Con espressione rapita e gestualità contestualmente valida, l’uomo noto come Teppei Okada usa l’archetto al fine di ricostruire un’atmosfera, caratteristica di un momento storico ben preciso. Il capitano Falcon, cacciatore di taglie a bordo del suo bolide cobalto, disegna la perfetta traiettoria in curva mentre approccia, con manovra spericolata, la rapidissima Golden Fox (o Volpe Dorata) del Dr. Stewart, lo scienziato trasformato in pilota della Formula… Zero. Alfa ed Omega, sogno di un’intera generazione di appassionati, passatempo di un futuro decadente, in cui la sopravvivenza del più forte è (od era) diventata la regola stessa di ogni competizione sportiva, inclusa quella motoristica, di auto magnetiche sopra una pista degna di montagne russe sconosciute. A un tratto e inaspettatamente, Falcon perde il controllo (ma c’è davvero lui al volante?) mentre rimbalza più volte contro le anguste pareti di una serie di curve; uno, due, tre possenti colpi sulle corde del violino, perfettamente in linea con il suono che in molti ancora ricordiamo. E quando la macchina, alla fine, esplode prevedibilmente, Okada che emette quell’ultima nota del colore dell’arcobaleno spento e poi s’inchina, stanco. Ma lieto.
Era il migliore dei tempi, era il peggiore dei tempi. Era un’epoca di avanzamento tecnologico, era un tempo di stagnazione. Fu il passaggio dall’idea dell’immaginazione a quella della grafica, più definita, chiara e colorata, mentre l’industria rotolava e ripiegava su se stessa, nel disperato tentativo di rinnovarsi. L’Industria dei videogames ovviamente, mentre il mondo delle aspettative si trovava in bilico sul ciglio dei 16 bit, momento trasformativo in cui tutto doveva certamente cambiare, eppure ogni cosa era rimasta la stessa. Giochi sportivi, giochi su licenza, riduzioni un po’ meno stringenti dalla sala giochi, sospirato mondo ancora irraggiungibile dai sistemi cosiddetti “casalinghi” fatta eccezione per l’eccezionale (e costosissimo) Neo Geo, popolarono i primi due anni del celebre Mega Drive o Genesis che dir si voglia, rivaleggiato unicamente dal PC Engine di NEC in territorio giapponese. Entrambe console di ragionevole successo, che tuttavia non preoccupavano il re vetusto assiso sul suo trono d’inviolabili 8 bit. Nintendo, l’azienda vecchia più di un secolo, ed il suo Entertainment System o Family Computer che dir si voglia, a seconda della regione di appartenenza, la cui fetta di mercato non aveva fretta di ridursi, nonostante la tecnologia ormai grandemente superata e grazie al fervido supporto di giocatori e software house. Fu tuttavia verso l’inizio del 1990 e con l’intenzione di andare a meta per il Natale di quell’anno, che la cosiddetta grande N aveva preso la potenzialmente costosa decisione, finalmente, di rinnovarsi. E quindi giunse sul mercato, lui: il Super Nintendo/NES/Famicom/Comboy, il prodotto senz’altro destinato a lasciare il segno più indelebile della sua Era, nella non lunghissima storia dell’intrattenimento digitale interattivo. Con un prezzo di lancio iniziale di 25.000 yen di allora (circa 230 euro al cambio attuale) il compatto parallelepipedo azzurro offriva molto dal punto di vista componentistico e digitale: un microprocessore Ricoh 5A22 modello WDC 65C816 da 16 bit con clock da 3.58 MHz, affiancato da una Picture Processing Unit (PPU) per gestione hardware della grafica con 64 Kb di SRAM e un co-processore dedicato unicamente al sonoro, progettato e prodotto da Sony, noto come S-SMP, dotato di ulteriori 8 bit e 64 Kb di SRAM. Ciò che il Super Nintendo avrebbe faticato a guadagnarsi, tuttavia, era una vasta libreria di giochi, essendo dotato per l’intera finestra di lancio di un piccolo ventaglio di titoli, tutti ricevuti ragionevolmente bene dalla critica. Che includevano titoli familiari, come il nuovo Super Mario e Gradius, grandi nomi del mondo PC (Sim City) e poi c’era… F-Zero. Qualcosa che mai e poi mai, nessuno avrebbe mai provato neppure remotamente ad immaginarsi…
Tra le principali caratteristiche dei giochi first party Nintendo è innegabile che la musica sia sempre stata tenuta in altissima considerazione. Fin da quando Shigeru Miyamoto stesso chiese al neo-assunto Koji Kondo di creare una colonna sonora “Ispirata al movimento” per il suo magnum opus del 1985 Sūpā Mario Burazāzu, ogni titolo della più famosa compagnia produttrice di videogiochi fu sempre accompagnato da note in qualche modo memorabili ed appropriate, perfettamente calibrate per il tipo di esperienza offerta al giocatore. Ed il veicolare F-Zero, sonorizzato da una collaborazione tra Yumiko Kanki e Kozue Ishikawa non fece certo eccezione, con una colonna sonora dall’ispirazione Jazz ed Elettronica, composta da dieci brani per le altrettante ambientazioni delle piste più i temi del titolo, la selezione del personaggio e il finale. Alcuni dei quali eccezionalmente resi, come del resto ogni altra produzione per il canale YouTube di questo eclettico musicista, dal violino di Teppei Okada, altrettanto abile nell’imitare con le sue note svariati effetti sonori prodotti durante il gioco. Ciò che avrebbe fatto la storia, per quel particolare titolo, sarebbe stato tuttavia non l’aspetto aurale ma quello visivo, attraverso il “trucco” che più di ogni altro avrebbe definito da solo il successo della nuova console Nintendo: l’ormai quasi leggendario Modo 7. Al termine della serie delle metodologie di visualizzazione del processore grafico della console, infatti, si nascondeva un metodo di visualizzazione del fondale capace di renderizzarlo in prospettiva e addirittura farlo roteare liberamente trasformandolo in una vera e propria texture, in maniera simile a quella ricercata in precedenza su altri sistemi con approcci software dal costo notevole in termini di prestazioni. Ed F-Zero, così come l’immediatamente successivo simulatore di volo lite Pilotwings, sarebbe stato il banco di prova definitivo per tale meccanismo, ponendo per la prima volta il giocatore non sopra o di fianco al suo veicolo bensì letteralmente DIETRO, con un grado di coinvolgimento semplicemente mai raggiunto prima. Ecco dunque un gioco che non soltanto raggiungeva, nei suoi obiettivi, la perfezione della sala giochi ma la superava addirittura, offrendo un’esperienza a tutti gli effetti ed innegabilmente, incredibilmente NUOVA. Aggiungete a tutto questo un modello di guida ragionevolmente interessante, una sfida adeguata e l’interessante tematica delle corse fantascientifiche, soltanto raramente affrontata dai videogames fino a quel momento, ed avrete la ricetta per un gioco capace non soltanto di affascinare, bensì creare un vero e proprio nuovo genere, che per vie alterne sopravvive tutt’ora. Non sarebbe del tutto irragionevole definire, dunque, F-Zero come il singolo gioco “simulativo” più influente dell’inizio degli anni ’90, perché dimostrava quello che fino a tal momento non era stato possibile, spalancando la porta d’incredibili opportunità. Di lì a poco, naturalmente, le rotazioni vertiginose del Modo 7 avrebbero trovato infinite applicazioni, per lo più di un tipo largamente convenzionale: far ruotare e accrescere le piattaforme di Castlevania e Contra, le mappe di Final Fantasy e 7th Saga, i fondali di Super Turrican. A un certo punto, così come fatto dai loro predecessori dell’epoca 8 bit, gli sviluppatori scoprirono che era possibile “imbrogliare” il sistema attribuendo le capacità del Modo 7 a personaggi molto grandi come i mostri di fine livello, a patto di includerne la grafica all’interno del background. E così via a seguire, attraverso un’intera generazione di giochi in cui l’effetto 3D, per quanto solo in parte convincente, avrebbe costituito l’irraggiungibile marcia-in-più di una console, ancora una volta, destinata a dominare il mercato. Ma a che prezzo?
Il sogno e il segno di un passato digitali che fin da allora amava muoversi per “generi” ed ogni volta che trovava una formula vincente, continuava a batterla come l’impasto del mochi, in un’interminabile ma memorabile notte dell’eterno capodanno. Letterali dozzine di giochi quindi, incluso l’epocale Mario Kart della stessa über-N, continuarono a riproporre la stessa formula di F-Zero, senza tuttavia riuscire a riprodurne l’indimenticabile impatto. Semplicemente perché dopo quel punto di svolta, non furono poi così tanti i paragonabili momenti in cui il mondo ci venne tolto da sotto i piedi, cambiando quanto era effettivamente possibile visualizzare sopra uno schermo interattivo. La lunga e fallimentare epoca del full-motion video su CD-ROM. Il vero 3D della Playstation e tutto quello che venne dopo. I vasti mondi interattivi dell’open world… E nel più prossimo futuro, quando finalmente il mondo si risveglierà alla sua esistenza, la realtà virtuale nuovo secolo 2000. Che ben poco ha da spartire, a parte il concetto di base, con i primi timidi esperimenti di una decade prima
Benché sopravviva nonostante tutto, lo strisciante ed orrido sospetto, che nessun progresso potrà mai realmente palesarsi, finché non sia, per la quintilionesima volta, un’ormai vetusta ma ancor fervida Nintendo a cavalcarne l’onda verso il futuro. Rivoluzionaria vecchia di due secoli, mai stanca di cambiare la vincente mano di Hanafuda che nasconde tra le sue mariesche mani, guantate di bianco come quelle di un ricchissimo e spietato Topolino.