L’ingresso nel pacifico scenario dell’orto botanico di 40 acri Koishikawa, costruito nel quartiere Bunkyō di Tokyo all’epoca dello shogunato Tokugawa, è un’esperienza che può trasportare il visitatore verso un tempo e contesto culturale distante. In mezzo alla natura pre-configurata sulla base delle necessità e sensibilità umane, dove ogni pianta ha una ragione ed il susseguirsi degli eventi stagionali appare in subordine al mantenimento di uno status quo immutato lungo il corso delle alterne generazioni. Ciò che Ko Mochizuki, biologo dell’Università cittadina, ebbe modo di notare durante i propri sopralluoghi con ragioni di studio, era una concentrazione anomala d’insetti, che per una ragione o per l’altra era lungamente sfuggita ad un commento scientifico da parte dei suoi colleghi. Mosche impollinatrici della famiglia Chloropidae, per essere precisi, vivaci volatrici che al di là di qualsivoglia ragionevolezza in termini di anonimato dallo sguardo dei predatori, sembravano massimamente inclini a concentrarsi sopra i fiori verdi a cinque petali di una pianta e soltanto quella: il tachigashiwa (タチガシワ) alias Vincetoxicum nakaianum, anche detto apocino giapponese o dogbane, per la sua presunta capacità di avvelenare con serie conseguenze la stirpe quadrupede dei cani. Causa la produzione pressoché continuativa di una resina biancastra, lievemente maleodorante, affine a quella immediatamente letale del suo parente prossimo sorprendentemente comune nei parchi cittadini europei, l’oleandro (Nerium oleander). Con potenziali conseguenze assai meno pericolose in questa attraente versione locale, ma l’apparente capacità di massimizzare le proprie chance riproduttive mediante l’utilizzo di un meccanismo particolarmente raro in campo botanico: la recentemente scoperta tecnica della cleptomiofilia. Il cui funzionamento risulta essere, allo stesso tempo, semplice e decisamente affascinante. Potreste a tal proposito già conoscere la maniera in cui l’insetto sociale per eccellenza, l’onnipresente formica, sia solita comunicare con i propri simili mediante l’utilizzo dei feromoni. Codici olfattivi utili in qualsiasi circostanza, poiché consentono il riconoscimento, la dichiarazione delle proprie mansioni ed in determinate circostanze, l’invio di un’ultima, disperata richiesta di aiuto. Così come talvolta capitava, successivamente all’incontro sventurato con aracnidi famelici, persino nella falsa quiete del Koishikawa Shokubutsuen…
Che un qualcosa possa capitare occasionalmente, d’altra parte, non significa che risulti necessariamente incline a verificarsi con cadenza pressoché continua e soprattutto concentrato in corrispondenza di singole e ripetitive attestazioni vegetali. Dovete considerare a tal proposito come questo particolare aroma, tanto preoccupante per gli imenotteri (costituendo nella veridicità dei fatti, anche un avviso nei confronti delle proprie compagne) sia nel contempo il segnale dell’ora di pranzo per le sopracitate mosche Chloropidae dell’erba, cleptoparassite nonché mangiatrici di cadaveri, notoriamente inclini a sottrarre con proprio rischio e pericolo gli avanzi messi da parte per il futuro nutrimento dell’ottuplice genìa costruttrice di ragnatele. Particolarmente, poi, quando il ragno in questione non risulta visibile, poiché nei fatti pratici non è in effetti parte del consorzio tangibile della pratica esistenza.
Tale l’improvvisa realizzazione di Ko Mochizuki dunque, fondamento in base al quale avrebbe in seguito raccolto e analizzato campioni di diverse parti della pianta direttamente coinvolta. Così da scoprire una preponderante presenza dei composti organici: acetato d’octile (8Ac), acetato di decile (10Ac) e salicilato di methile-6-methile (6-MMS). Una combinazione, guarda caso, non così diversa dall’olfattivo grido di morte delle sopracitate formiche giapponesi. Dal che deriva l’implementazione di una chiara strategia riproduttiva, dal punto di vista della pianta, basata sul rapporto causa-effetto incline a garantire un incremento esponenziale delle mosche visitatrici. Di per loro predisposte, grazie alla ben collaudata previdenza interconessa della natura, ad incamerare nelle proprie zampe quantità non trascurabili di materiale genetico, da trasportare tra esemplari reciprocamente produttivi e riceventi del fondamentale polline spermatofita. Un principio operativo tanto eccezionale quanto non del tutto privo di precedenti, avendo già ricevuto estensiva menzione in uno studio del 2023 (Heiduk, Brake, Shuttleworth) relativo all’apocina europea Ceropegia gerrardii, altrimenti detta “collana di cuoricini” per la forma altamente caratteristica delle sue cascate di foglie. Popolare pianta da appartamento, altresì dotata di speciali fiori a forma di gabbia, capaci d’intrappolare temporaneamente le mosche in cerca delle proprie prede moribonde, massimizzando in questo modo l’incameramento di una quantità persino superiore del prezioso polline contenuto all’interno. Stratagemma, quest’ultimo, non direttamente posseduto dalla tachigashiwa di Koishikawa, benché ciò non sembrerebbe avergli precluso la pregressa ed evidente colonizzazione di una buona parte dei tratti di costa dell’intera isola Honshu dell’arcipelago giapponese.
Piante dall’utilizzo nel contesto umano relativamente limitato, per lo più attestato nei trascorsi nostrani per la produzione di un tessuto ormai desueto a partire dall’apocino delle alture venete, i numerosi esempi su scala globale di quella che gli anglofoni definiscono dogbane hanno lungamente costituito un pericolo per gli animali domestici, ma anche bambini pericolosamente inclini a mettere in bocca tutto quello che gli capita innanzi. Ciononostante, prolifici, resistenti ma soprattutto gradevoli alla vista, hanno trovato il modo di prosperare non soltanto negli orti botanici, ma anche nelle ville pubbliche frequentemente adiacenti, come il popolare Koishikawa-Kōrakuen che si trova direttamente a ridosso degli spazi recintati presso cui gli antichi guaritori dei samurai erano soliti acquisire gli ingredienti per i loro preparati medicinali. Entro cui a ridosso di piacevoli fontanili, ponti colorati di rosso e l’occasionale rintocco legnoso dello Shishi odoshi (ししおどし) per scacciare i cervi qualcuno adesso noterà l’occasionale concentrazione di mosche destinate a deambulare sopra i bassi cespugli del loro destino frutto di una geometria immanente. Sfuggire ripetutamente, con agili manovre lungamente collaudate, all’agguato sempre possibile di un ragno che nei fatti potrebbe anche trovarsi (non) casualmente da quelle parti. Dopo tutto non si è mai abbastanza cauti! Quando nella maniera profetizzata in un famoso film di fantascienza degli anni ’90, morire nello spazio virtuale può causare, immantinente, la propria parallela e irrimediabile dipartita dallo spazio condiviso con gli altri viventi.
Vedi studio rilevante: Olfactory floral mimicry of injured ants mediates the attraction of kleptoparasitic fly pollinators, Ko Mochizuki