In una foto recentemente diventata celebre online, scattata nel parco naturale di Kaziranga, in Assam, un’elefantessa indiana sembra incedere col proprio fanciulletto in un verdeggiante prato punteggiato di attraenti fiori viola. L’aspetto singolare della scena, tuttavia, è il modo in cui la coppia di animali in questione risulti visibili soltanto parzialmente, con le gambe in apparenza sprofondate in quella che dovrebbe costituire una vegetazione alta ben oltre un metro. Uno sguardo maggiormente attento, tuttavia, potrà notare un paio di anomalie situazionali: come avrebbe mai potuto l’elefantino, che solleva in alto la proboscide tenendo stretta una di queste piante, sradicarne agevolmente l’intera forma in un terreno che dovrebbe risultare ben più distante? E perché i protagonisti della scena appaiono completamente bagnati dall’altezza della coda in giù, come se fossero attualmente intenti a guadare un fiume? Il nesso è che nell’effettiva interpretazione dei fatti, ciò che sembra non è necessariamente la realtà… E l’incredibile sospetto può trovare, dietro un rapido approfondimento, l’eccentrica constatazione di un’idea. Che il corso d’acqua sospettato sia davvero lì presente, soltanto coperto, da una sponda all’altra, per l’effetto di un’invereconda proliferazione vegetale. Avrai probabilmente già sentito parlare, oh figlio della materna terra, della “cosa” che si chiama Pontederia crassipes. Una presenza stabile, diffusa, totalmente prevedibile e del tutto sempreverde, che si configura come le temute fioriture dei sargassi d’acqua salmastra pur essendo a tutti gli effetti una pianta, con radici, fiori e tutto il resto, appartenente all’ordine monocotiledone delle pontederiacee, famose per la loro capacità di galleggiare traendo il proprio nutrimento in soluzione, piuttosto che dalla compatta polvere che si nasconde nel sottosuolo. Con tanta di quella diabolica, terrificante efficienza, da poter ricoprire totalmente uno specchio d’acqua in appena la metà di una stagione, soprattutto se assistita dagli sversamenti di concimi eutrofizzanti provocati dall’odierna agricoltura, in luoghi dove in precedenza è stata con terribile imprudenza trasportata dagli orticoltori degli scorsi secoli. Rigorosamente a fin di bene, s’intende. Poiché se c’è un aspetto veramente problematico del cosiddetto giacinto d’acqua, è il suo fascino esteriore e l’attraente bellezza dei fiori che produce, almeno finché non conquista territori tali da distruggere ogni rimanente presupposto d’integrazione biologica con gli altri protagonisti del territorio. Il che costituisce una mera questione di tempo, da che venne trapiantato dal suo ambiente originale sudamericano, dove l’immanente proliferazione di coleotteri capaci di nutrirsi dei suoi semi e teneri virgulti, può riuscire a contenere tale tracotanza che ogni cosa riesce a metabolizzare…
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Il piano dell’artista che ha depositato 140 tonnellate di terra in un appartamento a New York
Tra tutti i vicini di casa possibili, il più desiderabile parrebbe essere il facoltoso proprietario delle mura, che vivendo fisicamente altrove ne mantiene intonso il contenuto. Garantendo agli inquilini del piano di sotto l’assoluta tranquillità auditiva, l’assenza di dispute e la sempre gradita opportunità di dire ai propri conoscenti: “Si, io vivo in QUEL palazzo. Che ci crediate o meno, è una persona come gli altri.” Un eufemismo se mai ce n’è stato uno, per coloro che abitano i loft al secondo e primo piano del 141 di Wooster Street, la traversa di Manhattan che ha voluto tradizionalmente costituire il cuore pulsante di molte correnti artistiche newyorchesi. Nessuna, d’altra parte, in grado di raggiungere un simile punto estremo di coerenza a se stessa anche a discapito delle consuetudini acclarate. Le narici più sensibili percepiranno qualcosa d’insolito già quando si varca il portone d’ingresso. Un sentore remoto di palude, come di terra umida massimamente fertile, modificata dall’umidità dell’aria prodotta dalle moltitudini di una simile massa indivisa di umanità. Una volta preso l’ascensore fino al punto designato, a questo punto, una breve anticamera condurrà il visitatore in quella che potrebbe costituire a pieno titolo la scena di una dimensione aliena: una stanza dalle pareti perfettamente bianche, il cui parquet alla moda è stato totalmente ricoperto da uno strato di 56 centimetri di torba. Capace di estendersi e propagarsi dentro i dedali dell’attraente appartamento, per un gran totale di 335 metri quadri soltanto in parte raggiungibili dallo sguardo. Con soltanto una bassa barriera trasparente ad impedire a quell’ammasso di esplodere verso la porta d’ingresso, invadendo la tromba delle scale del condominio. Diversi pensieri si affollano a quel punto nella mente: il primo è quanto solido possa essere il solaio di tale struttura. Il secondo, quale sia il valore dell’immobile così esteso, in uno dei centri cittadini più famosi ed alla moda del mondo contemporaneo…
Il discorso sulla conservazione dell’arte, nella sua manifestazione pratica di una creazione immutabile fatta in ciò che è perituro per definizione, ovvero la materia, risulta tanto più facile da affrontare quanto più questa espressione umana viene limitata nei contenuti e metodi, da quella che potremmo definire come la consueta ragionevolezza del buon padre di famiglia. Riesce dunque tanto facile tramandare un bel quadro attraverso le generazioni, così come una statua dalle proporzioni affascinanti, che possa essere riconducibile ai canoni greci e latini rappresentativi del Mondo Antico. Ma che dire invece di tutte quelle opere appartenenti al canone dei cosiddetti avanguardisti, gli istigatori, i cavillosi per finalità offuscate, gli anticonformisti? Quelli che la buona società accademica, volendo usare un eufemismo popolare negli anni successivi la metà del Novecento, avrebbe scelto di raccogliere sotto il termine ad ombrello di troublemakers (piantagrane) entro cui avremmo potuto a pieno titolo inserire la figura eclettica di Walter Joseph De Maria, uno dei principali iniziatori del movimento generazionale della cosiddetta land art…
Centodieci punte di coltello nella bocca del più longevo assassino del Burundi
Variegate sono le leggende che si affollano nella coscienza collettiva dei contesti urbani, in un labirinto di mistiche apparizioni, oggetti fuori dal comune, voci provenienti dal sottile velo che divide il regno del tangibile dall’illusione. Ma basta trasferire la tua lente scrutatrice in un ambiente dove la semplice sopravvivenza è meno garantita, per trovare un filo conduttore ininterrotto che si estende dai primordi della civilizzazione fino alle disquisizioni di taverne o centri del villaggio dei giorni odierni: l’idea che la natura è Pericolosa e le creature che in essa sussistono, possono sostituire a pieno titolo i recessi dei tuoi incubi più orribili ed al tempo stesso terrificanti. Come l’esperienza tanto spesso vissuta, stando ai resoconti registrati ed alcune comprovate prove documentali, dal tipico pescatore del bacino idrografico circostante il lago più lungo al mondo. Che avvicinandosi in maniera cadenzata a quello che sembrava essere da ogni punto di vista rilevante un isolotto formato da terra e fango, ha rilevato prima l’evidente progressione di una serie di scaglie ripetute sopra il “dorso” del compatto rilievo. Quindi, ha visto poderose fauci spalancarsi all’improvviso su di un lato, sufficientemente ampie da riuscire a trangugiare la sua testa, spalle e pure il remo usato come ultimo strumento di protezione. Ed è allora che ha iniziato a correre. O perire.
Quanto è grande, esattamente, il più significativo dei coccodrilli nilotici, che in media viene giudicato il secondo rettile più imponente al mondo? Accantonando a questo punto la risposta che potreste aspettarvi, sulla falsariga di “Lo zoo di [X] ne ha tenuto un esemplare in grado di raggiungere [X] Kg nel corso della sua lunga vita” possiamo ritornare tra le opache acque del fiume Ruzizi nel piccolo paese africano del Burundi, rinomato tra le altre cose come la dimora della singola cosa più vicina a Godzilla mai vissuta in epoca contemporanea agli umani, fatta eccezione possibilmente per esemplari ignoti appartenenti alla distante schiatta del coccodrillo marino australiano. Un mostro in grado di raggiungere o persino superare i 6 metri di lunghezza. Ed i 900 Kg di peso. E sia chiaro, nel contempo, che quelle citate non costituiscono neppure le cifre più notevoli connesse alla complessa vicenda della sua vita. Essendo il caso di Gustave (questo il nome) direttamente collegato al potenziale verificarsi di una quantità variabile tra le 60 e le 300 morti umane. Dovute al rapido e purtroppo inevitabile incontro con la colossale, impressionante capace di scattare in avanti, con velocità paragonabile a una trappola di tipo assolutamente letale…
La cripta della metropolitana che costituisce l’ultimo ricordo di un impero Universale
Nel romanzo del 1905 di Jules Verne, Kipps: storia di un’anima semplice, il protagonista incontra la sua amica d’infanzia ritrovata, e futura spasimante Ann in presenza di “un Labirintodonte verde e oro, così magnifico sopra le acque del lago”. Non propriamente un ennesimo ritorno alla Preistoria, a cui le precedenti opere di questo antesignano del fantastico di avevano abituato, bensì la fedele descrizione di un punto di riferimento statuario davvero esistente, all’interno del Crystal Palace Park. Ovvero quello spazio designato, presso il rilievo londinese di Sydenham Hill, come punto d’arrivo del trasloco della singola costruzione vittoriana temporanea più incredibile, nonché una delle maggiori costruite al mondo. Se il protagonista provinciale delle tante disavventure della narrazione avesse a questo punto accompagnato la ragazza fino ai margini del parco, oltre la via d’accesso principale che conduce alla zona di Greenwich, i due si sarebbero a questo punto imbattuti in un semi-nacosto ingresso verso i “misteriosi” sotterranei dell’ambiente metropolitano. E proprio qui, al termine di una lunga scalinata, avrebbero potuto fare l’ingreso in una sala degna di essere chiamata fiabesca, da ogni accezione di quel termine liberalmente utilizzato senza vere cognizioni di fatto. Ma chi avrebbe mai creduto che uno spazio tanto simile alla cripta di una cattedrale bizantina potesse trovare la collocazione, sotto il cemento ed il selciato di un comune viale? 18 colonne di mattoni ottagonali, sormontate da una volta a botte dal disegno geometrico di rombi interconnessi. Tratteggiato grazie all’utilizzo di maioliche in alternanza, color crema ed arancione, con rosoni situati nelle vie di fuga, raffiguranti dellle immagini dell’Astro Solare. Quella stessa stella diurna che, secondo un popolare modo di dire, non sarebbe mai realmente tramontata sui possedimenti del grande paese sotto l’egida di Queen Victoria. Così come volutamente ricordato, dalle molte meraviglie tecnologiche, scientifiche ed ingegneristiche, di quello che sarebbe stato ancora per svariate decadi uno dei punti di riferimento londinesi più famosi su scala nazionale e nel mondo, qui raccolte da un esperto comitato nell’equivalenza finemente ornata di una trasparente basilica di 84.000 metri quadri. Ma così come la gloria degli Imperi non può durare per sempre, lo stesso vale per le serre colossali, non importa quanto attenta e puntuale possa essere stata la loro costruzione…