L’oceano atomico del Seamaster, idrovolante più veloce della storia

Secondo la teoria degli universi plurimi, parte dell’analisi quantistica dell’universo, l’oscillazione delle microparticelle può determinare percorsi alternativi della storia che coesistono, in maniera parallela, negli stessi spazi geografici e temporali. Così nella versione non-identica del più potente paese nordamericano, attorno alla metà degli anni ’80, una scolaresca visita il museo newyorchese dedicato alla breve quanto apocalittica terza guerra mondiale: “E qui bambini, potete osservare una replica della sala da cui il presidente Eisenower diede l’ordine di bombardare le città sovietiche, come unica possibile risposta alla distruzione radioattiva di San Fran. Con questa stessa mappa gli strateghi parte dello staff presidenziale aggiornarono man mano la posizione dei velivoli e le testate a disposizione.” Incuriosito dal diorama, completo di manichini ragionevolmente realistici, il giovane Elijah si avvicinò al tavolo dove fu deciso, sotto pressioni incomparabili, chi sarebbe vissuto e chi avrebbe lasciato il regno dei viventi. Quindi scorse qualcosa d’inaspettato: “Signora maestra, dev’esserci un errore. Come mai quell’aereo galleggia nel Mar Baltico, invece di trovarsi su un qualche tipo di pista d’atterraggio?” L’insegnante osservò, sorrise per un attimo, quindi annuì con consapevolezza. “No vedi Eli, quello è l’Enola Gay II. Quando tutte le armi contenute nei sommergibili furono state scagliate verso gli obiettivi, e prima che l’introduzione dei missili balistici potesse restituire l’equilibrio auspicabile dello status quo, il nostro presidente scelse di ricorrere ad ogni strumento di cui potessimo disporre per fermare la follia del nemico. Incluso un certo progetto sperimentale della marina…”
Scene fantastiche, velivoli futuristici ma un singolo e importatante dato reale. Perché il Martin P6M “Maestro dei Mari” fu effettivamente costruito e non soltanto in forma di prototipo preliminare, bensì in 12 esemplari che avrebbero dovuto anticipare, nell’idea dell’ammiraglio James Russell, il metodo del secondo corpo delle forze armate per tornare rilevante verso il delicato inizio della guerra fredda, rispetto all’aviazione che poteva, in qualsiasi momento portare il carico all’uranio fino all’ultima destinazione. Un bombardiere, sostanzialmente, dal ruolo e prestazioni comparabili a quelle del B-52 Stratofortress, dotato tuttavia dell’ulteriore capacità di riarmo e rifornimento presso qualsiasi tratto acquatico sufficientemente calmo e lungo. Nient’altro che un’adattamento, strategicamente rivoluzionario, del concetto all’epoca primario dei cosiddetti aerei di pattuglia, ovvero in grado di operare lontani da quelle basi che, senza ombra di dubbio, avrebbero costituito il primo bersaglio degli ordigni provenienti dall’Est. L’aereo persino nella sua accezione sperimentale con numero di serie XP6M-1, fatta decollare per la prima volta il 14 luglio del 1955 con una missione segreta condotta dal pilota sperimentale George Rodney, si dimostrò persino più veloce una volta in volo dell’alternativa con partenza e atterraggio sulla terraferma, potendo raggiungere i 1.104 Km orari (mach 0,9) grazie all’uso di quattro turbogetti Allison J71-A-4 prelevati direttamente dal cacciabombardiere F-84 Thunderjet. Benché ciò rappresentasse comunque una riduzione necessaria delle aspettative rispetto ai turbo-ramjet originariamente previsti, non dissimili da quelli che avrebbero trovato posto sull’aereo da ricognizione SR-71 Blackbird esattamente 11 anni dopo, così come il raggio di “appena” 3.352 Km, comunque compensato dalla capacità di operare a partire da qualsiasi superficie acquatica del mondo. Ciò detto, già l’uso di un sistema propulsivo a reazione per un velivolo anfibio presentava una serie significativa di problemi, largamente responsabili della linea insolita e gli strani limiti di questo improbabile pellicano dei cieli…

Aerei possibili, testimonianza di una guerra che avrebbe potuto verificarsi e che, per fortuna, non c’è mai stata. Possibile che qualcuno, un giorno, possa tornare a proporci scenari di una tale reciproca distruzione?

Con una lunghezza di 40 metri e un peso al decollo di notevoli 83 tonnellate data la struttura concepita anche per resistere alla forza trasversale delle onde, il velivolo si presenta infatti con ali a freccia disposte a 40 gradi e motori collocati, in maniera insolita, al di sopra invece che sotto della struttura di sostegno. Questo per ovviare, per quanto possibile, al problema dell’acqua salmastra risucchiata dentro le turbine al momento del decollo, con conseguente usura di quest’ultime sensibilmente superiore alle aspettative. Creato sulla base di un appalto dai requisiti ben precisi nell’ambito della compagnia dell’aviatore veterano Glenn L. Martin, l’aereo dovette inoltre essere adattato alla realtà dei fatti con un riorientamento dei quattro motori in maniera obliqua, visto come la loro vicinanza eccessiva alla carlinga tendesse a danneggiarla dopo un breve periodo di utilizzo nella configurazione convenzionale. L’aereo fu dotato di un ingegnoso compartimento per il carico bellico capace di ruotare in senso longitudinale, tornando perfettamente a tenuta stagna dopo l’avvenuto rilascio delle bombe contenute all’interno mentre una coppia di galleggianti permanenti, attaccati all’estremità delle ali, ne garantivano la stabilità anche in situazioni di oceano particolarmente movimentato. Una volta in acqua il Seamaster poteva essere riconvertito mediante l’impiego di un carrello rimovibile con pneumatici, permettendo il suo approdo e conseguente “spiaggiamento” presso installazioni costiere o basi avanzate all’interno di un territorio ostile. I vertici del comando, colpiti dal potenziale di un simile apparecchio, non tardarono ad incrementare i fondi per un progetto che sarebbe arrivato a costare, nel giorno della sua cancellazione, circa 400 milioni di dollari, equivalenti a 2,5 miliardi dei nostri giorni. Il primo brusco risveglio sarebbe quindi giunto il 7 dicembre del 1955, soltanto due giorni dopo la morte dell’ormai anziano Martin, quando durante una prova di volo sopra il fiume Potomac con equipaggiamento bellico completo l’aereo subì un guasto del sistema di controllo, puntando con il muso dritto verso il terreno e disintegrandosi in volo una volta superata la velocità massima, in un incidente costato la vita ai quattro membri dell’equipaggio incluso il quarantenne Victor Utgoff, uno dei più famosi ed abili piloti d’idrovolanti della Marina. Un secondo prototipo con nome XP-2 venne quindi introdotto nel 1956, dotato di migliori sistemi di sicurezza inclusi seggiolini eiettabili per l’intero equipaggio. I quali sarebbero stati usati, per fortuna con successo, dopo l’ulteriore malfunzionamento che avrebbe portato all’ulteriore distruzione di un esemplare idealmente pronto all’impiego attivo. Senza tuttavia perdersi d’animo, la compagnia produttrice realizzò nel 1959 una terza versione sensibilmente migliorata dal nome di P6M-2, questa volta dotata di motori Pratt & Whitney J75, sensibilmente più potenti e moderni dei J71-A-4 benché privi di afterburner, allungando lo spazio d’accelerazione necessario affinché il pesante aereo riuscisse a sollevarsi da terra; il che, d’altra parte, risultava meno problematico di quanto si potesse pensare data la capacità d’impiego di un qualsivoglia braccio di mare. Il nuovo modello, originariamente ordinato in 24 esemplari poi ridotti della metà, vantava in aggiunta la dotazione di avionica migliorata, un posto di comando con visibilità superiore ed un nuovo sistema di spostamento del carburante durante il volo, per rifornire un eventuale secondo membro della missione. Ciononostante, il velivolo non era ancora completo, presentando alcuni residui problemi di stabilità e la tendenza ad oscillare in senso verticale riprendendo alla lontana i movimenti del delfino, per l’effetto di una condizione chiamata in gergo porpoising. A questo punto, dunque, la marina aveva sensibilmente perso l’interesse nel progetto e non soltanto per il superamento del budget, ma un letterale cambiamento dell’ipotetico scenario di guerra atomica totale a cui tale bombardiere avrebbe dovuto rispondere a seguito di un riscaldamento del conflitto con i russi. La progressiva diffusione dei sottomarini con sistemi di lancio missilistico, in aggiunta all’aumento della portata dei sistemi balistici, aveva rapidamente trasformato il bombardamento aeronautico nella metodologia più lenta e meno sicura per sganciare il carico atomico sulle teste del nemico. E tutto questo senza considerare, neppure, l’aspetto logistico dell’intera questione…

Il Seamaster, pur contrastandone adeguatamente le implicazioni più problematiche, non poté mai risolvere del tutto il fattore d’usura dell’aspirazione d’acqua da parte dei motori. Ciò avrebbe rappresentato uno dei problemi impossibili da risolvere di questo aereo, che avrebbero portato, in ultima analisi, alla sua cancellazione.

Nessun aspetto della guerra può essere condotto a risoluzione senza la costituzione di un’ideale filiera di rifornimento e ciò riuscì ad includere, durante l’inizio dell’era della guerra fredda, tutti quei dispositivi idealmente usati nella costituzione del cosiddetto triangolo nucleare (silos missilistici>bombardieri>sottomarini). L’effettivo impiego del Seamaster nel suo scenario ideale infatti, con atterraggio e approvvigionamento presto recessi costieri non sorvegliati del territorio nemico, implicava la realizzazione di navi e sommergibili ad hoc per il trasporto di carburante, armamenti e pezzi di ricambio, con un cambiamento radicale delle dottrine stesse della marina. E tutto per occupare uno spazio che, comunque, risultava già perfettamente coperto dalle capacità operative dell’Aviazione. Il 21 agosto del 1960, noncurante degli investimenti già spesi, il comando centrale decise quindi per la terminazione del progetto, procedendo allo smantellamento immediato degli 8 esemplari già consegnati. La compagnia dell’ormai defunto Glenn L. Martin, dopo un breve tentativo di riconvertire il Seamaster e proporlo per un’impiego civile, decise di cambiare del tutto il proprio ambito operativo, entrando nella produzione di sistemi elettronici e missilistici durante la corsa allo spazio, un ambito in cui resta rilevante tutt’ora, essendo stata incorporata tramite fusione del 1995 con il colosso dell’aviazione Lockheed, per formare l’attuale Lockheed Martin Corporation.
Un concetto capace di sorprendere chiunque, nel vicinato quantistico degli universi più prossimo al nostro: che un bombardiere possa operare senza bisogno di piste d’atterraggio o super-portaerei, come si era ipotizzato inizialmente negli anni 50 e prima dell’introduzione della classe Nimitz, con l’altro progetto inconcludente della USS United States (CVA-58). “Così vedi Eli, quello è un Seamaster. La versione militare del SeaMistress, aereo che rivoluzionò i trasporti via mare verso la metà del secolo scorso. Chissà come sarebbero andate le cose, invece, se la terza guerra mondiale non ci fosse mai stata…”

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