Ecce diabolus: l’effige del maligno sul maggiore manoscritto del Medioevo

Era imprigionato da svariate, terribili ore, quando il monaco benedettino Herman vide comparire senza preavviso l’astro luminoso del mattino. In quel momento, posò la penna con il calamaio, mentre le lacrime iniziavano a oscurargli la vista. Poiché lui sapeva molto bene che, senza più alcuna possibilità di appello, era perduto. Poi cominciò, timidamente, a porsi una domanda: com’era possibile che il Sole sorgesse, negli umidi sotterranei del convento di Podlažice in Boemia, tra le quattro mura impenetrabili costruite dai sui confratelli, nell’anno di nostro Signore 1159? Un modo… Terribile per morire di sete e di stenti. Una punizione a suo modo meritata, per il semplice fatto di aver voluto provare, almeno una volta, a vivere la sua vita. E la soluzione Salomonica, a suo modo, scelta dalla massima autorità del suo mondo, per poter fare a meno dell’evoluzione: “Povero fratello, Egli abbia misericordia della tua anima. Se riuscirai a compilare entro domani un codice capace di contenere ogni nozione nota agli uomini dai tempi del giardino dell’Eden, sarai di nuovo ammesso alla tavola del convento. Nel frattempo pentiti, e concentrati su ciò che ti ha permesso di fare del bene. Almeno finché il grande corruttore non è giunto per deviare crudelmente il corso delle tue priorità.” Impossibile. Non necessariamente un traguardo scelto con intento beffardo o crudele, tuttavia, bensì un possibile atto di misericordia concepito per distrarlo fino all’ora del suo trapasso. Che ora, sembrava essere giunta… Con svariate ore d’anticipo? Il topo che lo fissava dall’angolo dell’angusta cella ora drammaticamente illuminata, in quel momento, aprì la bocca e sollevò la coda: “BENVENUTO, PECCATORE, NELL’ORA IN CUI LA LUNA SMETTE DI RIFLETTERE LA LUCE DELL’ASTRO DIURNO.” Herman credette per qualche secondo di stare sentendo la voce dell’Altissimo, poi comprese con un trauma cosa stesse accadendo. “LUCIFERO IN PERSONA, ASTRO DEL MATTINO, HA UN’OPPORTUNITÀ DI OFFRIRTI!” In quel preciso momento e poco prima che la sua condanna fosse suggellata innanzi a Dio ed agli uomini, egli decise che l’avrebbe ascoltato. Cos’altro Diavolo avrebbe potuto fare?
Vige la regola nel nostro mondo e molti altri che possiamo immaginare, secondo cui arricchire la propria cultura costituisca fondamentalmente una questione per lo più quantitativa. “Quest’anno ho letto…. Quattordici libri! Almeno la metà avevano oltre un migliaio di pagine.” Chi non l’ha mai sentito dire, mentre l’occhialuto sapientone di turno sollevava orgogliosamente il mento e gonfiava il petto, con superiorità dinnanzi ai suoi coetanei irsuti e simili a gorilla di montagna, nell’intelletto e la fisicità sacrificata alla ricerca tragica della mera apparenza. Laddove raramente abbiamo preso in considerazione, ahimé, l’equazione che risulta dalle dimensione dei suddetti fogli e l’altezza delle singole lettere di testo (escluse le maiuscole decorative con scoiattoli, lumache, cavalieri…) Fin dall’epoca del Medioevo, s’intende. Quando schiere di amanuensi nelle loro auguste sale delle sacre informazioni messe per iscritto, assolvevano al proprio compito in lungo e in largo, lungo letterali chilometri di pelle d’asino o di mucche sacrificate per la lunga causa della sapienza. Ma nessuno, quanto il misterioso e mai storicamente contestualizzato Hermannus Heremitus, che si dice stesse lavorando con la più profonda e inalienabile delle motivazioni personali: poter assistere ad un’altra messa tra i viventi, dal nostro lato del Regno dei Cieli…

Visto dal vero il grande codice può risultare oggettivamente impressionante. Eppure esso non può contenere, al giorno d’oggi, più di qualche micrometro corrispondente alle infinite nozioni all’interno di una comune memory card dei nostri cellulari. E noi vorremmo davvero credere di aver rifiutato l’aiuto di Satana, quando la nostra storia prese un’altra piega con piglio irrimediabile ed evidente?

Tutto regolare dunque tranne le misure di questo Codex Gigas alias “Bibbia del Demonio” pari a 92 x 55 cm ed il peso, di 74,8 Kg. Valori oggettivamente molto fuori dalla norma ma comunque concepibili nella necessità di dare forma a un qualche cosa di notevole, una curiosità o il “cervello” di un polo della Conoscenza, come il computer di quell’epoca in cui il formaggio rappresentava uno dei maggiori traguardi tecnologici della società coéva. O magari lo status symbol di un facoltoso vescovo locale? A parte il fatto che il codice in questione, portato a termine circa tre secoli prima dell’invenzione della pressa da stampa, appare scritto con precisione inumana dalla mano di un singolo monaco, attraverso quelli che potrebbero esser stati 10, 15 anni di una vita dedicata unicamente a questo. O magari, chi può dirlo, una (sovrannaturale) notte soltanto. E l’illustrazione a piena pagina che compare verso l’inizio dell’ultimo terzo delle grandi pagine, con un essere accovacciato dal perizoma d’ermellino e con gli artigli, le corna ed un paio di lunghe lingue che fuoriescono dalle sue fauci spalancate. Sotto ogni aspetto rilevante o immaginabile, null’altro che una versione vagamente comica dell’innominabile Astarte, Belfagor, Belzebù, Belial, Baal, Asmodeus, Azazél, o l’altrimenti detto satanasso, che le nostre lunghe giornate rende affascinanti, ogni volta che malediciamo momentaneamente uno dei suoi molteplici appellativi. Chiaramente posto all’altro lato di un complicato schema sovrapposto, rappresentante a quanto dicono il Regno dei Cieli (o una sorta di bizzarro gioco dell’oca) con la finalità di contrapporre visualmente il Bene al Male. E circondato sulle ponderose pagine da magnifiche versioni in lingua Vulgata del Vecchio e Nuovo Testamento, inframezzate da cronache storiche, testi medici, le storie dei santi ed un completo calendario delle ricorrenze… Ma chi avrebbe mai potuto ritrarre con tali proporzioni qualcosa di tanto terribile, fuori dal contesto profano, nel superstizioso Medioevo? Le teorie, naturalmente, abbondano. Tra cui quella rigorosamente priva di attribuzione, contesto storico, circostanze ragionevoli o null’altro ragionevole riferimento, del patto stretto dall’autore con Egli medesimo, coda puntuta e tutto il resto, nell’ipotetica circostanza della propria morte… Non che potessimo fare a meno di citarla.

Taglia, cuci, premi, disegna. La creazione di un codice medievale non era mai un’impresa semplice, anche quando si procedeva su una scala comune. Aggiungete a ciò il modo in cui simili concentrati di sapienza dovevano essere impiegati quasi quotidianamente, e comprenderete il modo in cui l’artigianato produttivo avesse un importante ruolo all’epoca della della crociata contro gli hussiti. Non a caso un libro come il C. Gigas sarebbe sopravvissuto, per lo più integro, ad almeno un saccheggio.

Mentre di suo conto, la vicenda tangibile del testo in questione resta ragionevolmente semplice da seguire. Come poteva essere altrimenti, per un manufatto tanto eccezionale e memorabile nella sua forma? Dopo l’attribuzione effettivamente inclusa del possesso al monastero di Podlažice a Chrast, nell’odierna Repubblica Ceca, almeno fino all’anno 1222 effettivamente citato nelle cronache redatte all’interno, il codice sarebbe passato al monastero cistercense di Sedlec celebre per il suo inquietante ossario, come possibile pegno per saldare un debito dei suoi precedenti possessori benedettini. Dove rimase fino all’anno 1477, quando gli appartenenti all’ordine della città di Broumov, odierno distretto di Nachod, ne presero nuovamente possesso raddrizzando il torto subito, ma ponendo così le basi per quello successivo. La notorietà del libro era infatti cresciuta a tal punto, entro un secolo da quella data, da suscitare l’interesse del sovrano del Sacro Romano Impero. E fu così che l’esoterico Rodolfo II d’Asburgo, nel 1594, lo fece requisire per portarlo nei palazzi della sua capitale magica, la misteriosa e sempre più affollata città di Praga. Dove rimase fino al 1649, quando al termine della sanguinosa guerra dei trent’anni, forze militari appartenenti alla nazione svedese lo acquisirono come tesoro di guerra. Per portarlo fino alla Biblioteca Reale di Stoccolma, dove si trova tutt’ora. C’è un ulteriore curioso aneddoto, tuttavia, che merita di esser menzionato prima dell’inizio dell’epoca moderna propriamente detta, databile al 7 maggio 1697. Quando un incendio che aveva iniziato a diffondersi dalla vicina rocca di Tre Kronor costrinse un eroico bibliotecario a lanciare il codice dalla finestra, finendo per colpire accidentalmente un passante, che restò ferito. E dev’esser stato veramente per un’altra intercessione superna, il fatto che non l’avesse semplicemente ucciso sul colpo.
Messi in fila tutti gli elementi del suo semplice contenuto, il Codex Gigas non è dunque misterioso quanto altri strani testi e manoscritti della nostra vicenda storica pregressa. Non vanta i misteri occulti o le strane nozioni del rotolo di Ripley. Né menziona i portenti vagamente ufologici del Prodigiorum Ac Ostentorum Chronicon, oppure le bizzarre creature del Codex Seraphinianus, opera forse meno antica ma non per questo facile da contestualizzare. La principale, profondissima e residua incertezza che permane, è quella di come effettivamente sia stato possibile crearlo, senza dedicargli l’intera vita di una singola persona. Il che, in un modo o nell’altro, non è senz’altro un caso unico prima dell’invenzione quasi rivoluzionaria dei diritti individuali.
E dire che il serpente, in quel lontano giorno dei giorni, sembrava aver compreso già l’idea fondamentale al centro dell’intera questione. “Mangia la mela della Conoscenza e capirai tutto il resto.” Tutto quello che serviva fare era sostituirla con una semplice banana. Ma nessuno avrebbe mai potuto credere, prima di quel punto di svolta, a quanto orribilmente letterale potesse essere il Creatore…

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