Laos: il dramma della diga che diventa un’onda di marea

Ci sono numerosi modi per bloccare il corso di un fiume, con la finalità di generare energia idroelettrica, e tra questi la diga a terrapieno è uno dei più antichi e largamente collaudati. Si prende una grande quantità di materiale non permeabile, generalmente terreno a base argillosa misto a ghiaia, e lo si usa per costituire un nucleo centrale. Quindi, questo ammasso si ricopre con un ulteriore strato, questa volta vulnerabile al passaggio dell’acqua. In tal modo, una certa quantità di flusso viene mantenuta, permettendo all’acqua nel bacino artificiale di non tracimare. In determinate versioni di questa struttura dei primordi dell’ingegneria, nel corpo centrale viene integrato un diaframma, ovvero una parete verticale di cemento che dona all’insieme un maggiore grado di stabilità. La diga del fiume Nam Ou del Laos, nella regione di Xiangkhouang, non sembra aver incorporato questa tipologia di espediente. Altrimenti non si spiegherebbe come mai lo scorso 11 settembre, a seguito di un periodo di piogge decisamente intense nell’intero contesto geografico del Sud Est Asiatico, l’argine ancora in costruzione ha ceduto, liberando 500.000 metri cubi d’acqua e generando una scia di distruzione che potrebbe riportare alla mente, per lo meno in video, alcune tragiche scene dello tsunami di Sendai e del Tōhoku del 2011. Con un’importante differenza, dovuta al suo essere un disastro notevolmente più circoscritto: questa volta nessuno sembrerebbe aver perso la vita. Anche se a guardare le testimonianze disponibili su YouTube, in effetti poteva non sembrare così. Come questa scena ripresa da un’altura sopra un capannone impiegato per macchine e materiali edilizi, che improvvisamente si ritrova colpito dalla furia inesplicabile della natura, liberatisi dalle briglie con cui era stato tentato di contenerla ed asservirla ai bisogni del mercato dell’energia.
Stando alle limitate informazioni disponibili online, l’origine del cedimento non sarebbe tuttavia stato il muro di terra stesso, bensì il bacino di tracimazione secondario, che trovandosi a superare la sua capienza massima, ha finito per causare una reazione a catena culminante con il coinvolgimento di sette villaggi e la letterale distruzione di questo sito. Ma non di una parte dei veicoli presenti nel parcheggio, vista la prontezza con cui gli addetti, nel momento estremo dell’emergenza, si precipitano al volante e tentano di fuggire su quattro ruote: un approccio che potrebbe sembrare sbagliato, quando non si considera come nel caso in cui la fuga risulti troppo tardiva, è probabilmente meglio trovarsi all’interno di una scatola di metallo e vetro temperato quando l’ondata arriva in forze, trascinandosi dietro il consueto turbinìo di fango e pericolosi detriti. Peccato soltanto che il guidatore del bulldozer, unico mezzo sufficientemente lento, e pesante, da bloccare seduta stante l’unico vialetto d’accesso, scelga ad un certo punto di evacuare a piedi, lasciando i suoi colleghi in un’apparente pessima situazione. Se non che per una volta, come dicevamo, il destino sembra essere stato dalla parte di tutti quanti portandoci a un finale relativamente lieto. Benché i danni materiali, probabilmente, non abbiano fatto bene ad un paese che già fatica ad eguagliare la crescita economica dei suoi vicini del sud dell’Asia. Da un simile punto di vista, la costruzione della piccola diga del Nam Ou (appena 20-35 Kw di produzione energetica) con il sistema semplicissimo del terrapieno non va visto come un azzardo, bensì una pura e semplice necessità, inserita nel contesto di un vasto progetto di potenziamento idroelettrico condotto nel corso dell’ultima decina d’anni. Mentre purtroppo, non è possibile prevedere anomalie meteorologiche di una simile intensità, che colpiscono prima del completamento di queste strutture. La diga in questione, stando alle dichiarazioni ufficiali, era completa solamente all’85%.

Il segmento girato all’interno di questa diga laotiana durante un telegiornale dimostra la modernità delle strutture più grandi, costruite letteralmente a regola d’arte. È semmai per gli esempi più “piccoli” e meno importanti, che si tende a commettere degli errori.

Il Laos, che gode di un’identità primordiale ma rinasce come nazione moderna solamente dopo il 1945, con la liberazione dalle truppe giapponesi e la sfera d’influenza dell’Indocina, è un paese a sviluppo per lo più verticale, incuneato tra il Vietnam e la Thailandia. Privo di accesso al mare e con una larghezza talvolta di appena un centinaio di chilometri, esso segue essenzialmente il corso del fiume Mekong, trovandosi attraversato dai suoi numerosi affluenti. Apparirà dunque evidente che la maggiore ricchezza di cui dispone il suo territorio è proprio questa anomalia dei corsi idrici, che tendono a incrementare la propria possenza ogni anno durante il periodo dei Monsoni, trasformandosi in fonti impetuose di un potenziale energetico decisamente significativo. La diga che ha ceduto all’inizio di settembre, dunque, non è che una delle quattro collocate lungo il corso del Nam Ou, in effetti la più piccola e recente dell’intera serie, che va contestualizzata nel progetto Nam Ngiep 2, che includeva tra le altre cose un terrapieno sul Nam (fiume) Ngiep, un tunnel di trasferimento lungo 7,4 Km, una diga con terra e roccia alta 70 metri lungo il corso del Nam (fiume) Sen e una stazione di superficie sul Nam Siam, equipaggiata con 3 turbine Francis da 60 Mw ciascuna e linee elettriche fino alla sottostazione di  Tha Vieng. Uno sforzo infrastrutturale tutt’altro che indifferente per un paese grande all’incirca quanto la Romania, per di più con una storia economica tutt’altro che brillante a causa del contesto socioeconomico vigente, tuttavia compiuto, con enfasi delle istituzioni, sull’onda dei successi conseguiti dal vicino Vietnam, che con le sue dighe ha aumentato sensibilmente il prodotto interno lordo nel corso dell’ultimo paio di generazioni. Nei paesi tropicali, la pioggia è spesso una potente alleata. Anche se può trasformarsi, in determinate circostanze, nella più terribile nemica.
Anche per questo, successivamente al disastro, il governo ha immediatamente bloccato la Bothong Inter Group, compagnia costruttrice della diga, con la finalità di costringerla ad effettuare i lavori di ripristino nei luoghi colpiti ed assistere la popolazione, nonostante una preventiva negazione di responsabilità. Khammany Inthirath, il Ministro dell’Energia e le Risorse Minerarie, ha inoltre dichiarato che le autorità stanno valutando se intraprendere un’azione legale, soprattutto in forza del fatto che il terrapieno sarebbe stato costruito in maniera “non conforme”. La natura di tale difformità, tuttavia, non è stata ancora identificata (o pubblicizzata).

In questo video girato presso la sommità dell’argine del Nam Ou durante il disastro, nonostante la bassa risoluzione e l’inquadratura verticale, si riesce a identificare la causa scatenante del crollo. In primo luogo l’acqua tracima dal bordo superiore, portandosi quindi a valle l’intera sommità della diga.

A posteriori non è certo difficile criticare, nella stessa maniera in cui molti hanno fatto online tra commenti e forum, l’impiego del sistema del terrapieno laddove una semplice colata di cemento, senza il benché minimo dubbio, avrebbe potuto prevenire il pericoloso disastro. Ma occorre considerare come, in assenza di alternative, la costruzione di una diga fatta di terra costituisca pur sempre un valido aiuto all’economia, in un paese che persegue l’industrializzazione come unica speranza di restare economicamente rilevante negli anni a venire. Occorre, come sempre, trovare il giusto equilibrio tra rischio sull’immediato e potenziali vantaggi a lungo termine.
Ed è del resto probabile, come dichiarato dal Bothong Group, che una diga del Nam Ou completata in ogni sua parte avrebbe potuto resistere al crollo secondo quanto previsto dai suoi progettisti. Le situazioni impreviste dovute al modificarsi delle condizioni naturali purtroppo avvengono, senza il benché minimo preavviso. Questo noi italiani tendiamo a saperlo particolarmente bene; sarà mai possibile dimenticare il tragico disastro della diga del Vajont del 1963? Oltre 1900 vittime dovute a negligenza ed errori tecnici di svariato tipo. Coadiuvati dalla miccia infuocata di una semplice frana. Davvero, cercando lezioni in questa nostra penisola d’Occidente, il Laos dovrebbe sentirsi particolarmente fortunato, stavolta. E magari riconsiderare nei prossimi anni, almeno in parte, la portata sue priorità.

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