State attenti al bruco velenoso con la sella di un cavallo da parata

Abbiamo tutti attraversato un’età, andante grosso modo tra i 5 e i 10 anni, in cui la nostra massima prerogativa era fare il possibile per andare in cerca di guai. Spinti dalla naturale curiosità dei bambini, arrampicandoci sui muri, correndo su discese erbose e soprattutto raccogliendo, ogni qualvolta se ne presentasse l’opportunità, qualsiasi strana cosa riuscisse a catturare per un attimo la nostra attenzione. Il che costituisce un notevole problema potenziale, quando si considera l’esistenza a questo mondo di creature il cui primario desiderio, fin dal momento stesso in cui muovono i loro primi passi a questo mondo, è quello di non essere in alcun caso sollevate da terra. Poiché ciò vorrebbe dire, spesse volte, ritrovarsi alla mercé totale di un famelico predatore. Intento per poter seguire il quale, esistono essenzialmente due diversi approcci: spaventarlo, oppur mimetizzarsi. Entrambi quasi sempre del tutto inutili, dinnanzi a un cucciolo d’umano. Poiché l’odierna civilizzazione grazie alle lezioni impartite dalla cultura acquisita, in aggiunta a quella iscritta nel DNA, ha ormai da tempo superato l’innato timore o diffidenza nei confronti dei colori contrastanti, così come riesce a battere ogni forma in qualche modo avversa alla pareidolia (capacità di distinguere volti o forme appartenenti ad altri esseri viventi).
Perciò immaginate la difficoltà nell’inculcare ad un malcapitato pargolo, costretto a frequentare i rilevanti territori nordamericani, la lezione fondamentale di tenersi ben lontano dalla forma larvale della falena-lumaca Acharia stimulea! Un insetto la cui puntura non soltanto causa forte irritazione e dolori persistenti per diversi giorni, come nel caso della processionaria del pino europea (Thaumetopoea pityocampa) ma anche conseguenze sistematiche più gravi, come febbre, capogiri e tremori. Tanto grazioso e gregario, sopratutto durante i primi stadi del suo ciclo vitale successivo alla fuoriuscita dall’uovo giallo paglierino, da somigliare ad una collezione di biglie miracolosamente attaccate sotto la foglia di una larga varietà d’alberi o cespugli, prima di crescere assumendo quell’aspetto straordinario che da sempre lo rappresenta nella cultura popolare: il tozzo animaletto dotato di quasi invisibili pseudozampe, e per questo appunto collegato idealmente alle lumache, con due “teste” pienamente indistinguibili, ciascuna dotata di un bicorno dal complesso assembramento di aculei degni del più terribile istrice o porcospino. Che poi continuano sul corpo, tutto attorno all’appariscente rettangolo verde acceso del tutto simile a una coperta da equitazione, con un buco in mezzo che dovrebbe tenere in posizione il seggio del suo inesistente fantino. Ma è soltanto avvicinandosi a sufficienza, quando sarà ormai troppo tardi, che l’ipotetico bambino finirà per trovarsi a tu per tu con quel volto simile ad un teschio, in grado d’indurre il terrore nel più fiero ed orgoglioso dei samurai…

Chris Egnoto, autore del canale YouTube “Nature Now!” Ci fa omaggio di una breve ed omnicomprensiva lezione sull’A. stimulea, che trae gran vantaggio dalla sua dimestichezza e assenza di timore nel maneggiare a pochi centimetri dal volto una creatura così potenzialmente spiacevole al tocco.

La storia della vita di questo bruco è molto simile a quella di altri rappresentanti della famiglia dei Limacodidi, anche detti Euclidei o falene del bicchiere per la forma caratteristica del loro bozzolo, dotato di una speciale botola per agevolarne la fuoriuscita subito dopo l’avvenuta acquisizione della capacità di volare. Diffuso principalmente nelle zone dotate di clima tropicale negli Stati Uniti, benché stiano iniziando a verificarsene occorrenze anche altrove nel mondo (dopo tutto, la capacità tipicamente artropode di trar vantaggio da migrazioni accidentali indotte dall’uomo è assai nota). Tutto ha inizio verso il mese di marzo negli stati più caldi, come il Texas o la Florida, mentre la schiusa può ritardare fino a giugno/luglio man mano che ci si sposta verso settentrione e nelle regioni incontaminate del Pacific Northwest. Quando i bruchi sopra descritti, ancora caratterizzati da una lunghezza di pochi millimetri, iniziano a fare con enfasi quello che gli riesce meglio: fagocitare tutta la materia vegetale che gli riesce di trovare nei più immediati dintorni, attraverso una serie di dieci fasi, ciascuna culminante con un cambio di esoscheletro esterno, fino al raggiungimento della dimensione massima di 2 centimetri e mezzo. Una pratica in merito alla quale il bruco sella è leggendario, per la capacità caratteristica di non essere in alcun modo schizzinoso: figurano nella sua dieta olmi, querce, aceri, cornioli, alberi da frutta come mela o agrumi, infinite tipologie di cespugli (Malvacee, Malpighiacee) e addirittura la palma, rinomata per il suo basso contenuto di sostanze nutritive. Eppure paradossalmente, è proprio questa varietà nella dieta, insieme alla sua natura progressivamente più solitaria man mano che cresce di dimensioni, a renderlo un problema relativamente poco significativo per l’economia umana, poiché nessun vegetale cade vittima in maniera eccessiva delle sue mandibole costantemente operose. Dopo circa quattro-cinque mesi che una tale pratica va avanti, quindi, il bruco decide di essere finalmente abbastanza forte da affrontare la fase più difficile della sua vita, culminante con la metamorfosi che gli permetterà di mettere al mondo una prole. A quel punto, utilizzando quella stessa sostanza a base di oxalato di calcio che normalmente secerneva per lubrificare il suo strisciante moto di deambulazione, inizierà a costituire il duro bozzolo all’interno del quale trascorrerà un lungo inverno.

La muta di un bruco è sempre uno spettacolo straordinario a vedersi, poiché sembra dover comportare uno sforzo traumatico per il piccolo animale. Il quale al suo completamento, al contrario, appare totalmente rigenerato e dotato di una colorazione ancor più vivace e salutare di prima.

Per il bruco sella si tratta del periodo più pericoloso. Poiché contrariamente alla prima parte della sua esistenza, durante la quale aveva potuto fare affidamento sulla doppia arma evolutiva della colorazione aposematica e i peli velenosi, ora dovrà giacere immobile per molti mesi, con l’unica difesa della generosa dose di questi ultimi che avrà intessuto, con prudenza secolare, nell’involucro destinato a proteggerlo durante la complessa metamorfosi in direzione dello stadio di adulto. Ma sappiamo tutti fin troppo bene come, una volta che un uccello o altro predatore avrà addentato il pasto all’apparenza delizioso, poco importa il fatto che in seguito dovrà sentirsi male pagandone le conseguenze. Sopratutto per il bruco all’interno, ormai condannato a non poter conoscere le gioie dell’accoppiamento. Se tutto dovesse andare bene, tuttavia, se nessun incidente o catastrofe spazzerà via la foglia sotto cui si è scelto di passare ad uno stato d’immobilità, se nessun bambino dovesse commettere l’errore più grave della sua giovane vita, oh, gioia! Oh, giubilo! Una nuova falena potrà emergere dall’oscura non-esistenza, per graziare il mondo dei suoi… Ahem, Magnifici Colori?
Questa è l’ultima, nonché più significativa sorpresa del bruco sella: il fatto che una volta guadagnate le sue ali perda, essenzialmente, qualsivoglia aspetto estetico che possa essere definito degno di nota. Sono in molti effettivamente, persino nei nativi Stati, a non sapere neppure che “la strana lumaca” abbia l’abitudine di spiccare il volo, tanto marrone e in apparenza ordinaria diventa successivamente a quel fatale momento. Il che basta a farne, per concludere, il raro caso di un animale che sceglie la strategia del farsi spaventoso finché è giovane. Passando quindi al mimetismo, una volta che diventa in grado di scapparsene agevolmente via. Un’approccio all’esistenza che non può che essere chiamato contro-intuitivo. Così l’unico comportamento idoneo che si possa adottare dinnanzi a simili creature: guardarle molto da lontano, con ammirazione. A meno d’indossare i guanti, le maniche lunghe, il cappello e gli occhiali da sole. Perché il vento può sempre soffiarne in giro i peli veleniferi. Non si sa mai…

Acharia stimulea – forma adulta. Possibilmente, non fate caso allo spillone piantato nella testa dell’insetto, strumento scientifico di peso ancorché crudele.

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