È una lucertola pelosa! È una lumaca Super Sayan! No, è lo scoiattolo pigmeo dai ciuffi auricolari…

Pacifica e accogliente può essere l’umida foresta d’altura dell’isola più vasta del Sud Est Asiatico, dove l’alto albero del Meranti Giallo svetta come un grattacielo, circondato dai dipterocarpi, madhuca e ombrosi mirti tipici del clima tropicale. Ivi la cupezza e pesantezza delle piogge acide, lo smog urbano e il mutamento di temperature ancora non hanno trovato il modo di gravare su uno degli esempi di ecosistema più notevoli, potenti e biodiversi sul finire del vigente Antropocene, un’epoca di cambiamenti indotti, in larga parte, dalla cupidigia di chi cerca pratici vantaggi di tipo economico e territoriale. Qui, l’aquila dal ventre rosso compie i propri voli di pattugliamento, tranquillamente trasportata dalle correnti ascensionali generate attorno al monte Kalimantan. E lo zibetto di Sunda sempre cerca in mezzo a tiepidi cespugli, tramite l’olfatto più affinato di qualsiasi altro mammifero terrestre, tranne forse l’orso ed il cane. Su nella canopia, si aggirano con fare laborioso quei serpenti arborei, come la vipera del tempio o il serpente “gatto” delle mangrovie. Tutti quanti accomunati, egualmente intenti e pervicaci, in quella famelica ricerca di soddisfazione alimentare che produce una domanda solamente: dov’è… Lui?
Ah, scoiattolo pigmeo, scientificamente appartenente al genere degli Exilisciurus. Un piccolo e simpatico abitante del contesto, le cui proporzioni possono tradire una solenne verità finale: non può esistere la pace, quando devi correre per sopravvivere. Dovendo continuare a farlo, ogni singolo giorno della tua furtiva ed ultra-rapida esistenza terrena. Ve ne sono a ben vedere tre versioni, la prima delle quali classificata nel 1838 dal naturalista tedesco Salomon Müller (E. exilis, la più comune) e le altre due più di mezzo secolo dopo, dal britannico Oldfield Thomas (E. concinnus, E. whiteheadi). Con differenze morfologiche evidenti ma lo stesso aspetto singolare, dal corpo compatto con livrea verde oliva, gli occhi a palla, la coda appuntita e la testa posizionata direttamente senza spazio per un collo evidente. Tanto da rassomigliare superficialmente all’idea stereotipata che un artista inesperto potrebbe avere di come sia fatto uno scoiattolo, in base alla descrizione di qualcuno che l’ha visto una volta soltanto. Ma forse il più notevole del trio risulta essere proprio il cosiddetto “testabianca” con i suoi ciuffetti situati nella parte posteriore del capo, che ricordano l’elmo di Asterix o le calzature del dio Mercurio. Riferimenti egualmente validi, mentre saetta senza posa da un pertugio all’altro, facendo affidamento sul prezioso mimetismo garantito dal colore del proprio mantello…

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Quando caddero le alte scogliere di Helgoland, isola e fortezza nel Mare del Nord

Secondo una leggenda delle origini del Cristianesimo nell’Europa settentrionale, un monaco di nome Willibrod raggiunse sul finire del VII secolo una landa remota, oltre la costa della Germania e costituita da un arcipelago di due isole, complessivamente non più grandi di quattro chilometri quadrati. Qui egli ebbe ad incontrare un popolo nativo, selvaggio e retrogrado, che venerava un pozzo ed una misteriosa mandria di bovini. Allorché ispirato da Dio in persona, egli bevette l’acqua del pozzo e si nutrì della carne delle mucche sacre, il sant’uomo ebbe a suscitare il senso critico degli abitanti; poiché se lui poteva commettere dei tali sacrilegi e sopravvivere all’ira degli Dei, invero al mondo doveva esistere un Potere più grande. Incontrastato, di fronte a qualsiasi altro. In un’altra versione della storia, ambientata qualche decennio dopo, Willibrod sbarcò appena in tempo per salvare un ragazzo che doveva essere sacrificato al mare tramite il sollevamento della marea. Convincendolo a convertirsi appena in tempo, il che avrebbe impedito all’acqua di salire abbastanza da riuscire ad annegarlo. Un vero e proprio miracolo dunque, che avrebbe contribuito in seguito a renderlo santo, ma anche a far cambiare il nome di questo piccolo satellite del Vecchio Continente da Fositeland, proveniente da Forseti, Aesir della giustizia norrena, ad Heiligland in Alto Germanico, ovvero Terra Sacra. Destinato poi ad elidersi in Heligoland nel tedesco moderno, ed ancor più brevemente Helgoland per i parlanti di lingua inglese. Idiomi corrispondenti ai due popoli che più di ogni altro avrebbero combattuto, sofferto e discusso diplomaticamente per le rispettive competenze in merito, causa l’importanza strategica che questo particolare luogo, più di molti altri, si sarebbe trovato ad avere.
Dal punto di vista geologico sia l’isola principale, che la sua vicina e più piccola Dune, risultano composte da roccia sedimentaria di colore rosso, appoggiata su uno zoccolo dello stesso sostrato candido, e qui invisibile, che altrove giunse a costituire le bianche scogliere di Dover. Con un profilo rialzato rispetto al livello dell’oceano, tale da garantire la presenza di almeno un alto, residuo faraglione costiero detto Lange Anna, “L’alta Anna” che oggi parrebbe nell’ultima fase della sua esistenza, essendo destinato entro una manciata di generazioni a precipitare nuovamente negli abissi che lo avevano un tempo generato. Lungamente trascurate fino all’inizio dell’epoca moderna, causa l’esistenza di molte alternative vie d’accesso alla foce dell’Elba e gli altri fiumi della costa tedesca, l’arcipelago di Helgoland iniziò ad entrare nel mirino della grandi nazioni nel XIX secolo, quando durante le guerre napoleoniche l’ammiraglio Thomas MacNamara Russell lo conquistò per Giorgio III del Regno Unito, ottenendo conseguentemente un documento redatto dalla Danimarca, del cui territorio le due isole facevano nominalmente parte in base alle divisioni dei distretti marittimi settentrionali. Fu l’inizio, essenzialmente, della fine per la landa dove “Non esistevano banchieri né avvocati, e nessun crimine. Dove le tasse non esistono e i traghettatori non chiedono mai la mancia.”

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Non c’è pace né romantica misericordia, per lo scoglio atlantico della discordia

Tutto ciò che l’occhio riesce a scorgere, nel tratto di mare situato tra l’isola scozzese di Soay e quella irlandese di Tory, 700 Km a sud dell’Islanda, in origine non era altro che una semplice roccia dell’altezza di un palazzo di quattro piani. Il nucleo granitico di un vulcano estinto, unica parte emergente di un’intera cordigliera sommersa. Eppure come nell’immensità del cosmo, corpi astrali generano il campo gravitazionale che influenza il movimento degli oggetti vicini, attraverso il corso dell’ultimo secolo questa pinna magmatica è giunta a costituire il punto nodale di una questione destinata ad influenzare la vita di centinaia, se non migliaia di pescatori, nonché le relazioni diplomatiche tra quattro paesi distinti. Tanto da poter riassumere la complicata faccenda con l’espressione sintetica: “In Inghilterra, Irlanda, Danimarca e Islanda, tutti quanti vanno pazzi per Rockall.
Fondamento del diritto marittimo dei nostri giorni, da Occidente a Oriente, è che l’utilizzo di una qualsivoglia tipologia di terra emersa crei giurisdizione, inteso come l’incorporamento di fatto nelle operazioni logistiche di una nazione. Così che nel caso in cui qualcuno abiti sopra un determinato luogo, non importa quanto piccolo o remoto, egli genera una zona circolare calcolabile attorno alle 12 miglia nautiche, ove soltanto i pescherecci battenti la stessa bandiera potranno ricevere il permesso d’operare in modo totalmente legittimo ed indisturbato. C’era, inoltre, la problematica pendente del fatto che una nazione ostile, come l’Unione Sovietica, potesse ipoteticamente installare un sito di spionaggio la sopra, lontano da occhi indiscreti. Giusto mentre venivano effettuati i primi test di missili intercontinentali nelle acque del principale oceano settentrionale. Ecco perché, in parole povere, nel 1955 la Gran Bretagna si preoccupò d’inviare presso un isolotto di soli 784 metri quadri l’intero equipaggio della nave di perlustrazione HMS Vidal, il cui elicottero avrebbe depositato il tenente comandante Desmond Scott assieme a un seguito di due persone, per erigere presso la cima l’imprescindibile bandiera dell’Union Jack. “Nel nome della Regina Elisabetta II, signora delle Isole e degli altri Territori, sovrana del Commonwealth, protettrice della Terra etc. etc. oggi prendiamo possesso di quest’isola di Rockall. Sia resa gloria a Sua Maestà.” Il che, dal punto di vista degli inglesi, oltre a costituire l’ultima espansione dell’Impero Britannico, avrebbe dovuto chiudere la questione a sempiterna memoria. Come potrete facilmente immaginare, non fu così. Dopo tutto la vicinanza territoriale con l’Irlanda era maggiore rispetto a quella della terra firma dell’espansionista Albione, il che avrebbe presto proiettato l’importanza strategica di Rockall ai fasti dell’opinione pubblica di entrambi i paesi, con proteste, udienze parlamentari ed una raffica di articoli su quotidiani e riviste ad ampia tiratura. Entro la fine di quell’anno, addirittura, l’ottantaquattrenne membro del Clan Mackay, J. Abrach Mackay, affermò che un suo antenato aveva preso possesso legalmente di quell’isola e nessun governo avrebbe potuto effettivamente reclamarla. Assai prevedibilmente, fu completamente ignorato…

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La strana vita dell’oca poco acquatica dal becco del colore di una zucchina d’inverno

“Essere o non essere, quack-sto è il problema” Un’oca. Sulle spiagge dell’isola di Cape Barren, lungo la costa orientale tasmaniana, un gruppo di grossi uccelli grigi si aggirano alla ricerca di piccoli ciuffi verdi tra gli strati di sabbia smossa. Il collo lungo, le zampe palmate, le grandi ali ricoperte di ordinate macchie di tonalità più scura; tutto, in loro, suggerisce l’idea di un anseriforme, la stessa famiglia tassonomica di uccelli simili diffusa nella maggior parte dei continenti. Informazione formalmente vera, benché a conti fatti nessuno sembrerebbe averlo reso noto ai piumosi abitanti di questi luoghi. Che non si avvicinano neppure al bagnasciuga, non cercano le alghe, non fanno insomma nulla di quanto ci si aspetterebbe dalla loro specifica conformazione fisica e predisposizione genetica ereditaria. Questo poiché la Cereopsis novaehollandiae, con una popolazione complessiva di appena 11.000-12.000 esemplari esclusivamente distribuiti in questa terra emersa e alcune piccole isole antistanti, oltre all’intera parte meridionale degli stati australiani, rappresenta il raro caso dell’evoluzione che per fare fronte a situazioni atipiche, parrebbe aver imboccato un’improvvisa via periferica dal corso principale degli eventi. Nicchie specifiche di ambienti chiaramente definiti: c’è moltissimo che può avvenire, nel corso di qualche pregresso millennio, al palesarsi di fenotipi e caratteristiche degne di una voce diversa sull’enciclopedia. Chiedetelo, volendo, a loro stesse. Che da un becco bitorzoluto dall’atipica tonalità verdognola (la lingua pare un piccolo serpente) vi risponderanno usando un verso stranamente fuori dal contesto, come un doppio grugnito alto e basso, simile a quello del maiale. Poiché il modo d’esprimersi, è cosa nota, rappresenta il primo segno di essere in un territorio nuovo.
Gradualmente, avvicinandovi, inizierete quindi a fare la loro conoscenza. Non in modo così cordiale, s’intende: l’oca di Capo Barren, come in effetti non pochi altri rappresentanti di questa tipologia d’uccelli, vanta un atteggiamento alquanto scontroso soprattutto quando necessita di fare la guardia ai propri piccoli, fino a quattro graziosi piumini a strisce bianche e nere che tra luglio e settembre diventeranno una presenza immancabile al seguito della coppia monogama genitoriale. Ma nel loro specifico caso, possono fare affidamento su un’arma incorporata decisamente particolare: la coppia di protrusioni ossee situate nel punto mediano delle ali, funzionalmente non dissimili da un tirapugni in uso nelle gang di strada. Guai, dunque, a chi rendesse manifesto l’apparente intento di avventurarsi nel loro territorio…

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