Gamberi, venite! E che le pale della mia ruota siano più veloci di un alligatore della Louisiana

Tutt’uno con la natura, al principio dell’inverno la barca borbottante dell’allevatore scivola leggera nella risaia intenzionalmente allagata. Il suo bizzarro metodo di propulsione, scelto per maggiore convenienza in un contesto dove sono il fango e i fili d’erba attorcigliati a farla da padroni, non sembra inficiare in alcun modo l’efficienza dell’operazione, ma piuttosto agevolano il compimento del suo compito quotidiano. Una volta a destra, una a sinistra, l’uomo si sporge fuori dai bordi rialzati, afferrando con le proprie mani le pratiche maniglie di quelli che non possono in alcun modo essere dei semplici frutti della natura. Nonostante contengano una quantità di calorie, e sapore, persino superiori: poiché sono le nasse che lui stesso aveva posizionato, e ciò che si agita all’interno è un’effettiva pletora di gamberi di acqua dolce della Louisiana. Mentre altri rappresentanti della specie gli sciamano rapidi attorno, schivando il peso dello scafo che praticamente tocca sul fondale, o della ruota posta in fondo a un braccio che ricorda un ibrido tra un macchinario da miniera ed un iconico ferry boat del fiume Mississippi. Echi di piacevoli grigliate o bolliture di famiglia, di quartiere, degli amici della scuola o della festa dell’ufficio con l’artificiosa e ormai distante aria condizionata, svaniscono d’altronde nel momento in cui qualcosa di… Più grande viene soverchiato dal passaggio dell’intruso frutto della società industriale. Poiché come la savana ha il suo sovrano dalla lunga criniera, e così il signore ursino dei boschi dell’Oregon, anche gli acquitrini del profondo Sud possiedono il loro sovrano. Che con un sobbalzo preoccupante, emerge assieme ai longaroni della ruota in questione, essendo diventato almeno in apparenza una parte stravagante, o decorazione imprescindibile, della struttura stessa. Attaccato per i denti e a una pressione di 149,4 kg per centimetro quadrato, corrispondente all’energia del morso dell’alligatore. Molto meglio, ancorché più preoccupante, di un semplice cane che ricorre l’automobile di fronte al territorio domestico dei suoi padroni. E cosa fare, a questo punto, se non accelerare repentinamente, muoversi a zig-zag premendo con i piedi il singolare sterzo dell’imbarcazione! Nient’altro che un lunedì come qualsiasi altro, per un esperto allevatore di gamberi della Louisiana.
Questa è una di quelle scene, documentate per il pubblico di Internet nella forma non necessariamente esaustiva di una breve animazione senza contesto, che si offre di mostrarci la natura ed il funzionamento di un’industria a cui pensiamo fin troppo raramente. Alle sue tecnologie, ed i pericoli che implica la produzione di cotante delizie, che riempiono le nostre tavole nelle occasioni davvero speciali…

“La barca per i gamberi costituisce l’imprescindibile conseguenza di un territorio dove l’acqua ed il suolo asciutto si compenetrano a vicenda.” Scrive il Dr. Laudun: “La nostra amata, verdeggiante Louisiana.”

Laddove non c’è nulla di davvero straordinario, o in qualsivoglia modo eccezionale, nella contingenza in questo modo dimostrata e il dipanarsi delle circostanze derivanti dall’impiego di un mezzo tanto caratteristico di tali afosi luoghi d’appartenenza. La cosiddetta jon boat, dal fondo metallico e piatto, modificata sapientemente in base ad un progetto che risale agli anni ’70. Quando la stragrande maggioranza degli operatori raccoglieva le sue trappole mediante l’utilizzo di due metodi: un barchino fuoribordo con elica di tipo weedless e lame larghe e svasate, il più possibile adatte a tagliarsi un tragitto attraverso l’ingombrante sostrato di materiali estranei della risaia. Oppure una versione assai più piccola della stessa cosa, spinta innanzi con la forza delle braccia mentre si procedeva a passo sostenuto ma non particolarmente veloce. Entrambe soluzioni non del tutto soddisfacenti, anche e soprattutto in considerazione dell’esigenza di tirare fuori periodicamente entrambe le tipologie di scafi, prima di reimmergerli nell’area acquitrinosa oltre l’ennesimo cumulo o banco terroso. Da qui l’iniziativa, che un particolare folklorista, interessatosi lungamente all’argomento, attribuisce a un’invenzione pressoché contemporanea a Tedmon “Ted” Habetz di Loreauville and Harold Benoit di Morse, destinata a rivelarsi degna di cambiare totalmente i limiti di un simile paradigma. Grazie alla sostituzione del suddetto motore da un sistema simile ma direttamente connesso ad una trasmissione idraulica. Incorporata all’interno del suo braccio mobile, fino alla ruota semovente del suo singolare metodo di propulsione, capace di compiere le più arzigogolate e complesse manovre. Sto parlando dell’articolato e interessante saggio, se non vero romanzo epico, che il Dr. John Laudun ha intitolato The Amazing Crafish Boat. In cui viene analizzata approfonditamente la storia, il contesto ed il funzionamento del suddetto veicolo, dotato di tutte le caratteristiche necessarie per un funzionale e completo sistema di spostamento anfibio. Ciò per la frequente presenza, incorporata nello scafo stesso o poco fuori al termine di un vero e proprio carrello retraibile, di due ulteriori ruote con pneumatici in opposizione all’arto mobile con la ruota a pale usata nella propulsione nell’acquitrino. Il che permette effettivamente al guidatore, ogni qualvolta dovesse ritenerlo necessario, di sollevare la parte davanti della barca abbassando il relativo braccio che assomiglia ad una sorta di proboscide artificiale. Trasformando in pochi attimi l’intero apparto in una sorta di triciclo stravagante, perfettamente in grado di spostarsi da un acquitrino all’altro. O persino percorrere sui margini la letterale strada asfaltata che circonda le legittime risaie d’appartenenza, mentre continua senza pause a raccogliere una quantità stimata di fino a 300 nasse l’ora.
Ingegnoso, senz’altro. Utile, senza neppure un’ombra di compromesso. La barca da gamberi per la Louisiana è diventata nel corso delle ultime decadi un’importante simbolo di questa notevole attività umana. Nonché l’insopportabile invasore dei territori che gli alligatori tenderebbero a considerare soltanto loro.

Vedendo simili veicoli fuori dall’acqua sembra quasi di esser stati risucchiati temporaneamente all’interno di un dipinto surrealista. O il primo capitolo della coraggiosa colonizzazione di un pianeta distante.

La barca semovente per la raccolta dei gamberi parla di suo conto un tipo di linguaggio che è fondamentale parte della condizione umana. Mai prodotta, almeno fino ad ora, da un’impersonale catena di montaggio bensì messa assieme volta per volta da coloro che, per una ragione o per l’altra, ritenevano di aver raggiunto l’ora del suo bisogno. Ed è in questo che costituisce, nell’incontro tra il coltivatore delle lande ed il verde drago addormentato del mare di fango, uno strumento del tutto legittimo e un vantaggio equanime su cui contare per tornare a raccontare l’assurda e spesso imprevedibile precarietà dei nostri appetitosi giorni. Tra una festa e l’altra, stretti saldamente tra le fauci del nostro imprevedibile Domani. Indipendentemente da quello che potrebbero pensare i vermigli gruppi di gamberi, dei propri svettanti e inconoscibili dominatori.

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