L’ultima esplosione metallurgica per la catartica creazione di una sfera

Avanti, con cautela, aprite i rubinetti; ora giù con il tritolo, mentre il tempo corre rapido ad esaurimento. A fronte di un’attenta calibrazione dei rapporti di potenza. Ed ora che si alza il muro divisorio, per proteggersi da eventuali frammenti, l’oggetto simile alla rappresentazione informaticamente desueta di un poligono sferoidale. Quindi mentre ogni uomo e donna tra i presenti sembrano per qualche istante trattenere il fiato, allo scadere del cronometro, si ode un tuono sordo provenire dall’interno. Ed uno sbuffo come quello di un cetaceo emerge dalla cima dell’oggetto in qualche modo differente. Ma è soltanto dopo qualche istante, che la realtà inizia a rivelarsi nella cognizione dei presenti: inimitabile ed inconfondibile sul palcoscenico della storia, ESSA è stata plasmata.
Mettete quindi un fabbro del mondo antecedente all’epoca moderna a diretto contatto con un sommergibile o un aeroplano, e difficilmente questi potrà riuscire a comprendere l’intricatezza tecnologica dei rispettivi motori, il funzionamento dei sistemi e lo scopo di simili oggetti spropositati. Ma ciò che riuscirà a colpirne l’immaginazione, senza nessun tipo d’esitazione, sarà l’eccezionale lavorazione metallurgica delle rispettive strutture: cilindri dalle teste smussate, appuntite, affusolate. Lisci come il dorso di una tartaruga e al tempo stesso, eccezionalmente solidi, come il cimiero di un’armatura appena uscito dalla forgia. “Di certo, per riuscire a realizzare un’opera tanto perfetta” esclamerebbe costui: “L’uomo uscito dalla macchina del tempo deve aver impiegato un tempo lungo usando macchinari dall’eccezionale grado di complessità operativa.” Laddove la realtà dei fatti è che, sebbene frutto di un livello tecnologico indubbiamente avanzato, tali oggetti sono spesso la diretta risultanza di un processo rapido e brutale. Per certi versi, addirittura ingenuo, inteso come ingegno funzionale a un obiettivo inge-“nioso”. Far esplodere il progetto dall’interno. In una perversione apparente dell’intento creativo che prende il nome di idroformatura, cionondimeno efficiente come ampiamente dimostrato attraverso i decenni precedentemente trascorsi; nell’accezione qui dimostrata nel corso di un breve video dedicato alla creazione di una sfera di Horton (il tipico serbatoio per i gas a pressione) del tutto paragonabile a quella che permise di creare i titani tecnologici dell’epoca della guerra fredda. Sarebbe a questo punto tuttavia utile applicare l’utile distinguo della terminologia appropriata, secondo cui siamo di fronte non tanto ad un processo di hydroforming di tipo convenzionale, a meno di voler utilizzare un’antonomasia, quanto, piuttosto la sua versione per così dire evoluta, e certamente ancor più spettacolare, dell’hydrobulging, capace di fare a meno dell’impiego di un ponderoso stampo al fine di ottenere la forma desiderata. Che in questo particolare caso dovrà risultare essere SEMPRE quella di una sfera, per la superficie equidistante nei confronti di un singolo punto al centro dell’interessante questione. Un fine, quest’ultimo, praticabile anche “a secco” in determinate circostanze, sfruttando una calibrazione particolarmente precisa della quantità di esplosivo (in genere si tratta di trinitrotoluene, alias TNT) contenuto all’interno. Benché molto più frequente, ed affidabile, risulti essere la formatura mediante riempimento preventivo della quasi-sfera con un pieno d’acqua immessa a pressione, secondo il principio dell’amplificazione della pressione. Un approccio che trasporta la nostra trattazione a molte miglia di distanza, fino alle profondità remote dell’oscuro oceano terrestre…

La metafora che sorge in mente, a questo punto, è inevitabilmente quella del gavettone lanciato all’indirizzo di un compagno nell’ultimo giorno di scuola. Che si configura a tutti gli effetti come una sfera di Horton, che cedendo alla pressione interna deflagra. Fortunatamente, senza alcuna vittima tra i civili.

Potreste aver sentito, a tal proposito, quanto segue: che l’acqua è un fluido incomprimibile, del tutto condannato dal destino a mantenere un volume chiaramente definito. Il che risulta vero… Nella maggior parte delle situazioni. Basterà quindi a immergersi fino a svariate migliaia di metri di profondità ed oltre, per scoprire la natura non del tutto comprensiva di un simile teorema, dato l’aumento pienamente misurabile dell’effettiva densità dell’acqua. Di un numero percentuale trascurabile e non superiore all’1-2%, il quale rappresenta non di meno un’immagazzinamento d’energia potenziale corrispondente a molte tonnellate di forza. Ora immaginate, soltanto per un attimo, di poter creare all’improvviso una simile pressione in maniera pressoché istantanea, anche soltanto da qualche litro all’interno di un contenitore. E cosa accadrebbe, in tal caso, al contenitore stesso! E naturalmente, esistono soltanto due modi per aumentare la pressione dell’acqua: continuare ad aggiungerne ancora ed ancora, mediante l’utilizzo di una possente pompa industriale. Oppure introdurre, all’interno dello spazio sopra accennato, un’ingombrante ed altrettanto udibile deflagrazione. Ed è proprio questa l’origine, nello spesso sorprendente mondo contemporaneo, di un’enorme quantità di manufatti dalla forma rigonfia o sferoidale. Un particolare testo scientifico pubblicato dal Prof. Z.R. Wang nel 2005 presso l’Istituto Scientifico di Harbin (Journal of Materials Processing Technology 167) attribuisce quindi l’invenzione di questo particolare processo di lavorazione alla Cina ed all’opera di lui medesimo, che racconta di averlo usato per la prima volta nel 1985 al fine di creare la scultura di un pallone da calcio in acciaio del diametro di 4 metri (viene anche mostrata una foto, ma mancano le informazioni geografiche sulla sua effettiva collocazione). Ed è particolarmente facile immaginare, all’origine di un tale oggetto, la maniera in cui i pentagoni piatti della tipica colorazione bianca e nera siano stati sottoposti all’energia dell’esplosione e dell’acqua, per assumere una forma conforme a quella tanto familiare ai giovani aspiranti calciatori di tutto il mondo. Prosegue la rassegna, quindi, il punto di riferimento del locale campus universitario costituito da una metallica approssimazione del globo terrestre, oltre a un artistica torre dell’acqua a quanto sembra costruita negli immediati dintorni urbani di Harbin.
Volendo a questo punto contestualizzare il metodo dell’hydrobulging esplosivo nel panorama della fabbricazione attuale, dove l’impiego di macchinari complessi e la creazione di stampi ad hoc hanno subìto un processo di accelerazione esponenziale, risulta utile elencare i pro ed i contro di un così diametralmente opposto sistema per dare una forma alle proprie idee. Con la prima, e più evidente ragione per sceglierlo individuabile nei costi decisamente più ridotti: costa meno qualche Kg di esplosivo che il materiale da investire nella creazione di un qualsivoglia apparato riutilizzabile, soprattutto qualora si stia parlando di fabbricazioni in quantità limitate o pezzi unici. Il che conduce direttamente ad uno dei campi dove l’hydroforming con l’esplosivo, sia dotato di stampo che privo di quest’ultimo trova la sua applicazione più frequente: l’ingegneria aerospaziale. Secondo conversazioni reperite su Usenet nel 2013, sembra ad esempio che il razzo Falcon 9 della Space X di Elon Musk abbia fatto generoso impiego di queste tecniche, sia durante la prototipazione che per il completamento del vettore definitivo. Un altro vantaggio di una simile tecnologia è quindi rintracciabile nell’uniformità delle curve create a seguito dell’esplosione, una prevedibile risultanza dello spessore, i limiti elastici e la capacità di estensione della materia prima. A patto, s’intende, di aver effettuato i calcoli in maniera particolarmente attenta, pena conseguenze al tempo stesso facili, ed estremamente difficili da prevedere.

L’hydroforming, come dimostrato in questa interessante serie d’esperimenti, può fare a meno non soltanto dello stampo ma anche dell’esplosivo. Naturalmente, in questo caso, la precisione e la dimensione dei pezzi realizzabili cala in maniera significativa.

Ecco, dunque, il principale ed inevitabile problema dell’IHBF (Integral Hydro-Bulge Forming) ed altre tecniche similari: un certo rischio inerente, che deriva dall’impiego continuativo di quantità variabili di TNT. Il quale inoltre, ad ogni utilizzo, inevitabilmente contamina le pareti interne dell’oggetto fabbricato (ricordando che stiamo parlando nella maggior parte dei casi di serbatoi) conducendo immancabilmente ad un laborioso e talvolta costoso processo di pulitura. L’ottenimento di pezzi dalla misura estremamente precisa, ad esempio in ambito meccanico, risulta inoltre estremamente difficile da calibrare. Ma ciò e vero di qualsiasi altro approccio utile alla creazione di strutture imponenti, come scafi, involucri e fusoliere.
Innegabile risulta in definitiva essere, il ruolo della fabbricazione esplosiva come ulteriore arma a disposizione dell’odierna civiltà industriale, dove ogni cosa parte in maniera trasversale da quell’uniforme battito, del maglio all’interno dell’officina del fabbro primitivo. Con un ruolo più che mai esplicito riconfermato dall’impiego di quel tipo di sostanze che, nella maggior parte dei casi pregressi, servivano soltanto a distruggere ogni cosa. E non è forse, proprio questo, il più apprezzabile ed entusiasmante dei paradossi?

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