Lode a Thule, ombra di un antico albero, cipresso colonnare che sorregge il mondo

Emblematica nella letteratura fantastica è la città costruita sotto i rami protettivi di un abnorme arbusto, capace di proteggere coloro che vi abitano dalle influenze negative di creature dedite alla perpetuazione di un antico male. Insediamento elfico, generalmente, delle ninfe o gnomi dal cappello rosso (prima che Tolkien trasferisse il loro regno giù nelle viscere di monti pietrosi) che ivi offrono rifugio o salvaguardia al gruppo dell’eroe, rifiutandosi generalmente di schierarsi con le proprie armi ed aiutarlo direttamente nel compimento della sacra missione. Poiché ciò fanno le piante come prototipica prerogativa: ricordano, ma non agiscono; crescono, senza spostarsi. Mentre i secoli trascorrono veloci, nell’assenza di una partecipazione diretta, fatta eccezione per il serpeggiante espandersi delle radici e rami emessi dal tronco centrale. La cui presenza tende a crescere in altezza. Molto meno, nella stragrande maggioranza dei casi, in larghezza. Così il popolo dello stato messicano di Oaxaca, fin da tempo immemore, sapeva molto bene che il punto di riferimento vivente situato sulla strada nella valle tra le montagne della Sierra Madre era una presenza importante, persino sacra nella misura in cui esso svettava sopra i viaggiatori intenti a viaggiare lungo i 12 Km verso l’attuale capitale dello stato, Oaxaca de Juárez. Semplicemente perché non aveva smesso di ampliare la sua ombra, avendolo già fatto per lunghi secoli, o persino millenni, finché la mente faticava in modo sostanziale ad afferrarne le proporzioni ed il significato biologico inerente. Magnifico, svettante, vasto al punto che 30 persone mano nella mano avrebbero fatto fatica ad abbracciarlo, mentre circa 500 avrebbero potuto trovare ristoro dall’arsura di mezzogiorno sotto l’estensione delle sue fronde. Non c’è dunque alcunché di sorprendente se i diversi popoli che si sono susseguiti in questi territori, ciascuno a modo loro, avesse posto questo esponente del genere tassonomico Taxodium (cipresso calvo) al centro della propria visione mistica e percezione religiosa dell’universo. Dall’ancestrale credenza degli Zapotechi, convinti che esso costituisse il primo dei cinque alberi incaricati di sostenere il cielo, creati dagli Dei alle origini del cosmo stesso. Mentre i Mixtechi lo collegavano alla figura divina del signore delle piogge Dzahui, in quanto “albero che cresce dove sgorga l’acqua”, come implicita promessa di un raccolto in grado di rinnovarsi ogni anno. Laddove gli Aztechi lo ritenevano manifestazione terrena di Tlalocan, il paradiso umido e sotterraneo dedicato a coloro che morivano annegati o folgorati per l’impatto di un fulmine nel corso di un temporale. Finché con il superamento degli antichi schemi di valori, accanto al sacro tronco venne costruita una chiesa cristiana dedicata alla Santa Vergine del thule, il tipico sottobosco di cespugli fascicolati composto da piante appartenenti alla famiglia delle Ciperacee. Il cui campanile non avrebbe mai potuto raggiungere, in un significativo gesto di rispetto, i rami più alti dell’antica sentinella frondosa…

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La pigra cavalletta che figura tra gli insetti più tossici dei cinque continenti

L’affamato licaone volgeva con l’attenta consuetudine il suo sguardo all’indirizzo della fattoria dell’uomo. E quella costruzione in filo di metallo, colma di magnifiche creature del tutto incapaci di volare. Ah, galline! Cosa non farei per quel… Sapore. Persino penetrare nel pertugio sotto l’elettrificata recinzione, insinuarsi dentro il territorio reclamato in quel Zimbabwe ed aggirare l’oltraggiata superbia del suo antico avversario, il Cane. L’eterno servitore, imponente assalitore di ogni cosa che viene da fuori. Ora questo Cane, un mastino di Boerboel del peso di almeno 70 Kg si trovava in prossimità di una struttura costruita sulla sua misura, intento a rosicchiare un osso lasciatogli dal suo signore. Al che il licaone, su un piano del tutto istintivo, comprese in modo transitorio un qualcosa di assolutamente fondamentale: non importa quanto ben nutrito, comodo e protetto fosse quel temibile nemico. Il suo cervello in perenne cortocircuito gli avrebbe ripetuto in ogni attimo quel familiare impulso: mangia, mangia, DIVORA! Qualcosa di non sempre conduttivo, in base alle diverse circostanze, a gradevoli conseguenze finali. Ora il quadrupede zimbabwese, in qualche modo fondamentalmente imprevedibile, vide prospettarsi innanzi al proprio agire lo schema prototipico di un piano. Non del tipo elaborato per le connessioni neuronali nel suo caso assenti, bensì prospettato dal verificarsi di fortuite concatenazioni tra causa ed effetto. Allorché avanzando, tra i rami più bassi di una siepe di asclepiadacee dai fiori di cera, vide una scintilla rossa e nera profilarsi ai più remoti confini del suo campo visivo. Ora la diabolica creatura, roboante cavalletta, si spostò all’indirizzo del confine invalicabile, e poi oltre sotto l’occhio incredulo del vigile Boerboel. Che in un solo, agile balzo, la ghermì con le sue zampe muscolose e strinse in bocca tra labbra e acuminate zanne d’avorio. Crudelmente soddisfatto fu in questo frangente il licaone, che sapeva ciò che avrebbe avuto luogo nei pochi momenti successivi. Un sibilo leggero, appena udibile dalle sue orecchie amplificate. E schiuma bianca che fuoriesce dall’insetto, rendendo idrofobo d’aspetto il suo malcapitato torturatore. Finché il mordace non fu preso da tremori e nel giro di pochi secondi, cadde rovinosamente a lato della gabbia del pollame. Adesso soddisfatto, l’irsuto ladro maculato riprese laboriosamente lo scavo. Gli animali selvatici sanno che ci sono circostanze e situazioni dove, ispirati da ragioni di contesto, conviene coltivare sempre i meriti dell’astinenza. Ma quella saggezza e implicita pazienza, adesso, era stata accantonata…
Aritmia subito seguita da crisi cardiaca e nei casi più gravi, arresto cardiaco pressoché immediato. Avreste mai pensato di poter subire conseguenze simili, soltanto per aver introdotto nel vostro sistema digerente il corpo variopinto di un insetto? Probabilmente no, perché probabilmente non siete abitanti dell’Africa al di sotto della linea equatoriale e… Probabilmente, non avete mai osservato con i vostri occhi una riconoscibile esponente della specie Dictyophorus spumans o cavalletta schiumosa delle koppie (n.d.t: koppie significa “collinetta”) in merito alla quale i giovani vengono educati nelle scuole, poiché rappresenta il caso raro di una creatura del Vecchio Mondo, nociva e terribile a tal punto che potrebbe appartenere ai biomi più temuti d’Australia…

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Ecosistemi umani: la scatola di legno e vetro che condusse alla nascita del giardino globale

Oh, magnifico ed ornato insetto, larva di creatura nata sulle piante che ho raccolto lungo le terrose aiuole di Watling Street. Verde, giallo, bluastro bruco lungo tre quarti di spanna, destinato a diventare la falena dei presagi, che ricorda e invoca la figura di un teschio scarnificato. Oh, morte! Che ho causato alla tua schiatta, in questo giorno infausto, per la svista di una digressione di memoria, il tempo speso a coltivare il mio giardino londinese. Avendo posto sullo sfondo l’altro inutile progetto messo sotto vetro in un’ampolla, così poetico, tanto interconnesso alla filosofia dei giorni, di nutrirti ed accudirti fin all’ora della metamorfosi desiderata. Cos’è, in fondo, il rimorso… E soprattutto che cos’è… Quello? Erbetta verde sulla terra che doveva essere il sostrato? Della tua dimora chiusa e trasparente, racchiuso mausoleo che torna ad ospitare una timida speranza del suo domani? E se adesso lasciassi tutto questo nella stessa strana condizione? Saresti ancora lì a sbocciar tra un giorno, una settimana, un mese?
Raccontano i diari di Nathaniel Bashaw Ward, affermato medico della Londa vittoriana che aveva appena raggiunto i suoi 38 anni nel 1829, che il fortuito esperimento avrebbe avuto una longevità insperata: ben quattro anni di un’ininterrotta vita vegetale, per quanto umile, racchiusa nella tomba trasparente e sigillata dell’irrealizzabile falena, avendo nutrimento unicamente dalla decomposizione, la luce e quella limitata quantità d’acqua ripetutamente assorbita, liberata in forma di condensazione e poi caduta nuovamente alle mura trasparenti fino al fondo della piccola prigione in vetro. Un risultato tanto inaspettato quanto ricco di un profondo potenziale, giacché il praticante non per scelta del mestiere paterno tanto a lungo aveva desiderato di girare il mondo come marinaio, avendo anche vissuto l’esperienza in gioventù di giungere fino alla Giamaica, nel corso del suo primo e unico viaggio al di là del vasto mare. E adesso che questa possibilità gli era preclusa, per le ovvie e universali ragioni dell’età adulta, vaste soddisfazioni avrebbe ricevuto dalla successiva migliore possibilità: ricevere dai suoi colleghi appassionati di botanica, in giro per le colonie e il resto del globo, ogni sorta di magnifica creatura vegetale. Da inserire nella propria collezione precedentemente composta soprattutto da qualche orchidea e felce, inevitabilmente deperite a causa dell’aria inquinata della city surriscaldata l’effetto della febbre più terribile, la prima e inarrestabile Rivoluzione Industriale. Fu così che il medico, dopo un rapido sopralluogo all’ufficio brevetti, decise entro il 1833 a passare a vie di fatto. Facendo costruire una coppia di versioni sovradimensionate del suo speciale contenitore, da inviare fino all’altro capo di un lungo viaggio in Australia con alcune felci britanniche rare all’interno. Di certo non poteva immaginare, all’epoca, di aver creato il primo terrarium della Storia…

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Nel vuoto cosmico della cava, un monumento sferoidale alla preziosa biodiversità terrestre

Semplificazione ereditata dalle antiche usanze è l’atto di descrivere lo spazio sovrastante al nostro mondo come “volta” o “arco” celeste, laddove l’atmosfera che ha lo scopo di proteggerci dal vuoto cosmico ha piuttosto le caratteristiche oggettive di una sfera. Costituita dagli strati sovrapposti di sostanze gassose ed un campo magnetico non del tutto permeabile alla radiazioni, condizione necessaria all’insorgenza e prosperità della vita per come la conosciamo. Basta rivolgere lo sguardo verso l’alto, d’altro canto, per capire in quale modo le metafore imperfette possano essersi concretizzate nello spazio ideale della mente delle persone. Giacché una prospettiva naturalmente incompleta è quella che si offre allo sguardo dei costruttori. Che nel tentativo di tradurla in modo comprensibile, ricorsero a concetti architettonici che potenzialmente fossero capaci di replicare. Prendiamo, per esempio, una cupola. Strumento che racchiude o protegge. Scudo nei confronti dei fattori sussistenti, come la pioggia, il vento o il gelo. Una membrana in grado di dividere l’esterno dall’interno. Donando a quest’ultimo la capacità di esistere in maniera indipendente dai fattori contestuali di appartenenza. E giungendo a posizionare un’intera foresta tropicale, ad esempio, nell’ambiente alquanto freddo e relativamente umido di una miniera di caolino dismessa sui confini della Cornovaglia.
15.600 metri quadri totalmente sigillati come nelle astronavi teorizzate dallo scrittore di fantascienza britannico Stephen Baxter dunque, il progetto Eden costituisce la fetta presa in prestito ed attentamente tutelata di uno degli ambienti maggiormente distintivi del nostro inconfondibile pianeta. Ciò che nasce, cresce e si rinnova rigoglioso in lande prossime alla linea equatoriale, qui tradotte in una serie di parametri del tutto sotto controllo grazie alla regolazione dei sistemi tecnologici di pompaggio e condizionamento dell’aria. In cupole geodetiche, del tipo spesso utilizzato per le serre di maggiori dimensioni. In due gruppi reciprocamente interconnessi di quattro e due, di cui il secondo e più piccolo (“appena” 6.500 mq) risulta di suo conto dedicato all’ambiente vegetale del bacino del Mediterraneo, polo forse meno esotico proprio perché conosciuto in prima persona da una maggior percentuale di abitanti della parte Nord del mondo. Sebbene qui lo scopo di riuscire a conquistare il pubblico venga servito da numerosi fattori collaterali, tra cui i cartelli informativi, le passerelle panoramiche, le guide turistiche ed i narratori per i visitatori più giovani. In quella che riesce a profilarsi come un tipo raro di attrazione turistica, un polo dei divertimenti al tempo stesso scientificamente utile e culturalmente edificante. Nato, come altri luoghi simili nel territorio insulare del Regno Unito, grazie ai fondi elargiti dallo stato per l’impegno a promuovere i contributi e la capacità di quel paese al concludersi del secondo millennio. Soprattutto grazie al contributo creativo e la capacità di visione posseduta da un paio di figure chiave…

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