Le tre volte in cui tacquero le cascate del Niagara

Il silenzio può essere assordante, a volte, in determinati luoghi, quando la stessa cessazione del rumore è una situazione incoerente con lo stato dei fatti che sussiste da generazioni. E il ritorno alla quiete primordiale simboleggia la perdita stessa di ogni punto di riferimento generazionale. Immaginate ora di vivere in luogo presso cui il frastuono rappresenta lo stato dei fatti naturali e il cui nome stesso, si richiama alla meraviglia naturale maggiormente cacofonica della nazione. E una mattina diversa da ogni altra di svegliarvi, con vostro sommo stupore, mentre il canto degli uccelli distanti risuona tra le valli dello stato verdeggiante di New York. È quello che successe, secondo gli articoli dell’epoca, agli abitanti di Niagara Falls il 31 marzo del 1848. Un giorno del calendario, questo, che potrebbe suscitare non pochi sospetti, vista l’abitudine odierna dei cosiddetti pesce d’Aprile. Ma è difficile inventarsi qualcosa di simile! Creare una cospirazione capace di sopravvivere alla narrazione asincrona di un intero popolo rimasto, anch’esso, del tutto privo di parole? Molto più probabile è che tutto ciò sia veramente successo; per quanto incredibile possa apparire.
Una diga naturale di ghiaccio. Formatasi presso l’imbocco del lago Erie all’inizio del fiume omonimo, che normalmente agisce come solo punto di collegamento con quello dell’Ontario, estremità orientale del più imponente sistema idrico nordamericano (e uno dei maggiori al mondo). Frutto, niente meno, che della grande glaciazione del Wisconsin, l’ultima Era Glaciale del pianeta, in una casistica che allude in modo chiaro all’elevata latitudine, e temperature conseguenti, di un luogo in cui può succedere persino questo. Fu un caso prevedibilmente epocale in grado di durare ben 40 ore a partire dalla notte del 30 marzo, lasciando una memoria indelebile nelle menti di chiunque abbia assistito sia stato in qualche modo coinvolto. Le acciaierie e i mulini che erano stati costruiti nel corso dell’intero secolo dell’industria, per sfruttare l’enorme energia potenziale delle cascate, non poterono far altro che bloccare le proprie operazioni, lasciando gli impiegati liberi di andare a vedere coi propri occhi l’irripetibile fenomeno. Soltanto due piccoli rivoli d’acqua restavano al posto della formidabile cateratta, rispettivamente situati in corrispondenza delle Horseshoe e delle American Falls. Il fiume a nord appariva poco più di un torrente al centro del vasto solco scavato attraverso la cuesta, mentre pesci e tartarughe si agitavano privi di forze, nel vano tentativo di tornare a nuotare nel grande corso. In breve tempo, iniziarono gli sforzi organizzati per trarre vantaggio della situazione. I marinai della Maid of the Mist, storico battello panoramico locale, s’inoltrarono nel teatro improvvisamente silenzioso del loro principale metodo di sostentamento, per far saltare con la dinamite alcune rocce che costituivano da tempo un pericolo durante le escursioni. La gente della città discese a valle e si recò a esplorare il letto del fiume, a quanto pare ritrovando una quantità inusitata di fossili, cimeli della guerra civile e manufatti delle antiche civiltà native americane. Una squadra del locale reggimento della Cavalleria, non potendo resistere all’occasione, inscenò una piccola parata procedendo al trotto in corrispondenza delle rapide normalmente letali. Col procedere della giornata, dunque, le persone iniziarono progressivamente a rendersi conto del pericolo, tanto che verso sera quasi nessuno sembrava ancora disposto a prendersi gioco della natura verso il sopraggiungere del vespro. Il che fu certamente un bene, perché l’innalzarsi delle temperature e il cambiamento della direzione dei venti, come previsto dagli addetti ai lavori, aveva indebolito la diga glaciale del lago Erie, al punto che l’inevitabile cedimento ebbe modo di verificarsi la notte del 31 marzo. Costituendo, a quanto pare, un altro spettacolo terrificante, con un roboante boato seguito dall’ondata di piena dell’acqua furente, finalmente libera di seguire la strada naturale del mondo, facendosi strada verso il luogo che il destino gli aveva riservato di occupare.
In molti, credettero che quello fosse uno spettacolo unico, destinato a restare privo di repliche a memoria d’uomo. E in un certo senso avevano ragione: ad oggi l’innalzamento medio delle temperature, dovuto al riscaldamento globale, rendono assai improbabile il verificarsi spontaneo di qualcosa di simile per la seconda volta. Detto questo, la mano iper-tecnologica dell’uomo potrebbe facilmente replicare l’evento in qualsiasi punto definito della storia. E in un paio di casi almeno, ci è andato davvero molto vicino…

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Il vecchio tronco sospeso nel cratere dell’eternità

Perché molta gente visita il Crater Lake? Non per le sue pareti scoscese, strumenti d’innumerevoli prove di coraggio tra i giovani cacciatori e guerrieri in cerca di una gloria prematura. Né per l’isola conica al centro, sormontata dalla depressione nota come il calderone della strega, da dove si dice che antichi spiriti facciano strane smorfie all’indirizzo dei marinai. Né per la “nave fantasma”, uno sperone roccioso fantastico e frastagliato a meridione, che risuona dell’eco carsico di un mondo in continua trasformazione. Ma per l’altro tipo di barca, perennemente in viaggio, tra le sponde e le rive citate, con il suo carico di qualche migliaio di forma di vita del tutto indipendente dall’uomo. Sopratutto formiche, con qualche ragno e il muschio antipiretico Fontinalis, saldamente radicato sopra e sotto il livello delle acque movimentate dal vento senza limiti di stagione.
C’è un ricordo piuttosto vago ma intenso, nella mia memoria, di me bambino che guardo un documentario sulle ultime genti isolate dell’Amazzonia, pensando: questi uomini e donne non hanno letti con il cuscino, aria condizionata, televisione, automobili, computer o videogiochi. Non possiedono libri, quadri, né alcuno spartito musicale. La loro vicenda umana è più difficile della mia, la loro cultura, meno sofisticata. Quale potrebbe mai essere, dunque, il valore di un simile stile di vita? Certi concetti richiedono un approfondimento e una mentalità adulta, per essere finalmente compresi. Nessuno t’insegna, a scuola, che persino lo studio dei testi in greco e latino non è che una mera approssimazione della memoria tramandata oralmente di padre in figlio, chiara memoria di eventi avvenuti 7 o 8 millenni fa. Oggi fatichiamo a contestualizzare battaglie avvenute nel nostro Medioevo. Mentre ci sono leggende dell’era Neolitica, raccontate esattamente come all’epoca della loro creazione, la cui connessione a fatti realmente avvenuti è facilmente verificale persino dal punto di vista limitato dei nostri giorni. Come quella, tradizionalmente narrata presso la tribù Klamath dell’Oregon meridionale, relativa alla creazione di Crater Lake. A quel tempo viveva una principessa degli umani e c’erano, inevitabilmente, due possenti divinità in conflitto: Llao, signore del sottosuolo, e Skell, suprema personificazione dei cieli. Un giorno apparentemente come gli altri, la donna si svegliò, e salita in cima al monte Mazama, un vulcano attivo, rivolse la sua voce nel vasto baratro ricolmo di lava fusa: “Oh, Dio più potente di tutti gli Dei. Ogni stagione delle piogge, Colui che Risiede Sopra scarica le sue acque sulle tue fiamme purificatrici. Perché accetti un simile sopruso? Perché non gli mostri tutta la tua furia, scagliando in alto le incandescenti prove della tua sacra Esistenza?” E il allora mostro sopìto, per qualche malcapitata ragione, scelse di accogliere la sua richiesta, dimostrando quale fosse davvero la possenza del grande Lllao. La montagna fu scossa dalle sue fondamenta, mentre una gigantesca nube di cenere ricopriva i villaggi vicini. Lapilli incandescenti presero a disegnare strisce vermiglie nel cielo, mentre un possente sommovimento tellurico, poco alla volta, disgregava letteralmente le infinite tonnellate di roccia, facendole franare da ogni lato. Del destino della donna che, per una leggerezza o l’odio nei confronti dell’umanità aveva causato tutto questo, in realtà perdiamo le tracce di lì a poco. Mentre per quanto concerne la montagna, possiamo affermare con certezza che essa venne letteralmente spezzata, divisa in più parti che a loro volta sono franate, all’interno della vasta camera magmatica sottostante. Della pietra vetrosa che resta in superficie dopo un simile episodio vulcanico, dunque, sappiamo due cose: che essa costituisce paesaggi cupi dall’aspetto gloriosamente alieno. E che se formatasi nelle giuste condizioni, costituisce un suolo del tutto non permeabile, perfetto per la creazione spontanea di fiumi o laghi. E il clima umido della catena montuosa del Cascade Range, dovuto ai gelidi venti provenienti dall’Oceano Pacifico, creava condizioni assolutamente perfette. Così di lì ad un paio di stagioni, non soltanto Skell ebbe il dominio assoluto, ma fece il necessario affinché nel palazzo in rovina del suo rivale nascesse un lago di tipo anoreico, ovvero del tutto privo di alcun affluente, ma ricolmo unicamente delle piogge senza una fine. Il quale oggi costituisce, con i suoi -350 metri e i 9 Km di ampiezza, il più profondo dell’intera nazione statunitense, ed il primo al mondo tra quelli il cui bacino si trovi completamente al di sopra del livello del mare.
Delle antiche battaglie tra il cielo e la terra, quindi, ormai ben poco rimane. Tranne i componimenti orali in lingue mai tutt’ora parlate correntemente ed alcuni segni immanenti disposti ad arte sotto gli occhi dell’intera umanità. E non credo che in molti potrebbero dubitare, che il Vecchio del Lago sia uno di questi, nonché il nesso fondamentale di una delle sette meraviglie naturali dell’Oregon, spesso elencate nelle guide turistiche e nei materiali di marketing messi assieme per far conoscere questo affascinante stato. Soltanto nessuno, tra gli sciamani superstiti dell’antica sapienza, può ben dire di conoscere le radici smarrite del suo mistero.

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Il lavandino d’oro in cui spariscono gli uragani

Pareva il risvolto inevitabile di un triste destino. La città stato di Medium York, sui suoi cingoli giganteschi, pareva essere giunta al capolinea. Non tanto nel senso del movimento: il poderoso motore a vapore capace di farla muovere senza ombra di dubbio né colpo ferire, costruito da 4 secoli nella camera centrale del Nucleo Sotterraneo, l’avrebbe condotta facilmente ben oltre l’istmo angusto del Centro America, oltre i massicci montuosi della Colombia e nelle vaste praterie brasiliane, verso la terra promessa di un’Amazzonia distante. Ma il fronte della sua Nemesi meteorologica, prima che ciò potesse avvenire, l’avrebbe inesorabilmente raggiunta. Il Sindaco scrutò attentamente, ancora una volta, la parete quasi solida di nubi all’orizzonte. La faccia di un cubo, tutt’altro che naturale, percorso da una ragnatela di fulmini furibondi. “Bella eredità ci hanno lasciato, prima di distruggersi tutti quanti a vicenda!” Esclamò il Sindaco all’indirizzo della Pizia, sacerdotessa appartenente all’Ordine, un’anziana donna proveniente da San Francisco de Quito, che si diceva avesse visto di persona le ultime fasi della guerra. Impossibile, pensò nuovamente il suo esimio interlocutore: questa donna dovrebbe avere almeno 576 anni. Con la sciarpa candida annodata sul collo, il lungo poncho marrone, il caratteristico cappello simile a una bombetta ben calcato sulla fronte, per resistere alle raffiche di vento, la personalità religiosa scrutava pensierosamente oltre lo schermo di contenimento, dal margine più estremo del tetto del municipio. Uno strano sorriso iniziò ad apparirgli sul volto: “Mmmh, no. Perché dovremmo rimuginare? Questo è il momento di agire. Premere pulsanti, tirare le leve. L’oceano non è lontano, riesco a sentirne… L’odore” Sul quadro di comando costruito all’interno della cabina, come ad un segnale preparato da tempo, si accese quindi la dicitura sperata: “DEVIAZIONE”. Nella programmazione del Nucleo, gli antichi avevano previsto una simile possibilità. Riconvertire la città in arca, per imbarcarsi ed accelerare. In assenza di terreno solido da cui estrarre il carbone, la città avrebbe proceduto ad un ritmo accelerato per circa 1.500 Km. Quindi, inevitabilmente, si sarebbe fermata per un periodo di almeno 10 giorni. In molti l’avrebbero definito un folle azzardo. Ma non restava, ormai, una singola alternativa che potesse aprire la via della sopravvivenza…
Tutto aveva avuto inizio, in effetti, in una tranquilla giornata d’agosto, sotto il sole battente dell’Ecuador. La sacerdotessa frequentava, all’epoca, la seconda classe di liceo, in un paese in cui vigeva ancora la regola del “vivi e lascia vivere”. Ancora ben lontana dalla mente delle persone era, in altri termini, l’ipotesi di una terza guerra mondiale, condotta grazie ai meccanismi orbitali di controllo del clima. Da giovane rappresentante di classe della Escuela Tecnologica Central, Mayra Delgado era stata chiamata ad interloquire direttamente con la guida turistica, durante la visita alla Linea di Demarcazione degli Emisferi, il punto in cui, secondo la scienza geografica, la terra si divideva in due: “…Perciò vedi, ragazza mia: questo è il punto. Se scarico l’acqua senza spostare il mio lavandino, le foglie scenderanno giù diritte, senza roteare in alcuno dei due sensi.” Mayra aprì la bocca, come per parlare, poi ci ripensò. Avrebbe lasciato che la donna si tradisse con le sue stesse azioni. Un mormorìo d’assenso si sollevò dalla classe, quando l’operazione si svolse, seguendo il copione, esattamente nella maniera anticipata dalla guida. “Ora spostiamoci a Nord. Basteranno un paio di metri.” Il lavandino in questione, con una bacinella sottostante per il recupero dell’acqua, era un oggetto chiaramente creato per affascinare i turisti, ricoperto di una pacchiana verniciatura dorata. Con chiaro intento dimostrativo, la guida recuperò il contenitore del liquido, quindi lo versò rapidamente nel lavandino. Di nuovo, con flemma e una gestualità carica di pathos, rimosse il tappo centrale. L’acqua iniziò a fuoriuscire dal basso, ruotando però stavolta, come evidenziato dalle foglioline gettate nel flusso, in senso rigorosamente anti-orario. Pochi minuti dopo, l’esperimento condotto a Sud della linea avrebbe prodotto l’effetto inverso. “Oh, oh, oh, mia giovane studentessa.  A questo punto, potresti mai dubitarne? I Simpson avevano ragione.” Ah, se soltanto ci fossero altre persone col dono del Grande Spirito, di vivere ed assistere l’umanità fino al verificarsi della Quarta Rinascita, pensò la Pizia ormai pluri-secolare. Allora potrei parlare tra pari, dei vecchi uomini gialli, grande classico della Tv di allora! In quel mentre il Sindaco assorto, con espressione preoccupata ma ferma, abbassava il pugno sul Grande Bottone Rosso Fuoco (Che Funzionava Davvero). Un’impressionante scossone, in quel preciso momento, percorse tutti i palazzi e le strade di Medium York…

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L’alveare umano sospeso tra il Kenya e l’Uganda

Ogni economia basata su una singola risorsa è destinata a raggiungere, prima o poi, un punto di rottura. Questo tende a verificarsi la maggior parte delle volte quando tale particolare via d’accesso alla sopravvivenza economica, per una ragione o per l’altra, sembra essere prossima all’esaurimento. Ma c’è un’altro modo in cui la condizione degli umani coinvolti può iniziare la ricerca di un margine di miglioramento: una diffusa condizione di povertà. Quando persino arrivare alla fine del mese, senza patire la fame, appare più difficile che intraprendere una folle avventura, cercando di modificare lo status quo. Secondo una delle versioni della storia, i primi ad agire in tale senso da queste parti furono Dalmas Tembo e George Kibebe, pescatori kenyoti che, stanchi di essere trattati come dei mendicanti dai compratori di pesce sulle coste orientali del lago Victoria, scelsero di trasferirsi con armi, canna da pesca e bagagli, in uno dei più inaspettati, e solitari dei luoghi: l’isolotto roccioso di Migingo, vasto all’incirca 2 Km quadrati e situato in mezzo ad acque dall’appartenenza territoriale incerta.
Fermiamoci per un attimo a considerare questo punto, assolutamente fondamentale per l’analisi dei fatti: è noto che i confini odierni delle diverse nazioni d’Africa, perfettamente perpendicolari l’uno all’altro, furono stabiliti a tavolino dai potentati europei, durante la conferenza di Berlino del 1884, l’evento di politica nazionale che diede i natali tra gli altri, per mano del re Leopoldo II del Belgio, al terribile covo d’iniquità noto come stato “libero” del Congo. Ora coloro che realizzarono una simile suddivisione, piuttosto che essere esperti geografi o studiosi delle faccende antropologiche, erano principalmente capi di stato, diplomatici o sovrani, ai quali interessava soltanto l’equa distribuzione degli spazi per le ambizioni coloniali di questo o quell’altro impero. Molte delle linee di demarcazione, dunque, furono fatte passare attraverso barriere invalicabili del territorio, come catene montuose, o tagliarono il corso dei fiumi noncuranti del loro tracciato serpeggiante. Ed una, in particolare, scelse la via più insensata: poggiare in maniera noncurante sopra le acque del più grande lago tropicale del mondo, rinominato nel 1858 sulla base di niente meno che la regina Victoria, dopo che John Hanning Speke l’aveva “scoperto” durante la sua ardua missione alla ricerca delle leggendarie foci del fiume Nilo. Con il risultato che almeno tre piccole terre emerse, in una simile distesa d’acqua paragonabile per estensione ai Grandi Laghi americani, si trovarono esattamente in bilico sul filo di un così tagliente rasoio. Esse erano, e sono tutt’ora, Migingo, Usingo ed Ugingo, quest’ultima anche nota come “Isola Piramide” a causa della natura scoscesa del suo territorio. Per molti, moltissimi anni, non importò praticamente a nessuno. Finché a partire dal 1991, tutti coloro che erano scontenti delle loro condizioni di vita sulla terraferma, non iniziarono a guardare con interesse a quei due pionieri, che avendo scelto di lasciarsi dietro amici e parenti, erano andati a vivere come eremiti nel mezzo delle acque lacustri internazionali. Così che dopo qualche tempo, attorno alla capanna in lamiera corrugata che si erano costruiti costoro, iniziò a nascere una piccola comunità. I vantaggi per chi viveva su Migingo erano chiari ed immediati: zero spese per l’alloggio, meno controllo da parte delle autorità, più distanza tra se e gli elementi poco raccomandabili della società. Secondo un’altra interpretazione di questa insolita vicenda, del resto, l’isola non iniziò ad essere popolata fino al 2004, quando Joseph Nsubuga, pescatore proveniente dall’Uganda, si stabilì quaggiù, trovando nient’altro che una singola casa abbandonata, oggi trasformata nel principale bar della comunità. Capire chi ha o meno ragione nella specifica debacle storico-coloniale, tuttavia, potrebbe o meno avere rilevanza per la questione, quando una moderna squadra di rilevamenti territoriali, presumibilmente super partes, ha determinato come Miginge si trovi effettivamente ad Est del confine kenyota, risultando quindi una parte inscindibile di questo specifico paese africano. Ecco perché l’importanza di determinarlo, nonostante le apparenze, si è fatta negli anni sempre più pressante: fra tutte le zone in cui è possibile pescare il prezioso pesce persico del Nilo (Lates niloticus) pare che nessuna sia migliore di quella antistante l’isola. I circa 200 pescatori che l’abitano, inoltre, sono stati sufficientemente furbi da crearvi un sistema pseudo-istituzionale di acquisto e rivendita sulla terraferma del pesce, con prezzi imposti che favoriscono, in ultima analisi, la serenità economica dell’intera comunità. Quando si considera tuttavia come le acque in cui si trova l’agognato pinnuto siano per lo più ugandesi, con conseguente risentimento degli abitanti di quelle terre, comprenderete come un’effettiva suddivisione delle compentenze non sia affatto semplice da elaborare. E ciò nonostante l’affermazione dei loro vicini del Kenya, secondo cui “Il pesce persico viene a riprodursi sulla costa orientale, dunque appartiene principalmente a noi.”

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