L’iniqua condanna del cammello portatore di tragedie

Che cosa fareste se la vostra semplice presenza bastasse, all’improvviso, per causare la rovina di tutti coloro che vi accolgono con le migliori intenzioni di questo mondo? Se in qualche maniera, un angelo vendicatore vi seguisse da ogni parte, per punire con le proprie armi astrali i vostri amici, parenti, ospiti della giornata presente… La maggior parte delle guerre inizia con un casus, di natura particolarmente varia, che costringe le rispettive parti a realizzare come, nonostante tutto, la reciproca sopportazione sia ormai prossima all’esaurimento. Non è tuttavia inaudita l’apertura di un conflitto, non per volontà dell’uno o l’altro combattente, bensì a causa di un semplice evento accidentale. L’episodio, se vogliamo, che ha cancellato anni ed anni di reciproco impegno, precorrendo ogni sincero tentativo di appianare le divergenze. Era il 1846, per essere precisi, quando l’esploratore dell’Australia Meridionale John Ainsworth Horrocks, all’età di soli 28 anni, finì per perdere la vita alla vigilia di un’importante missione: la ricerca di terreni agricoli nei pressi del lago Torrens, non lontano dal golfo di Spencer. Proprio mentre si trovava impegnato nel prendere la mira con il suo fucile a canna liscia, all’indirizzo di uno stormo d’uccelli, quando Harry fece il gesto di chinarsi in avanti, facendo partire il colpo che l’avrebbe ferito (irrimediabilmente) alla mano e al volto. Ora questo Harry costituiva, nei fatti, niente meno che il primo cammello ad essere mai stato trasportato fino in Australia, diventando una parte inscindibile delle risorse delle prototipiche colonie in questo remoto Sud del mondo. Dietro una lunga storia di suggerimenti, sollevati da diversi membri del governo e naturalisti locali, inclini a definire tale gruppo di specie come le più potenzialmente utili e funzionali, ad agire come mezzi di trasporto nell’arido entroterra australiano. Ma il problema fu che nessuno, in ultima analisi, fu in grado di spiegare loro quale drammatico peccato originale avrebbe ricompensato, fino ad oggi, i loro lunghi e monumentali sforzi.
JUDAS COLLAR è il prodotto pseudo-documentaristico della scrittrice/regista Alison James e la produttrice Brooke Silcox, recentemente nominato all’Oscar e, almeno nel momento in cui scrivo, ancora disponibile online (non appena sarà rimosso, sostituirò il collegamento d’apertura con quello per vederne il trailer) mirato a far conoscere, in maniera emotivamente accattivante, un particolare aspetto non molto spesso discusso del sentire e del vivere australiano. In effetti molti conoscono, in merito al più nuovo dei continenti, la problematica questione delle specie non native, spesso difficili da gestire e nella maggior parte dei casi estremamente lesive per l’ambiente. Casistica rispetto alla quale i due distinti appartenenti alla famiglia dei Camelidae, il dromedario somalo (C. dromedarius) e quell’altra nave ondeggiante, riconoscibile dalla doppia gobba, tipica dei deserti asiatici (C. bactrianus) non fanno certo eccezione, data l’imprescindibile abitudine di monopolizzare le limitate risorse vegetali di queste terre, dopo esservi stati abbandonati, successivamente alla diffusione dei ben più pratici veicoli a motore. Con grande sofferenza delle specie endemiche, spesso a rischio d’estinzione. Per non parlare degli ingenti danni che simili creature risultano capaci di causare, ogni qualvolta il clima entra in un periodo di siccità, nel tentativo di raggiungere le potenziali fonti dei sistemi d’irrigazione, le pompe o addirittura i gabinetti costruiti dagli umani. Ragion per cui, a partire dalla prima metà degli anni 2000, sono state implementate una serie di misure alquanto drastiche per ridurne sistematicamente la popolazione, spesso tra le proteste degli animalisti e parte della popolazione locale. Misure che includono l’impiego di un particolare sistema di localizzazione, le cui implicazioni più profonde, sfidano i confini del concetto stesso di “umanità”…

L’unica soluzione possibile per risolvere il problema dei cammelli ferali australiani, trasportati in questo continente all’inizio dell’epoca industriale, è stata individuata nell’eliminazione sistematica mediante metodi di caccia, dato il costo economicamente proibitivo di qualsiasi soluzione alternativa.

Un collare di Giuda, come lascia intendere il suo nome, è un dispositivo che in qualche maniera agevola, o per meglio dire involontariamente causa, il gesto imperdonabile del tradimento. Quello compiuto da un singolo esemplare di cammello scelto a caso (generalmente una femmina) e addormentato con i tranquillanti, prima di ricevere il terrificante e per lui non rimovibile capo d’abbigliamento, all’interno del quale è presente un sistema di localizzazione satellitare. Ora il cacciatore, o ranger istituzionalizzato (poiché spesso è proprio di questo che si tratta) a questo punto lascia andare l’esemplare, ben sapendo che a partire da un simile gesto, egli saprà sempre esattamente dove trovarlo. E sapete per quale ragione? I cammelli, come la maggior parte degli altri artiodattili, o ungulati con numero pari di dita che dir si voglia, sono creature estremamente socievoli che si chiamano a vicenda da lontano, al fine di formare organizzati, pacifici e talvolta (inconsapevolmente) distruttivi branchi. Ma l’orecchio di questa incolpevole discendente dello sfortunato Harry, nei fatti, dovrà adesso abituarsi a un altro tipo di rumore: quello provocato dall’elicottero Robinson R44, impiegato dal suo aguzzino assieme ad un pilota, per piombare sopra il proprio branco e sterminarlo fino all’ultimo esemplare, lei esclusa. Mediante un ragionamento estremamente funzionale, ancorché crudele: la consapevolezza che facendo seguito alle prerogative della propria specie, la cammella o dromedaria non potrà a quel punto fare a meno di cercare un altro branco, presso cui istituire nuovi rapporti amichevoli e ricominciare tranquillamente a brucare. Poco prima che, di nuovo, i cacciatori piombino sopra l’assembramento, rinnovando la strage.
Ecco dunque l’idea, straordinariamente interessante di Alison James e la sua squadra, di mostrare il significato di un tale gesto, per una volta, dalla parte della vittima, ovvero il cammello. Una creatura indubbiamente dotata di sentimenti, benché incapace di comprendere un rapporto di causa ed effetto tanto indiretto, per cui la solitudine dovrà necessariamente diventare parte inscindibile del proprio stesso stile di vita. E che finirà, irrimediabilmente, per abituarsi ad essere circondata dalla morte violenta ed inspiegabile dei propri simili, tanto amati. Sarà evidente, giunti a questo punto, chi sia il target ideale di una tale realizzazione mediatica, ovvero gli amanti degli animali a prescindere, e tra loro soprattutto chi conosce ed apprezza i cammelli in modo particolare, come la famosa coppia di addestratori Tara Lea & Russell Osborne (Camel Connection) che proprio sul loro canale YouTube hanno riservato una lunga intervista alle due autrici del film. Ed è importante, senza ombra di dubbio, che le implicazioni meno evidenti di una tale prassi vengano esternate a vantaggio del grande pubblico, affinché le autorità responsabili sentano il bisogno di sfidare le convenzioni recentemente implementate, cercando soluzioni alternative. Tutto questo, senza far passare in secondo piano la fondamentale verità del caso: che in Australia meridionale esistono, persino adesso, svariate centinaia di migliaia di cammelli (originariamente superavano il milione) per cui essenzialmente, non c’è spazio utile, a meno di sacrificare molte, troppe specie endemiche ed a rischio d’estinzione. Ragion per cui persino un approccio tanto crudele come quello del collare di Giuda, in qualche maniera, troverebbe il modo d’essere giustificato.

Come esemplificato in questa scenografica sequenza televisiva con l’attore inglese Robson Green, i cammelli australiani sono stati rivalutati negli ultimi tempi in qualità di potenziale risorsa per gli allevatori, benché risulti comparativamente assai più difficile gestire i loro cugini ormai tornati allo stato brado.

Detto questo, è importante reiterare come il collare di Giuda, pur non essendo una soluzione conforme a una visione pietosa e pacifica dell’intera questione, risulti straordinariamente efficace nel ridurre e contenere l’espandersi del problema. Come chiaramente indicato in uno studio del 2015 (Peter Spencer et. al) all’interno del quale si parla delle migliaia di cammelli eliminati in poco più di 5 mesi, tramite l’impiego di soli 10 esemplari dotati dell’inquietante dispositivo di localizzazione satellitare, la preponderante maggior parte dei quali sarebbe morta (secondo quanto riportato dal veterinario del team) in meno di quattro secondi dall’impatto del colpo di fucile; ovverosia, in maniera ragionevolmente umana.
L’unica domanda che dovremmo porci, a questo punto, è la seguente: quanto pensiamo che possa comprendere, e provare ansia nel profondo della propria stessa anima, un esemplare di cammello australiano? E quanto empatici, nei suoi confronti, possiamo permetterci di essere, anche a discapito di creature altrettanto incolpevoli, ma più rare?
Di certo, il senso di pietà è una parte fondamentale del sentire umano. Ma lo stesso vale per il bisogno percepito, a torto o a ragione, di risolvere questioni in sospeso. Vedi il caso di John Ainsworth Horrocks, che sul proprio letto di morte, tormentato dalle febbri e la terribile sofferenza, trovò nondimeno forza sufficiente a dare la seguente disposizione: “Prima che io lasci questo mondo crudele, sparate a quel dannato cammello. Che vada avanti ad aspettarmi, dall’altro lato…” E in un certo senso, sarebbe stato appropriato in maniera stranamente significativa, se proprio una tale frase avesse finito per costituire il suo lascito ulteriore verso i posteri, in silenziosa attesa.

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