L’incoerenza del gran buco nel quartiere più costoso di Chicago, Illinois

Logica è la progressione degli eventi, indipendente dal contesto e situazione di riferimento, in cui l’impresa inizia dall’innesto della punta o “bit” del trapano per proseguire con la messa in opera del buco, pratico pertugio perpendicolare alla disposizione verticale della parete. L’inizio di qualcosa d’importante, proprio perché concepito al fine di cambiare l’atmosfera o l’equilibrio estetico di un luogo, inteso come aspetto periferico della stanza. Vi sono d’altra parte alcune anomalie, nella versione ruotata di 90° dello stesso concetto che caratterizza l’isolato erboso in bilico tra il canale dell’Ogden Slip, la strada urbana di scorrimento Lake Shore Drive e per l’appunto, la sponda illinoisana del ventoso lago Michigan, famoso per le acque non troppo calme, le caratteristiche formazioni glaciali d’inverno ed il memorabile skyline della Seconda Città. Un appellativo ironico nato dall’elitismo dei newyorkesi. Che ancora una volta voleva fregiarsi della medaglia d’argento, nella costruzione approvata nel 2006 di quello che sarebbe stato di gran lunga l’edificio più alto del mondo con i suoi 610 metri, ovviamente dopo il Burj Khalifa di Dubai. Ma comunque svettante oltre uno qualsiasi dei rivali situati in Occidente, grazie al contributo del celebre architetto Santiago Calatrava ed i corposi investimenti della compagnia di sviluppo immobiliare Fordham. Eppure possono fallire anche i sogni più ambiziosi e sarebbero in pochi a negare il modo in cui l’argomento in oggetto ciò giunge ad offrirne un’importante testimonianza. Se è vero che scrutando in questa direzione, ad oggi, ciò che gli occhi dello spettatore vedono è soltanto un ampio e sgombro quadrante di cielo. Sotto il quale l’astro diurno può riflettersi dentro uno specchio d’acqua stagnante dal diametro di 32 metri e la profondità di 24, altrimenti soprannominato la metropoli accogliente di un milione di zanzare. Sempre aperta, indubitabilmente incline ad essere il recesso prototipico di una via d’accesso per il Sottosuolo, iconico reame senza luce o vie possibili di fuga, a vantaggio di chiunque fosse tanto folle da discendere la scalinata bianca posta ai margini del grande calice urbano. Una visione… Sconfortante, per molti versi eppure non completamente priva di un bizzarro fascino, perché parla del modo in cui l’investimento di risorse è sempre possibile se c’è uno scopo chiaramente definito. Ma si trasforma in sogno della pipa quando si tratta di tornare ad una situazione di quiete utile a risolvere l’irregolarità della condizione vigente. Ed è per questo che ormai da almeno 5 anni diversi piani di fattibilità risultano essere al vaglio della Commissione del Piano regolatore cittadino, con alcune delle ipotesi più folli che includono un cinema sotterraneo, un habitat per gli uccelli migratori e persino una gigantesca vasca riscaldata a disposizione della popolazione locale. Quel gruppo d’increduli e impotenti spettatori che, al culmine della crisi economica dei tardi anni 2000, videro sfumare il sogno di un qualcosa di elevato e splendente. A vantaggio del pozzo mistico dei desideri (infranti)…

La Spire (Torre) di Calatrava sarebbe stata un edificio ecologico e resistente all’impatto dei venti, per la sua forma curvilinea ispirata alle conchiglie marine. Come gli altri grattacieli più alti di Chicago, avrebbe incluso un piano d’osservazione aperto al pubblico per osservare “una vista di quattro diversi Stati”.

Fast-forward fino all’anno 2005 quindi, quando lo Shelbourne Development Group, Inc approfittando di un momento d’insicurezza economica di Christopher T. Carley, il visionario presidente della Fordham, acquista in toto il lotto ed i diritti di costruzione della straordinaria torre primariamente residenziale di Calatrava. O per meglio dire, il futuro “buco” benamato al centro d’innumerevoli articoli dal tono prevedibilmente tutt’altro che lusinghiero.
Soggetto amato dagli esploratori cittadini alla ricerca dei recessi meno noti della loro città di appartenenza o adozione, questa discontinuità nella membrana orizzontale dell’asfalto cittadino avrebbe dunque costituito parte delle fondamenta del sognante edificio, circondate da un cofferdam a tenuta stagna entro cui gli operai stavano già iniziando a trasportare il lunghi pali verticali usati convenzionalmente per stabilizzare i primi piani del grattacielo. Trovandosi entro l’estate del 2007 ad un punto dell’opera abbastanza avanzato da non poter essere, in circostanze normali, fermato da nessun tipo di provvedimento normativo e con molti appartamenti già venduti a caro prezzo, il corrente proprietario del lotto, Garrett Kellher vide palesarsi sul proprio sentiero un altro tipo d’ostacolo, del tutto impossibile da ignorare: in parole povere, venivano a mancare i soldi. I finanziatori si erano ritirati dal progetto e le banche che avevano concesso il prestito, una dopo l’altra, chiedevano indietro la pecunia messa in discussione per scrivere questo particolare capitolo della storia dell’architettura. Una situazione la quale non lasciò alcun tipo di alternativa, dopo aver pagato l’architetto, che fermare immediatamente la posa in opera, per contenere la rovina pressoché totale della compagnia committente. Nonostante i significativi cambiamenti apportati dal Gruppo Shelbourne al progetto iniziale per riuscire a contenere i costi, tali da ridurre a soli 180 gradi i 360 di rotazione previsti originariamente dalla torre spiraleggiante e la rimozione del pinnacolo dotato di antenna radio, trasformandola in quello che taluni avevano chiamato in modo alquanto prosaico come l’idea di un “bastoncino di liquirizia” posto a svettare nello skyline chicagoano. Nient’altro che teorie, d’altronde, destinate a infrangersi contro il muro invalicabile dell’ottimismo e l’illusione di poter ancora realizzare QUALCOSA, qualsiasi cosa, destinata a scontrarsi con la problematica evidenza dell’economia degli anni a venire. Di cui ne sarebbero trascorsi altri nove, prima che lo sviluppatore Related Midwest acquistasse, al prezzo conveniente di appena 135 milioni di dollari l’intero lotto sulla Lake Shore Drive, con il dichiarato intento di costruire al suo interno una coppia di “torri sorelle” la più alta delle quali avrebbe misurato 266 metri, ovvero appena un terzo del progetto iniziale del Fordham Group. Ma l’imponderabile si sarebbe verificato di nuovo, coi lavori ancora fermi in attesa di approvazione, quando nel gennaio del 2010 venne dichiarata l’emergenza per l’epidemia da Covid, dando luogo a un differente, ed ancor più terribile tipo di crisi dell’economia globale.

Se non altro, ad oggi il grigio asfalto è stato ricoperto da un accogliente prato. Benché il “buco gigante” non costituisca uno degli accessori maggiormente desiderabili per i visitatori di un piccolo parco cittadino.

Il che ci porta ai giorni nostri e alla presenza, chiara e incontrovertibile, del grande buco. Coi folli progetti di reimpiego dei tardi anni 2010 ormai accantonati nel dimenticatoio, nonostante il coinvolgimento di celebri e costosi designer, avendo scelto di percorrere la strada più accessibile della mera dissimulazione. Con l’ipotesi, poi abbandonata, di edificare un terrapieno attorno al fossato, che comunque non l’avrebbe di certo nascosto dalla vista sopraelevata degli alti palazzi circostanti. Poi ridimensionata alla semplice inclusione di un filare di piccoli alberi, in futuro destinati a crescere imponenti e coprire l’acqua con le loro larghe chiome.
Poiché ognuno pianta gli alberi, si dice, pensando alle generazioni future. Ma le dimentica quando scava le buche per lasciarle esattamente nella condizione peggiore: aperte, magnifiche, in qualche modo seducenti per l’appel du vide, la diffusa tendenza psicotica a tuffarsi verso gli irrimediabili recessi dell’entropia. Laddove in effetti, e per convenzione assai frequente, essa è più che altro un processo lento e inesorabile, che porta al sovrapporsi di questioni irrisolte. E tutto il grande Vuoto che ne deriva.

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