La nascita di un iceberg colossale

Ice Calving

Il cataclisma, l’annientamento più totale. Un’intera terra emersa che sparisce, all’improvviso, procedendo a dissolversi tra l’acqua e l’aria. Che gli elementi siano fluidi, e dunque soggetti al mutamento ciclico da uno stato all’altro della materia, è un’assunto costante dell’umana filosofia naturale. Ma osservare quel processo all’opera, specie su scala tanto imponente, è un’esperienza che non scordi tanto facilmente. Succedeva, a quanto apprendiamo da una rapida ricerca, nell’ormai distante 28 maggio del 2008 presso il ghiacciaio Ilulissat dell’isola di Greenland, durante le lunghe e difficili riprese per il premiato docufilm sul riscaldamento globale, Chasing Ice (2012 – prod. James Balog) lasciando un segno indelebile sulla comune concezione di quello che sia possibile vedere, in un pianeta ormai soggetto a un mutamento repentino e significativo. Anno dopo anno, le nostre preziose risorse di acqua dolce solidificata vengono erose a causa di un’atmosfera non più in grado di filtrare pienamente le radiazioni stellari del Sole, migrando verso quella forma che le porta a addizionarsi al vasto mare. Però questo non succede, come si potrebbe facilmente scegliere di pensare, con un ritmo regolare e prevedibile, giacché nulla, tranne ciò che è artificiale, si adegua alle preferenze della società. Bensì la forza che si accumula per l’allungamento longitudinale di un ghiacciaio, a causa dell’effetto della gravità, d’improvviso raggiunge il punto critico ed allora…Si ode il rombo di un boato, pari al quale non c’è nulla che sia percettibile all’orecchio umano, quindi inizia la trasformazione. In quel caso semi-leggendario, di una massa bianca pari o superiore all’isola di Manhattan, che in un turbinare caotico ha iniziato a muoversi in senso parallelo al piano dell’inquadratura (e meno male, altrimenti chi lo salvava?) Oggi, con intento didattico ma anche un chiaro scopo promozionale, l’intera sequenza è disponibile sul canale ufficiale degli Exposure Labs, compagnia di produzione del lungometraggio, assieme a qualche dato di riferimento che può facilmente far venire le vertigini: altezza complessiva del ghiaccio, 3000 piedi ca. (914 metri) di cui 2700 sotto il livello dell’acqua. Entità dell’area lasciata vuota dal fenomeno, un miglio di profondità per due di larghezza, benché come dimostrato anche dall’immagine metropolitana in sovraimpressione sul finire del video, i sommovimenti fossero riusciti a coinvolgere uno spazio molto superiore. L’intero evento incredibile, poi, si è svolto in un tempo di 45 minuti, praticamente l’equivalente di un battito di ciglia rispetto alle proporzioni di un tale sorprendente, eppure prevedibile disastro. Non c’è in effetti nulla d’inaudito in un distaccamento dei ghiacci che raggiunga tali proporzioni, visto come in precedenza siano stati riportati (ma non messi su pellicola) eventi di ablazione dalle proporzioni assai maggiori. In particolare esistono testimonianze dell’improvviso palesarsi, verificatosi tra agosto del 1961 ed aprile del ’62, di una nuova isola ghiacciata a largo della barriera glaciale artica di Ward Hunt, presso la costa nord dell’isola di Ellesmere, a Nunavut, in Canada. Della quale ormai non resta nulla, a causa dell’ulteriore aggravarsi di quelle stesse condizioni che l’avevano creata.
È una scena per certi versi triste, sconvolgente. Eppure che non può fare a meno di ispirare un certo senso di stupore dinnanzi all’entità immisurabile della natura, le assurde proporzioni verso cui tendono le basi solide dell’attuale situazione di contesto, rapidamente in viaggio verso l’auto-annientamento. È possibile arrestare del tutto un tale processo dalle proporzioni planetarie, di cui lo squagliamento del ghiacciaio di Ilulissat non è che una minima parte? Probabilmente no, direbbe il pessimista. E dunque, ubriacati dal senso della fine che già vede il porto d’approdo, faremmo bene a goderci uno spettacolo del finimondo, spezzettato per la nostra convenienza in tanti singoli episodi da gustare separatamente…

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L’uomo con il potere di influenzare il tempo atmosferico

T Chase

T.Chase è l’uomo che sussurra alle nuvole, ottenendo risposta. “Sia fatto un buco… Sia fatto un buco…” Il suo messaggio al cielo suona come una sorta di mantra, ripetuto più volte, formulato con voce stranamente gutturale. Parla dapprima con tono normale, poi affannoso, poi estremamente bizzarro. A quanto pare, infatti, il grado di concentrazione richiesto per operare nel campo della psicocinesi metereologica è talmente profondo, e intenso, da cambiare l’accento e la pronuncia delle parole. “Sia fatto un buco… Più grande… Più graa-ndee…” Si ascolta rapiti il suo crescendo di portentose invocazioni, che durano ben quattro interminabili minuti. A un certo punto, inevitabilmente, viene da chiederselo. Possibile che le nubi parlino inglese? Presi così, spontaneamente, fra il dubbio e l’aspettativa, si resta affascinati. E combattuti. Lo stesso mistico, dal canto suo, afferma di essere un autodidatta e di aver raggiunto, nei suoi giorni migliori, “soltanto” il grado 3 della scala psicocinetica. Sarebbe a dire, quello che consente di creare giusto una nuvola, controllare il vento leggero e causare un pò di pioggia qua e là. Niente temporali o uragani, competenza di stregoni e antiche divinità, come gli Aesir vichinghi e le streghe scozzesi del XV secolo. Un fallimento, giunti a questo punto, sarebbe imbarazzante. “Allarga il buc…” Poi, incredibilmente, eccolo lì. Il fenomeno si è compiuto: dove prima campeggiava esclusivamente del candido vapore acqueo, ora spicca un ceruleo soffitto celeste, oltre il fatidico foro circolare. Perfettamente delineato. Sarà una coincidenza? Tutto è possibile. Ai posteri l’ardua sentenza. A noi è bastata la catarsi del momento, così pregna da favorire il buonumore. E perché no, contagiosa: verrebbe quasi voglia di provarci.

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