I tre aerei giapponesi nella pancia della balena

Speranza, terrore, odio: molti sono i significati che possono nascondersi all’interno di una parola. Come Sen (潜) Toku (特) o Sottomarino-Speciale, il dispositivo creato dalla dottrina bellica di un paese che aveva intenzione di dominare il mondo, o quanto meno l’Asia, ma avrebbe contrapposto la propria forza sconsiderata contro un ostacolo inamovibile ed altrettanto disposto a recarsi oltre le regioni iperboree della crudeltà… A partire da quel fatale 7 dicembre 1941, dell’attacco condotto a Pearl Harbor contro la flotta americana senza nessun tipo di preavviso e fino al rilascio delle due bombe atomiche, ultimo atto nella più sconsiderata serie di massacri mai perpetrati nella storia già sanguinaria dell’umanità. Il problema del Giappone nella seconda guerra mondiale, ad ogni modo, fu che era disposto a far tutto pur di riuscire ad imporsi come superpotenza globale, incluso ricorrere a vie non del tutto in linea con il comportamento considerato appropriato di un nazione in guerra (ahimé!) Il che lo portò ad utilizzare, ancor prima dell’ultimo capitolo, l’impiego di armi particolarmente insidiose, come le pulci testate in laboratorio attraverso gli orribili, e per questo fin troppo poco discussi esperimenti dell’Unità 731. Può sembrare in effetti contro-intuitivo che il più possente ed enorme di tutti i battelli sottomarini fino alla seconda metà del ‘900 fosse stato costruito al fine di ospitare un così umile insetto, finché non si considera il posizionamento di esso, assieme a centinaia di migliaia di suoi simili, all’interno di una bomba, attaccata sotto la fusoliera di un velivolo creato ad-hoc. L’aereo noto come Aichi M6A o Seiran (晴嵐 – brezza di montagna) o per essere più precisi, una serie di tre. Il tutto motivato dall’intenzione inizialmente implicita, poi battezzata poeticamente Yozakura Sakusen (夜櫻作戰 – Operazione “Boccioli di Ciliegio Notturni”) finalizzata al rilascio di parassiti portatori del batterio della peste sulle città della costa occidentale degli Stati Uniti, così come era stato fatto, con “ottimi” risultati, sopra svariate città dell’entroterra cinese.
L’idea di fare spesso ricorso a portaerei sommergibili, una commistione di elementi effettivamente praticata soltanto dai giapponesi, viene generalmente ricondotta alla singola figura polarizzante dell’ammiraglio Isoroku Yamamoto, che dopo aver riformato e modernizzato l’intera marina del suo paese assunse la posizione politica sconveniente che l’alleanza con Germania e Italia non fosse in alcun modo nell’interesse del solo ed unico Paese degli Dei; il che gli sarebbe valsa una “scorta di sicurezza” fino al giorno della sua morte, ma non il sollevamento dal ruolo della sua carica, poiché semplicemente troppo utile si seppe dimostrare, nelle decisioni di tipo strategico prese a seguire da quel momento. Come il convincimento delle alte sfere che la Dai-Nippon Teikoku Kaigun (大日本帝国海軍 – Marina del Grande Impero Giapponese) dovesse disporre di un sistema d’attacco tanto invisibile e insidioso, che decine, se non centinaia di Pearl Harbor avrebbero avuto modo di verificarsi negli anni fatidici a partire dal 1942. Per un progetto finalizzato alla costruzione di 18 imbarcazioni capaci di nascondersi tra le onde dell’oceano, quali il mondo non aveva mai visto prima di quell’ora infuocata. Naturalmente come tutti sappiamo, Isoroku sarebbe stato ucciso in un gran colpo di fortuna (?) dall’aviazione americana nell’aprile del 1943 durante un trasferimento, a seguito di un feroce scontro aereo tra P-38 Lightning e gli A6M Zero di scorta, terminato con la rovinosa caduta sull’isola di Bougainville del bombardiere incaricato di trasportare l’ammiraglio. Il che avrebbe portato, immancabilmente, a una riduzione dell’ambizioso progetto: da 18 a 9 sommergibili Sentoku, quindi soltanto 5 ed alla fine, 3. Ma il fatto stesso che anche soltanto uno di questi mostri sia effettivamente riuscito a salpare, avrebbe dovuto gettare nel più profondo sconforto persino il cuore di Nettuno…

Dotato di prestazioni valide coi suoi 474 Km/h e un raggio operativo di 1.188 Km, il Seiran era un aereo da attacco al suolo biposto con speciali caratteristiche per favorire l’uso a partire da un sommergibile. Tra le mansioni possibili, figurava anche quella di aerosilurante.

La chiave nel comprendere l’enorme potenziale dei Sentoku (numero di serie I-400) va rintracciata nel fatto che essi non erano ottime portaerei, né poderosi sommergibili capaci di vincere qualsiasi tipo di conflitto in mare. La loro assoluta imponenza li rendeva anzi assai poco maneggevoli e facili da rilevare, per non parlare della torre fuori centro che limitava la loro capacità di manovra e l’incapacità di raggiungere una profondità pari alla lunghezza complessiva (casistica pericolosa, nel caso d’immersioni d’emergenza). Questo perché si trattava barche dotate di una funzione specifica e soltanto quella: far decollare i tre bombardieri dietro le linee nemiche, con un qualche tipo di carico o un obiettivo speciale. La versione effettivamente entrata in produzione dell’I-400 aveva una lunghezza di 122 metri per una stazza di 6.670 tonnellate, con speciali cavi elettrici capaci di confondere le mine magnetiche, copertura anecoica e una particolare struttura della camera a pressione che ricordava il numero 8. Questo perché, nella parte superiore, trovava posto un hangar a tenuta stagna simile a un tubo dalla sezione circolare, lungo 31 metri e con un diametro di 3,5. Spazio perfetto ad ospitare gli appositi Aichi M6A, con le ali debitamente ripiegate all’indietro e verticalmente nonché ancora privi dei galleggianti che avrebbero dovuto permettergli, idealmente, di far ritorno a fianco del sommergibile, per essere recuperati con l’apposita gru. Mentre il lancio avrebbe avuto luogo mediante l’impiego di una catapulta sul ponte ad aria compressa, così che gli aerei potessero partire in minor tempo e senza alcun tipo di orpello aerodinamico con la forma di una doppia canoa, il che ne avrebbe ovviamente impedito il recupero. Ma a quel punto della guerra nessuno, del resto, si aspettava che i piloti tornassero vivi al completamento di quel tipo di missione…
All’epoca della morte di Isoroku, ad ogni modo, il piano fondato sulle pulci dell’operazione Yozakura aveva tardato a concretizzarsi, facendo favorire ai nuovi vertici della Marina l’idea del 1943 del capitano Chikao Yamamoto e il comandante Yasuo Fujimori per l’invio del primo sommergibile della serie contro la singola infrastruttura più importante per la flotta statunitense: il canale di Panama, punto di congiunzione tra i due oceani distinti. Il che avrebbe richiesto l’avvicinamento senza attirare l’attenzione del formidabile forte Sherman coi suoi cannoni dalla portata di 27 Km, prima di far decollare i Seiran con le loro bombe da 800 Kg, destinate a colpire le chiuse sul lato dell’Atlantico, considerate più difficili da riparare. Mentre gli ultimi perfezionamenti al piano venivano implementati, incluso quello prevedibile di trasformare i bombardieri in aerei kamikaze all’insaputa degli stessi piloti (che comunque avrebbero fatto nel momento della verità, si sperava, la cosa “giusta” per l’Impero) a giugno del 1945 giunse tuttavia la notizia che la flotta americana, avendo conseguito una vittoria dopo l’altra, si trovava ormai presso l’atollo di Ulithi, pronta a lanciare l’invasione finale del territorio del sacro Giappone. Poiché “Il saggio non guarda il fuoco distante quando la manica del suo kimono è anch’essa lambita dalle fiamme” si decise quindi che entrambi i sommergibili I-400 pronti all’azione dovessero recarsi verso tale destinazione assieme a tutti gli altri capaci di trasportare uno o due aerei ciascuno, per lanciare un nuovo attacco (suicida, ovviamente) dalla portata comparabile a quello che aveva dato inizio alla dannata guerra del Pacifico. Con la stessa mentalità di allora, quindi, si ritenne opportuno camuffare i caccia con le stelle e strisce statunitensi, nella speranza di confondere il nemico fino all’ultimo momento. Poco dopo che i voli di ricognizione preliminare erano stati completati verso la fine del mese di luglio, tuttavia, i bombardieri americani sganciarono le due atomiche di Hiroshima e Nagasaki, portando all’imprescindibile e inappellabile resa del paese. Una volta trasmesso per radio il celebre discorso dell’Imperatore del 15 agosto, agli equipaggi dei Sentoku venne ordinato di distruggere le proprie armi e consegnarsi agli americani, cosa che fecero presto, benché a malincuore.

Gli I-400 erano dotati di quattro motori diesel da 2,250 cavalli ciascuno, con un’autonomia tale da permettergli di raggiungere qualsiasi luogo al mondo. Ciò non li avrebbe salvati, in ultima analisi, dalla necessità di arrendersi al loro più temuto nemico.

Dopo la guerra gli Stati Uniti si ritrovarono quindi in condizione di catturare e sottoporre ad approfondite analisi un totale di 24 sommergibili, inclusi i tre I-400 di cui uno era stato trasformato, comunque, in nave di trasporto del carburante. Una volta ricevuta la richiesta da parte della Russia di far venire a bordo anche i loro esperti per acquisire la tecnologia del comune nemico, la marina statunitense lanciò subito un’operazione speciale per il trasferimento delle imbarcazioni a largo dell’isola di Fukue, dove vennero affondate con il C4 a una profondità di 200 metri. Alcuni battelli particolarmente speciali, nel frattempo, tra cui due dei Sentoku, vennero portati a Kalaeloa nelle Hawaii per ulteriori studi, poco prima di essere, anch’essi, silurati.
Ultime vittime, in acciaio e diesel, di una guerra che poteva finire soltanto con l’impiego di armi terribili orientate all’annientamento di civili, indipendentemente da quale fosse stato il lato destinato ad ottenere l’orribile trionfo. Una casistica paradossalmente evidente nell’esposizione odierna dell’unico bombardiere Seiran sopravvissuto, custodito proprio nel museo dell’aviazione a Washington a poca distanza dal bombardiere atomico Enola Gay. Perché molti possono essere i significati di una parola, soprattutto se quella parola è Morte. E non c’è poi una così diversa funzionalità d’intenti, tra particelle subatomiche scagliate senza criterio o pulci infette che piovono dal cielo come una piaga creata dagli umani stessi. Benché ciò che conti, in guerra come in pace, siano le azioni effettivamente portate a termine dai rispettivi schieramenti. Ed il numero di coloro che, dinnanzi allo sguardo dei secoli, furono destinati a pagarne il prezzo finale.

Lascia un commento