Forse il più notevole traguardo dell’ultima ora, nei termini secolari in cui può essere studiato il progresso umano, è il dominio e la liberazione della naturale progressione del tempo. L’accelerazione dei processi, l’ottimizzazione dei momenti, la fusione ed il rimpasto dei segmenti successivi del ciclo delle stagioni. Che un tempo influenzavano e determinavano infiniti aspetti dello stile di vita, dalla frequenza e la necessità del quotidiano al tipo di pietanze che risultava possibile disporre sulla tavola comunitaria delle persone. Con riferimento particolare a tutto quello che deriva dall’addomesticazione del mondo vegetale, invero il punto di partenza in un ampio ventaglio di culture per l’elaborazione del concetto stesso di calendario. Non che gli antichi fossero del tutto indifferenti, in linea di principio, al pregio che sarebbe derivato dal poter disporre di determinata frutta e verdura indifferentemente dal periodo climatico vigente. Come nella celebre leggenda riferita dallo storico Plinio il Vecchio, relativa al modo in cui l’Imperatore Tiberio potesse disporre per i propri pranzi e cene di avveniristiche serre funzionanti senza interruzioni nel territorio dell’Urbe, le cui pareti non del tutto opache erano costruite tramite l’impiego di sottili lastre di mica, un minerale proveniente dalla Toscana, dal Veneto e la Lombardia. Entro cui crescevano libere da ogni influenza negativa copiose quantità del vegetale cucumis, una sorta di piccolo cetriolo antecedente alla creazione di qualsiasi altra varietà di questo peponide dalla polpa carnosa, il cui sapore fresco è ancora oggi al centro di moltissime ricette e preparazioni gastronomiche capaci di contribuire ad una dieta equilibrata. Del metodo effettivo di coltivazione della pianta, l’autore non fa menzione, sebbene indicazioni di contesto di permettano di determinare come la primizia fosse stata già in quell’epoca “addestrata” a crescere in una configurazione particolare, profondamente diversa dalla modalità strisciante e soltanto in parte arrampicatoria dimostrata da questa specie vegetale in natura. Questo in forza della logica, per ragioni di spazio ma soprattutto perché ad oggi conosciamo troppo bene le antiche radici di quel sistema, necessario punto di partenza per quanto concerne l’implementazione di qualsiasi logica proficua nell’impiego su ampia scala della cucurbitacea più versatile, proprio perché valorizza e perfezione il sapore degli altri ingredienti di qualsiasi tipo di ricetta in cui trovi l’effettivo impiego. Messo in opera tradizionalmente mediante l’utilizzo della cosiddetta espalier, una struttura verticale reticolata, ove ciascuna pianta veniva incoraggiata a crescere pena la spietata potatura di ogni eventuale diramazione collaterale. In uso dentro e fuori dall’Europa, con diverse modifiche e perfezionamenti, fino all’inizio dell’Era Moderna, quando la nascita d’ingiustificati pregiudizi nei confronti del cetriolo, soprattutto all’interno del mondo anglosassone dove venne soprannominato cow-cumber ovvero adatto unicamente all’alimentazione dei bovini (cows) condussero ad un sistematico allontanamento di tale coltivazione dai nascenti processi dell’economia di scala. Ponendo le basi necessarie alla sua gloriosa rinascita, conseguenza dell’ingegno tecnologico di un’intera generazione…
Ciò di cui sto parlando è in parole povere l’approccio del cosiddetto high-wire o filo alto, nato possibilmente nel campo della coltivazione dei pomodori ed adottato con straordinario profitto, soprattutto verso la fine dello scorso secolo, alla produzione fiscalmente sostenibile delle copiose quantità di cetrioli ad oggi reperibili all’interno dei gremiti supermarket contemporanei. Con particolare riferimento a particolari aree geografiche specializzate nella sua coltivazione in serra, vedi Cina, Turchia, Spagna e soprattutto l’Olanda, ad oggi titolare nella sola regione di Limburg di una quantità assolutamente sproporzionata pari a 410.000 tonnellate di questa verdura, soprattutto grazie al perfezionamento dei metodi operato dalla divisione nazionale della compagnia nazionale BASF, conosciuta dal pubblico straniero soprattutto per i suoi numerosi brevetti in ogni campo della chimica contemporanea. Ma la cui divisione semi Numhens, a partire dagli anni ’90, si è interessata in modo particolare al cultivar del cosiddetto cetriolo europeo senza semi, versione oblunga ed assai poco feconda del frutto partenocarpico di questa pianta, quasi del tutto incapace di produrre fiori maschili e proprio per questo dotata di molte caratteristiche idonee ad essere trasformata in un super-cibo della nostra insaziabile società contemporanea. Ciò attraverso la costruzione d’imponenti serre modulari modello “Venlo”, capaci di ricoprire letteralmente i fino a 20-30 ettari occupati da ciascuna di queste aziende. Dove gli addetti hanno il compito d’implementare, spostandosi talvolta tramite l’impiego di veicoli elettriche o biciclette, l’appropriata disposizione delle singole piantine all’interno di zolle cubiche di sostrato artificiale, in genere costituito da fibra di cocco. Cui fa seguito il trapianto nello spazio dedicato alla futura fruttificazione, dove ciascun virgulto verrà custodito e controllato, fino al raggiungimento di un’altezza attentamente pre-determinata. Allorché il coltivatore, in base al copione, avrà cura di attorcigliare tali e tanti parti colmi verdeggianti ad un pezzo di spago pendente, fatto partire dal reticolo di cavi posti in alto verso il tetto trasparente dello stabilimento. In questo modo il fusto del cetriolo, che in natura tenderebbe a strisciare lateralmente, verrà indotto alla sua nuova configurazione perpendicolare, onde ricevere il massimo di luce possibile, minimizzare lo sforzo, incrementare la vantaggiosa crescita del prodotto finale. La cui raccolta diventa possibile fino a tre volte l’anno, dopo un’attesa complessiva di appena 7-10 settimane per ciascun ciclo, e con un glorioso raccolto misurabile di fino a 7 Kg di cetriolo per ciascuna pianta facente parte dell’esercito schierato sotto il sole a volte timido del Nord Europa. Un punto di arrivo sopra cui elaborare, con assoluta oggettività situazionale, nuovi e pratici risvolti coadiuvati dal guadagno, ma che possono condurre ad un miglioramento nella vita di ogni giorno per gli amanti di ogni cibo verde a disposizione…
Già i siti della BASF dedicati al successo economico di tale tipologia d’imprese parlano, in effetti, dell’applicazione funzionale di tecnologie avanzate quali la robotizzazione o lo studio sistematico dei dati tramite l’intelligenza artificiale, al fine di scovare nuovi ed ulteriori margini di miglioramento nel processo produttivo adottato a Limburg. Mentre sulle pagine dedicate ai clienti, si parla della consumazione di cetrioli come una vera propria “esperienza”, soddisfazione dei gourmand capaci di apprezzarne il gusto semplice, ma anche l’assoluta perfezione dei composti chimici all’interno dell’oblunga forma. Sempre più scevra, tramite la selezione ingegneristica degli ultimi anni, del composto indesiderabile della Cucurbitacina E, potenzialmente poco digeribile in quanto usato dall’evoluzione per scoraggiare la consumazione del frutto da parte degli erbivori dell’ancestrale prateria terrestre.
Dal cui stato inconsapevole e poco padrone del proprio stesso destino ci siamo ormai elevati in modo straordinariamente significativo, raggiugendo strati superiori della solida e iper-stabile ambizione del nutrimento. Dove il verde non è altro che uno dei molti colori possibili, verso l’ottenimento del più desiderabile piatto quotidiano pari e superiore a quello di un antico Imperatore Romano. Aspetto non più trascurabile, in un mondo dove le fonti di cibo del tutto autonome continuano esponenzialmente a diminuire. E dovrà essere proprio quest’industria l’unica soluzione possibile, oltre che la causa, di ogni problema in grado di condizionare il cibo della nostra lunga vita.


