idealmente sovrascrivere i meriti di un avanzamento tecnologico o infrastrutturale atto a risolvere un palese bisogno. Con un intento indubbiamente duplice atto a giustificare il mantenimento del nuovo stato delle cose, ma anche l’inerente concessione di un miglioramento della qualità della vita. In questo caso derivante dalla possibilità di mantenere acceso il riscaldamento domestico più a lungo per una porzione degli oltre 230.000 abitanti condizionati dal lungo ed impietoso inverno tra le montagne più alte del mondo. In un ambiente che per il resto apparirebbe conforme a quello di una confortevole e moderna realtà urbana ma che non può semplicemente ricorrere a fonti di energia capaci di squilibrare il prezioso e fragile ecosistema locale. Obiettivo non particolarmente facile da raggiungere, quando si considera la distanza di un tale sito dalle coste dell’oceano comunemente usate al fine di trasformare il vento in potenza. Lasciando soltanto sentieri alternativi, formalmente opposti ma egualmente funzionali alla generazione di un flusso d’aria veramente efficace…

L’intera conformazione dell’altopiano tibetano presenta, d’altra parte, caratteristiche paesaggistiche particolari, che inevitabilmente si riflettono sulle condizioni meteorologiche del suo contesto. Vedi il soffiare continuo dei venti, che si rincorrono prevalentemente dalle ore successive al sorgere del sole e fino a tarda sera, vedendo calare la propria intensità soltanto nel breve periodo tra la mezzanotte e l’alba. Il che non può comunque superare la fondamentale problematica di qualsiasi polo di generazione eolica al di sopra del punto di rarefazione dell’aria, consistente non soltanto di un aumento di difficoltà respiratoria per gli umani, ma anche una densità insufficiente a mantenere in funzione con la consueta efficienza le pale di un generatore, in assenza del massa posseduta dall’aria al livello del mare. Il che sembrerebbe aver richiesto, nel caso della centrale di Nagqu rimasta per oltre dieci anni allo stato sperimentale, l’adozione di una serie di soluzioni innovative quali una concezione differente delle turbine a bassa resistenza e pale più lunghe, costruite con materiali compositi e trattate con sostanze atte a resistere alla corrosione dovuta all’eccessiva secchezza dell’aria a tali quote. Un processo ingegneristico costoso (si parla di oltre 90,3 milioni di dollari investiti) di cui è possibile trovare traccia nei notiziari trascorsi fin dal remoto anno 2013 in diverse forme, quando veniva presentato come un esperimento condotto dalla compagnia CTG (China Three Gorges) famosa per avere in gestione l’omonima diga sul fiume azzurro, in grado di soddisfare da sola il 3% del fabbisogno energetico dell’intero paese. Così come attualmente, nel boiler plate entusiasticamente ripetuto da numerose testate su Internet, la titolarità dell’impianto viene attribuita alla China Longyuan Power, azienda specializzata nell’eolico fondata nel 1993, forse al fine di massimizzarne l’eccellenza percepita nell’intero territorio dell’Asia Orientale. Presentata come la futura addetta al completamento di un ideale parco futuro con 33 pale contro le attuali 5 attualmente operative, per un totale energetico prospettato al completamento pari a 200 milioni di kWh l’anno. Una visione ottimistica la cui effettiva possibilità d’implementazione può senz’altro essere discussa, soprattutto viste le tempistiche trascorse per l’attivazione dell’attuale porzione, dietro difficoltà notevoli per l’implementazione e la moderazione dei fattori di rischio climatici e ambientali. Alcune testate cinesi raccontano con piglio eroico, ad esempio, dell’esperienza terrificante vissuta dagli operai reclutati prevalentemente nel contesto locale dalle aziende appaltatrici, durante il montaggio di uno dei mulini al sopraggiungere improvviso di un fronte composto da raffiche di vento improvvise. Il tipo di avversità che difficilmente, in condizioni tanto estreme, possono essere soprassedute.

Un altro importante parco eolico tibetano gestito dalla CTG è quello di Cuomeizhei, presso la città di Zhegu. Con un gruppo di turbine complessivamente in grado di generare, in questo caso, 72,6 MW situato ad un’altitudine comparabile, ma lievemente inferiore a quello di Nagqu.

Potrebbe in effetti sorprendere la grandezza dell’investimento stanziato dal governo cinese per la costruzione di impianti eolici in queste condizioni poco adatte, finché non si considera la complessa conformazione geografica ed ampiezza di un tale paese, per cui la distribuzione dell’energia è spesso tanto dispendiosa, e persino maggiormente complessa, della sua effettiva generazione mediante qualsiasi tipologia di metodo convenzionale. Una possibile ragione, a conti fatti, per la pressoché costante ricerca di soluzioni sostenibili incoraggiata dal governo centrale, molto spesso a discapito di soluzioni autogestite dalla minore efficienza ambientale. Poiché non sono forse questi i meriti, di una centralizzazione del potere politico e amministrativo? L’effettivo ottenimento di un vantaggio pratico per la popolazione, tardiva ricompensa del doloroso conflitto, che gli fu imposto dagli spregiudicati vicini nei suoi trascorsi. Di certo non abbastanza a giustificare la violenza e le angherie, nella progressione generazionale degli eventi. Ma pur sempre una somma addizionabile, dal punto di vista storico, al complesso sistema dei valori in gioco. Ed il prezioso futuro del nostro mondo.

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