1984: la leggenda della scatola straordinaria

Casi a seguito dei quali il nostro mondo, o luoghi di universi alternativi simili soltanto in apparenza, avrebbero potuto vivere un presente profondamente diverso: la carrozza centrale di un treno, posta in tale posizione proprio per minimizzare il rischio d’incidente, inizia lentamente a deragliare all’insaputa del macchinista, all’interno di un tunnel stradale sotterraneo. Data la gravità soltanto relativa dell’evento, il sistema di sgancio automatico entra in azione, evitando temporaneamente il disastro. Ma poco dopo che la parte frontale del treno è uscita dal pericolo, quel contenitore ricolmo di acido idroclorico si adagia su un fianco, mentre le scintille generate dall’impatto appiccano il fuoco al liquido che fuoriesce sui binari. Nel giro di pochi minuti, l’incendio si propaga agli altri vagoni, contenenti per un caso avverso del destino carichi di carta ed altro materiale infiammabile. Il pertugio illuminato a giorno, a questo punto, si trasforma in un inferno: per cinque giorni e cinque notti le fiamme regneranno incontrastate al suo interno, prima che i vigili del fuoco possano riuscire, finalmente, a fermarle.
Questa è la vera storia dell’incendio del tunnel di Howard Street, a Baltimora nel Maryland, verificatosi nel corso del 2001, il quale se si fosse svolto circa una ventina di anni prima, avrebbe avuto possibili conseguenze di portata decisamente più grave. Poiché all’epoca, la fiducia nella tecnologia era decisamente più elevata e tutti credevamo, nostro malgrado, che fosse possibile racchiudere un qualcosa e difenderlo da ogni possibile avversità del trasporto. Volete una prova? Basti ritornare, con la memoria, al memorabile caso dell’Operazione Smash Hit, famosa prova tecnica finale nonché evento propagandistico, condotto con notevole successo mediatico dall’Ente Centrale per la Generazione dell’Elettricità inglese in un fatidico 17 luglio, dopo i circa 4 anni di preparazione a partire dal 1980, per creare il Contenitore Perfetto in Terra: Nuclear Flask o “fiasca” nei fatti un letterale crogiolo di metallo simile a un cassonetto con lo spessore di 370 mm, racchiuso in un involucro di cemento a sua volta foderato da ulteriore metallo con alette di raffreddamento per un peso complessivo di circa 30 tonnellate. Il tutto sigillato con saldature o bulloni speciali, affinché nessuno potesse essere in grado, neppure utilizzando i più avanzati strumenti, di aprirlo. E perché mai avrebbe dovuto farlo, d’altra parte… Visto il contenuto assolutamente indegno di esistere, se soltanto dovessimo stabilire una graduatoria basata sulla pericolosità inerente: uranio-233, uranio-235 e plutonio-239 raccolti in pratici pellet, a loro volta inseriti in tubi di metallo da inserire all’interno delle vasche usate nel processo di generazione dell’energia nucleare tipico dei reattori di tipo Magnox usati nell’Inghilterra di allora. Ed ormai inutilizzabili poiché già soggetti alla trasformazione, benché ancora pericolosi per ogni essere vivente e destinati a restarlo, per quanto ci è dato di sapere, per un periodo approssimativo di 24.000 anni. Ecco dunque l’idea di far corrispondere a tale remota finalità un’azione ingegneristica direttamente opposta, dedicata alla costruzione di un qualcosa la cui sacralità niente o nessuno potesse pensare, anche soltanto in in linea di principio, di riuscire a violare! Ma FARE non è sempre sufficiente, quando occorre soprattutto FAR SAPERE a tutti che una determinata cosa è sicura e dovrà essere considerata tale dal vasto pubblico, pena il generarsi di proteste, contrattempi e cambi al vertice dei partiti politici che controllano il paese. Il che avrebbe ad un certo punto portato, all’apice degli anni del thatcherismo, al bisogno percepito di un qualcosa di eclatante, che potesse dimostrare l’assoluta perfezione dei livelli di prevenzione raggiunti, attraverso l’impatto ad alta velocità del treno stesso, non così profondamente dissimile da quello del tunnel in Maryland, contro l’invincibile oggetto di tante immotivate (?) preoccupazioni…

Le moderne prove tecniche a cui deve essere sottosta una Nuclear Cask negli Stati Uniti (“sarcofago” invece che “fiasca”) non differiscono sensibilmente da quelle britanniche di allora, benché sembrino vedere l’aggiunta altamente spettacolare dell’impatto frontale a bordo di camion dotato di propulsore a razzo.

L’operazione Smash Hit era stata a quel punto del resto già sottoposta a trattazione specifica, pubblicazioni scientifiche ed occasionali servizi del telegiornale più volte. A partire dalle sperimentazioni tecniche a cui era stata sottoposta la “fiasca” inclusa quella di caduta libera, sullo spigolo, dall’altezza di 9 metri contro una superficie rigida grazie all’impiego di una gru di sollevamento, evento a seguito del quale il coperchio si era rovinato portando alla fuoriuscita di una piccola quantità dell’acqua comune della prova, utilizzata per simulare il liquido di raffreddamento delle terribili scorie nucleari. Al che il comitato tecnico, dopo una totale ri-progettazione di tale componente, passò al tentativo di perforazione mediante una sbarra d’acciaio di 16 cm di diametro, dimostratosi completamente impossibile e la successiva “cottura” dell’oggetto alla temperatura di 800 gradi per 30 minuti, seguìta dall’immersione in acqua per un periodo di 8 ore incapace di causare perdite di alcun tipo. Tutte caratteristiche destinante a diventare lo standard per questo tipo di dispositivi, agevolmente superate dal prototipo della CEGB, benché si ritenesse, a quel punto, che mancava ancora una risposta importante: ovvero, quale probabilità avesse la “fiasca” di sopravvivere al peggior disastro ferroviario immaginabile, senza rilascio di copiose quantità di materiali pericolosi e conseguente avvelenamento radioattivo di un’area dalle dimensioni potenzialmente simili a quelle di uno o due quartieri di una grande città. Il che avrebbe portato, in quell’assolata mattina estiva, al radunarsi di copiose quantità di curiosi, troupe televisive, giornalisti, un elicottero e l’inevitabile capannello dei contrari presso una specifica sezione della ferrovia per di Melton Mowbray-Nottingham Midland, chiusa al traffico normale fin dal remoto 1966 e riservata da quell’epoca a simili esperimenti. Dove un qualcosa di giallo e fuori dal contesto, apparentemente abbandonato da un gigante, giaceva con aria di sfida in corrispondenza del centro esatto dei binari. Il parallelepipedo ponderoso, apparentemente inviolabile, della fiasca. L’inevitabile impatto, secondo la conferenza stampa con cui era stato annunciato l’evento, si sarebbe verificato alla velocità di 90 miglia orarie (144 Km/h) della locomotiva British Rail Class 46 numero di serie 46009 contro l’oggetto inamovibile, con conseguenze quasi impossibili da immaginare. Da parte di tutti tranne coloro che, dal canto loro, tale evento l’avevano nei fatti organizzato. C’era infatti ben poco d’insucuro, in tale circostanza scenografica, bensì l’ingegneristica conferma di quanto i calcoli avevano già garantito: il treno che si disintegra, letteralmente, all’impatto con il contenitore il quale dal canto suo riporta soltanto danni estetici, essendo stato trascinato per qualche decina di metri lungo il corso dei binari, ma senza nessun tipo di “pericolosa” fuoriuscita finto-radioattiva. Il mondo, dunque, era salvo e la scatola aveva dimostrato la sua imprescindibile utilità. Giusto?
Più o meno. Immaginate, se potete, uno scenario come quello largamente citato a margine della questione del disastro del tunnel di Baltimora citato in apertura. Eventualità a seguito della quale non soltanto un incendio riesce a sviluppare temperature potenzialmente superiori a quelle certificate ma possa continuare a farlo per un periodo di molte ore, riuscendo a fondere nei fatti il sarcofago esterno del contenitore. Una prospettiva tanto terrificante da portare, due anni dopo il verificarsi dell’incidente, alla creazione da parte di una commissione dello stato del Nevada di uno studio in merito alle possibili conseguenze: contaminazione di un’area di 32 Km quadrati, con una stimata quantità di 50.000 morti per cancro entro un periodo di 50 anni e un costo di pulitura probabile attorno ai 13,7 miliardi di dollari. Non propriamente ciò di cui si vorrebbe sentir parlare, quando si parla di energia nucleare sicura, pulita ed efficiente, che nondimeno tal resta nella maggior parte dei casi. Tranne quando qualcosa, per un allineamento avverso del destino, cambia nei reciproci presupposti del Fato…

Il sistema di stoccaggio a secco, che vede le scorie nucleari sospese all’interno di un gas inerte ed inserite in apposite buche cementate, è uno dei fondamenti della moderna soluzione in-situ, che non vede il trasporto su lunghi tragitti del materiale bensì l’impiego della stessa zona di esclusione attorno alle centrali, per conservarlo auspicabilmente intonso attraverso le prossime 10.000 generazioni.

Ed è anche per questo che ad oggi, soprattutto negli Stati Uniti e il Canada, lo spostamento di scorie nucleari verso i rispettivi siti di stoccaggio viene tenuto segreto per quanto possibile, benché l’effettivo spostarsi dei treni da determinate posizioni risulti difficile da fraintendere per chi dimostri anche soltanto un transitorio interesse in materia. Ciò detto, è stata provata a più riprese la maniera in cui neppure il più esperto terrorista potrebbe riuscire ad aprire uno di questi contenitori in un tempo ragionevole, in un’operazione che terminerebbe del resto con la sua immediata contaminazione e conseguente improvvida dipartita. Ma la realtà dei fatti, potenzialmente ancor più preoccupante, è che le scorie nucleari vengono oggi spostate ancor meno di quanto avvenisse 20 anni fa, per il semplice fatto che i siti disponibili hanno ormai da tempo esaurito lo spazio. Il che porta per quanto affermano alcuni al progressivo accumularsi delle sbarre ormai esaurite nelle stesse vasche delle vecchie centrali elettriche, o nella migliore delle ipotesi seppellite attorno ad esse in speciali contenitori che comunque non costituiscono una soluzione a lunghissimo termine, ma soltanto una barriera inerentemente insicura contro uno dei più grandi problemi del mondo che verrà.
Da qualche parte, nel mondo, la variazione di temperatura ha già iniziato a generare la problematica condensa degli eventi. Che attraversando gli strati più solidi della materia, porta le subatomiche particelle radioattive ad evadere dalle spesse pareti della loro prigione metallica e cementizia. Poiché le leggende parlano, attraverso i racconti di ogni popolo, della stessa terribile verità: il risveglio, lungamente paventato, di un Grande Male. A seguito del quale soltanto una scatola ancor più grande, persino immortale, potrà proteggerci dall’infausto bombardamento radioattivo del codice genetico delle nostre cellule, stolidamente intente a riprodurre se stesse nella stessa identica maniera, anche quando si tratta di una pessima idea. Verso un destino, talvolta, peggiore della morte…

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