Fin dagli albori dell’Era Moderna, l’invenzione del concetto di politica internazionale fu sfruttato dai monarchi del tempo per ampliare e consolidare la propria sfera d’influenza, sia tramite approcci diplomatici che altri, non propriamente trasparenti in termini di legittimità e meccanismi procedurali. Quel sostanziale tipo d’ingerenze, è ciò a cui sto facendo riferimento, i cui effetti ancora oggi lamentiamo nell’instabilità inerente di determinate zone del mondo, dove l’esistenza di correnti politiche contrapposte trova l’alterno sostegno di potenze straniere, interessate in modo enfatico ad alimentare il fuoco del cambiamento. Spostandoci all’indietro lungo l’asse temporale, tuttavia, appare chiaro come tali pratiche andassero consuetamente incontro a contrattempi di natura fondamentale, dovuti soprattutto a quel fenomeno, tattico e strategico, che viene convenzionalmente definito “nebbia di guerra”. Abbagliati e fuorviati quotidianamente da notizie non verificabili, che possiamo quanto meno fare in modo di filtrare in parte grazie al senso critico, oggi non possiamo neppure cominciare a immaginare cosa volesse dire non poter disporre dei mezzi di comunicazione attuali, portando i potenti a prendere le decisioni sulla base di dispacci risalenti a settimane, se non mesi prima della data corrente. E di certo non lo avevano in mente Luigi XV di Francia e Filippo V di Spagna, quando allo scoppio della ribellione Giacobita del 1745 in Scozia decisero di comune accordo che fosse giunta l’occasione di destabilizzare gli attuali schemi di potere delle Isole Inglesi. Agevolando la potente dinastia dei protestanti Hannover, tramite il ritorno in patria del solido pretendente Charles Edward Stuart, anche detto il Bonnie Prince. Colui che, ultimo in ordine di tempo, vantava una diretta discendenza da Giacomo II d’Inghilterra, figlio a sua volta del Re cattolico decapitato Carlo II, così eliminato all’inizio della gloriosa (e sanguinosa) Rivoluzione di esattamente un secolo prima. Eroe possibile cresciuto in un confortevole esilio, per quanto potesse esserlo nella sofferta consapevolezza di aver subito un’ingiustizia di fronte alle leggi di Dio e del mondo, finché in seguito alla visita presso la sua residenza parigina di numerosi sostenitori della cosiddetta causa giacobita, si convinse di poter guidare un esercito composto dai clan scozzesi assieme ad un certo numero di alleati stranieri. Per cambiare, nel nome della giustizia, il corso sostanziale della Storia.
Fu dunque dopo il proprio sbarco ed alcune vittorie tutt’altro che decisive a Prestonpans e Carlisle, con la creazione di una corte itinerante di consiglieri e sicofanti, che l’aspirante si rese conto di come i rinforzi promessi non sarebbero mai effettivamente arrivati. Sostituiti, se non altro, da ingenti risorse pecuniarie, la cui consegna nei tempi utili si sarebbe rivelata tutt’altro che garantita. Un primo carico di 400.000 livres d’oro iniziò il proprio viaggio nel marzo del 1746, a bordo dello sloop francese Hazard, effettuando la traversata senza incidenti fino all’arrivo 20 giorni dopo presso le secche di Tongue nelle Highlands Nord-Occidentali, dove l’imbarcazione finì per restare bloccata. Poco prima dell’arrivo della fregata inglese HMS Sheerness, che costrinse gli uomini a scaricare in tutta fretta il tesoro. Ben presto catturato, senza troppe difficoltà, da membri in armi del clan Mackay, alleati del governo britannico hanoveriano. Il che sarebbe stato un mero antefatto, dell’ingente quantità di ricchezze destinate a scomparire in quei mesi caotici e decisivi…
Il caso di Tongue fu spesso definito ironico, poiché la quantità relativamente ridotta di denaro coinvolto, permettendo di pagare parte degli arretrati all’esercito del Re Stuart ed allungando conseguentemente i tempi d’ingaggio a disposizione, avrebbe potuto teoricamente influenzare almeno in parte l’andamento del conflitto. Mentre il vero tesoro, molto più ingente, al centro d’innumerevoli leggende ed elucubrazioni popolari, giunse in effetti troppo tardi per riuscire a fare la benché minima differenza. Nell’aprile di quello stesso anno, quindi, un secondo carico d’oro e preziosi pari al valore di 1.200.000 livres, corrispondenti approssimativamente a 20-25 milioni di euro in potere d’acquisto dei giorni nostri, furono scaricati con successo sulle coste di Scozia dalle navi francesi Mars e Bellona, venendo prese in custodia dai sostenitori della causa Giacobita. Ciò che i sovrani europei e mandanti di questa missione non potevano tuttavia sapere, e non avrebbero saputo fino al rallentato diffondersi delle informazioni oltre il Canale, era che il conflitto decisivo della Ribellione si era a quel punto già verificato, nella disastrosa, decisiva battaglia della piana di Culloden, vicino Inverness. Quando l’armata di Charles, inseguita ormai da giorni da un contingente governativo dalle dimensioni equivalenti, circa 5.000 uomini, aveva infine deciso di affrontarla a viso aperto facendo affidamento sulla superiore conoscenza del terreno e l’alto morale delle truppe scozzesi. Se non che gli inglesi, meglio riforniti, più riposati, dotati di artiglieria ed armamento superiore, avevano respinto facilmente con le baionette il leggendario assalto iniziale della fanteria armata di spade e scudi, sbaragliando e ricacciando dentro una palude ogni barlume residuo di resistenza. Lasciando al Bonny Prince l’unica possibile scelta di una fuga precipitosa verso le Ebridi, dove incontrò secondo la leggenda la patriota Flora Macdonald, che l’avrebbe travestito da donna e traghettato fino all’isola di Wight. Mentre molto meno chiaro è ciò che sarebbe capitato, successivamente, al prezioso tesoro dei monarchi europei. Si dice che al momento dello sbarco dei sei bauli colmi di ricchezza, il gruppo di capi scozzesi in fuga che li accolsero fosse guidato da Murray di Broughton, Baronetto di Stanhope, che avendo rivestito in precedenza la carica di segretario del Re Stuart si prese l’incarico di distribuirlo equamente tra i clan che adesso avevano bisogno di nascondersi dalla lunga ed agguerrita mano della legge hanoveriana. Operazione rivelatasi effettivamente rischiosa, se è vero che poco dopo egli venne arrestato e messo a morte, ma non prima di aver trasmesso il segreto luogo dove l’oro era stato nascosto al suo alleato cospiratore Ewen MacPherson di Cluny, capo del clan Macpherson. Il quale in base alle limitate fonti filologiche a disposizione, inclusive di frammenti di corrispondenza ed almeno due confessioni in punto di morte, avrebbe vissuto negli anni successivi presso una misteriosa “gabbia” (forse una caverna o una capanna) nei dintorni di Ben Alder, una delle montagne più alte di Scozia. Potendo attingere liberamente a un nascondiglio che doveva trovarsi, per quanto ci è dato sapere, nei dintorni del lago Arkaig.
Ed è qui che le cose iniziano a diventare realmente surreali. Giacché Ewen MacPherson, entro il 1754, dovette rinunciare a continuare le operazioni di distribuzione onde salvarsi da un destino simile a quello del suo predecessore. Per cui fuggito anch’egli in Francia, non poté far altro che ammettere dinnanzi ai Giacobiti superstiti di aver lasciato l’oro nel suo nascondiglio, affinché qualcuno di loro potesse infine ritornare a recuperarlo. Ma nessuno, nonostante i significativi sforzi, ci sarebbe mai effettivamente riuscito. Ciò diede adito a significative storie di natura folkloristica più che palese. Una delle maggiormente significative avrebbe collegato il nascondiglio dei preziosi all’operato del grande mago delle Highlands, Duncan Macrae, depositario del perduto sapere druidico del Sutherland. Il quale, trasferito il patrimonio in una serie di botti di birra, l’avrebbe poi sepolto in riva al lago Akraig, pronunciando un incantesimo secondo cui sarebbe ricomparso soltanto in un preciso giorno, una volta ogni sette anni. Peccato che nessuno, allora o in seguito, si sarebbe ricordato di menzionare quale. Ancorché parecchi abitanti del luogo, col trascorrere dei secoli, avrebbero affermato di averne percepito o sperimentato la presenza. Celebre la storia della locandiera di un villaggio vicino che nel XIX secolo, avendo scorto la presenza di una botte parzialmente dissepolta in quei luoghi, aveva piantato lì vicino il suo bastone da passeggio per tornare ad indagare col marito. Soltanto per scoprire, poche ore dopo, che non soltanto la botte era sparita, ma anche il bastone. E chi può dire se lo stesso oggetto infisso nella nuda terra, ricomparso magicamente, fosse stato quello effettivamente incontrato dall’avventuriero Garnet Frost nel 1990, durante l’esperienza che quasi gli costò la vita causa impreparazione alle difficili condizioni meteorologiche, alla ricerca di un tesoro che tutt’ora affascina e perplime intere generazioni di cercatori? In quieta e paziente attesa di essere infine riportato alla luce.
Molti anni dopo che la monarchia britannica ha ormai perso il suo ancestrale significato politico e normativo. Ma non ancora, o almeno non del tutto, le intramontabili vestigia culturali del potere assoluto.


