L’effettiva triangolazione possibile del volo prevede che, nel preciso momento in cui si desideri sollevarsi da terra, il profilo del velivolo selezionato si presenti aerodinamico, elegante, per certi versi addirittura svelto. Tutto ciò in un’ottica orientata all’elaborazione di un sistema che risulti, al tempo stesso, istintivo e potenzialmente”sicuro”. Per un prezzo che difficilmente scende sotto i 100.000 o più. E poi ci sono gli elicotteri. Meccanismi che potremmo definire diabolici nella loro instabilità inerente, ovvero la difficoltà nel compiere manovre elementari e il rischio a cui va incontro, chiunque osi mettersi alla barra di comando, senza un’adeguata carriera di studio alle spalle. “Cercasi totale novellino, con esperienza” è il testo tristemente tipico di un certo tipo di annuncio di lavoro, molto diffuso in quest’epoca dei sogni di carriera infranti. Ma volare non è sempre, o necessariamente, un compito gravoso di per se. Bensì un hobby. Un divertimento. L’occasione spesse volte ripetuta di una vita. Perché mai, dunque, ancora non esistono approcci facili e che siano effettivamente alla portata di chicchessia? La risposta è che una soluzione esiste, senza alcuna ombra di dubbio, ed ha trovato vasta diffusione negli ultimi anni, soprattutto grazie all’opera di aspiranti registi e creatori d’intrattenimento. Ciò a cui mi riferisco, va da se, è il drone. Un oggetto telecomandato nel cui campo nessuno ha mai pensato di evocare il termine “aeromodellismo”, per il semplice fatto che nessuno ha mai pensato di sovradimensionare la tecnologia, al fine di trovargli un metodo d’applicazione sulla scala di utilizzo umana. Fino… Ad ora?
Mi alzo una mattina in California, felice essermi trovato assunto in un’azienda dell’odierna cornucopia del commercio digitale. Ma ahimé, vivo anche un dramma personale che ha cadenza pressoché quotidiana: come compiere il tragitto tra la casa e l’ufficio? Poiché l’area che si trova tra il sobborgo San Jose e la vasta metropoli di San Francisco, come è noto, vanta prezzi immobiliari che da decadi sfiorano l’eccelso ovvero l’ossessivo. E le arterie stradali usate per collegare i tre punti, per quanto vaste e ben tenute, nelle ore di punta si trasformano in dei veri fiumi di metallo, che risplendono insistentemente sotto l’astro solare. Perciò trenta, quaranta chilometri di trasferta giornaliera a passo di muflone, non costituiscono esattamente il modo migliore d’iniziare la giornata. E spostarsi col trasporto pubblico, nei moderni Stai Uniti, è una prospettiva quanto meno desolante. Alternative… Dunque, beh! Qualcosa c’è. O per meglio dire sarà presto disponibile, grazie all’opera di una realtà aziendale che opera, neanche a dirlo, proprio in questo centro di privilegiati alla ricerca di fortune ancor più vaste. Il suo nome è mosca nera (blackfly) il che pare un curioso binomio, quando si considera che tutte le mosche sono nere, fatto salvo per quelle che specificano l’innato candore, spesso dei vettori metaforici di un’individuo, o un concetto fuori dal comune. Un appellativo che sembra gridare al modo “Siamo del tutto normali” dunque, tuttavia attribuito ad un qualcosa che minaccia di scuotere le stesse fondamenta del concetto di trasporto personale. Quanto una simile minaccia sia fondata, in effetti, soltanto il tempo potrà dircelo, però è indubbio che il concetto in se presenti dei validi spunti d’analisi, configurati su un’antico sogno dell’epoca industriale: l’automobile volante. A proporla, questa volta, ci pensa Opener Aero, nella persona di Marcus Leng, canuto e fascinoso imprenditore che sembra aver deciso di lasciare il segno, a patto di fallire nel suo clamoroso tentativo di riuscirci. Ma chi dovesse pensare che questa sia soltanto l’ennesima start-up fondata su aria fritta, rendering tridimensionali e le aspettative sopra le righe della gente, potrebbe immediatamente cambiare idea, una volta saputo chi ha fornito in questi anni la pecunia necessaria a giungere fino alla fase di prototipo: niente meno che Larry Page, co-fondatore di Google assieme all’amico di vecchia data e collega Sergey Brin. E va da se che non si arriva facilmente a un capitale personale stimato di 53 miliardi di dollari, ponendosi a supporto di idee sciocche o prive una loro effettiva utilità. O in altri termini, potremmo dire che una volta che qualcuno si guadagna il supporto dei moderni imperatori finanziari, difficilmente il suo pensiero mancherà di creare anelli nell’incorporeo lago della tecnologia applicata, cambiando sostanzialmente le regole di ciò che sia lecito aspettarsi, o ragionevole pensare di acquistare.
Così all’ora della giornaliera trasferta, finisco di lavarmi i denti dopo aver fatto colazione; esco nel vialetto tipico della villetta a schiera americana. E con breve pressione del telecomando, apro il portellone del garage. Al suo interno, c’è una sorta di motoscafo oblungo, con strutture sporgenti a doppia T davanti, e dietro. Con un lieve sorriso di circostanza, salgo a bordo. Con un ronzio insistente, mi sollevo da terra, procedo lungo l’asse diagonale e in breve tempo sono in rotta, verso il tetto dell’ufficio o centro commerciale presso cui, trionfalmente, lavoro.
Dal punto di vista concettuale, Blackfly è un octocottero (8 pale, 8 motori), con motorizzazione sovradimensionata ma corrispondente a quella di molti droni, concepiti per l’uso privato o professionale. Ma è l’effettiva configurazione e il modo d’utilizzo degli stessi, che mostra notevoli gradi d’originalità. Poiché l’automobile volante in questione, come ama definirla il suo creatore, presenta queste due tozze paia d’ali su cui trovano posto i rotori, a un’angolazione che sfiora da vicino i 45 gradi. Ed è proprio questo, il colpo di genio elaborato dal suo inventore: perché il velivolo in questione, a seconda della necessità, è capace di adottare due assetti sostanzialmente diversi. Con asse della portanza orientato direttamente in verticale, verso l’alto, alla ricerca di un perfetto volo stazionario, oppure perfettamente parallelo al suolo, garantendo, oltre alla portanza, una notevole spinta in avanti controllata mediante le versatili superfici di controllo note come elevoni (elevatori+eqquilibratori) del tutto simili a quelle che venivano usate nell’aereo di linea Concorde. Tale dicotomia di assetti comunque prevede, inevitabilmente, che il pilota nel momento dell’atterraggio si ritrovi col sedile e lo sguardo rivolti verso il cielo, una condizione non proprio ideale al fine di valutare la posizione dell’eliporto/prato/pista a sua disposizione. Niente che una o due telecamere non possano risolvere, benché nulla di simile venga mostrato all’interno dei trailer pubblicati negli ultimi giorni. Tale approccio, ad ogni modo, è largamente responsabile della pubblicizzata facilità di pilotaggio: poiché tutto quello che deve fare l’unica persona a bordo, per spostarsi in avanti, è spingere in avanti un joystick, al cui rilascio il mezzo tornerà nuovamente immobile, con una rapidità e immediatezza niente meno che sorprendenti.
Per quanto concerne la velocità massima raggiungibile, questa si aggira sui 130 Km orari circa, ridotti per questioni normative a poco meno di un terzo nella versione per gli Stati Uniti, causa le limitazioni normative della classificazione come ultraleggero. Per un peso di appena 141 Kg, più altri 113 massimo riservati al pilota, grazie a una struttura in fibra di carbonio impregnato con resina epossidica. Il che ci porta, con immediatezza, al principale limite della questione: poiché Blackfly, come tutti i droni, sfrutta l’energia elettrica per muoversi, il che è di solito sinonimo di enormi e pesantissime batterie. Ecco, dunque, perché gli aerei ad emissione zero non sono stati ancora inventati: in un veicolo da strada sportivo come la Tesla, qualcosa come 7 quintali sono riservati ai soli banchi d’immagazzinamento dell’energia, prospettando uno scenario quanto meno problematico nel caso del dronone, potenzialmente capace di ridurre al lumicino la sua autonomia. Che si aggira, d’altra parte, sui 64 chilometri nella versione internazionale (di nuovo ridotte quasi della metà in America, causa gli stringenti regolamenti della FAA). D’altra parte, punto forte della proposta volante è la presenza di un sistema di ricarica veloce, in grado di raggiungere l’80% del totale in circa 25 minuti, a patto di disporre di una fonte d’energia adeguata. Il velivolo si configura dunque, allo stato attuale dei fatti, più come un mezzo per il divertimento sportivo o per provare direttamente l’ebbrezza del volo, che un’effettivo mezzo di trasporto utilizzabile in scenari di necessità. Benché quello del pendolarismo lavorativo, visto il tragitto prevedibile e ripetitivo, resti a suo modo affascinante. In caso di esaurimento delle riserve durante il volo, ad ogni modo, il pilota non andrà incontro a morte certa, data la presenza di un sistema di sicurezza per l’atterraggio forzato, mediante routine d’intelligenza artificiale tipiche dei droni, in tempo utile a salvare la pelle dell’utilizzatore distratto. Un’altra funzione in comune con i vari DJI e Parrot, del resto, è quella di “ritorno a casa” automatico, che possiamo presumere utile soprattutto nel corso delle prime esperienze d’impiego. Mentre necessariamente inadatta a tragitti lunghi, vista la possibile presenza di edifici o alberi lungo la strada. Fortunatamente, il Blackfly è anche anfibio, come facilmente desumibile dal suo “ventre di balena” stranamente privo di un carrello di atterraggio, ed anche in casi d’emergenza assoluta, come l’incredibile sfortuna di due o tre motori che smettano di funzionare contemporaneamente, sarà possibile sfruttare un paracadute balistico (non di serie) capace di aprirsi e funzionare anche a bassissima quota. La parola d’ordine, sotto il punto di vista della sicurezza, torna nuovamente ad essere la ridondanza.
Il tempo di rilascio di una versione commerciale, come spesso capita a questo stadio dei lavori, resta ad oggi misterioso. Mentre sappiamo il prezzo a cui l’imprenditore dietro a tutto questo vorrebbe, almeno idealmente, proporlo: “All’incirca quello di un SUV, benché gli early adopters saranno probabilmente chiamati a spendere qualcosa in più” (Ah, ci siamo abituati!) Il che a conti fatti non dice esattamente tutto, visto quanto possano variare i prezzi delle grosse automobili sportive contemporanee, facilmente oscillanti tra l’equivalente di 30.000 o 150.000 dollari. Anche l’estremità superiore della forcella, dal canto suo, lascerebbe il Blackfly pienamente nel territorio dei giocattoli per ultra-ricchi, riservandogli un segmento di mercato tutt’altro che privo di rilevanza.
Ma è davvero questo, ciò che si propone di fare? Difficile dirlo. Emblematica a tal proposito è la notazione offerta da Alan Eustace, altra personalità importante del colosso delle ricerche online Google, che comparendo nel servizio televisivo della CBS, afferma a proposito dell’insolito velivolo: “La mia carriera nel mondo della tecnologia mi ha insegnato che per passare dall’impossibile all’inevitabile, molto spesso, basta un singolo istante.” Lui che, imitando Felix Baumgartner, si è tuffato dalla stratosfera alla veneranda età di 57 anni. Sfruttando soluzioni tecnologiche come rilascio automatico, tuta con sistema di propulsione automatico, paracadute automatico. Ma forse è proprio questo il punto della questione: sfruttare l’intelligenza dei computer, per rendere fattibile quello che un tempo soltanto pochi potevano riuscire a sperimentare. Certo viene da chiedersi quanto trovarsi a bordo di un drone che limita artificialmente ogni possibile tipo di manovra “estrema” possa risultare effettivamente eccitante. Ma anche l’occasione di sopravvivere, per potersi sollevare in volo domani e dopodomani, ha indubbiamente il suo valido perché.