L’atmosfera, per i non iniziati, potrebbe ricordare quella di un festival musicale, stranamente organizzato tra i monti della Stiria, in mezzo alle Alpi austriache di Eisenerz. Lo scenario, volendo essere più specifici, è lo svettante (1466 metri) monte di Erzberg, riconoscibile per la grande apertura che si trova in corrispondenza della sua sommità. Che non è, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la caldera di un vulcano, bensì qualcosa di molto più utile e creato rigorosamente dalla mano dell’uomo: un’enorme miniera a cielo aperto. E può sembrare effettivamente strano che per quattro giorni ogni anno, il più grande ed antico deposito di carbonato ferroso al mondo possa cessare del tutto le sue operazioni, affinché oltre 30.000 spettatori, attorno ai 2.000 partecipanti propriamente detti ed un altro migliaio tra ospiti speciali e giornalisti, possano ritrovarsi in prossimità dei caratteristici gradoni faticosamente scavati nella calcite, tra camion giganteschi e il resto dell’equipaggiamento da estrazione mineraria, affinché risuoni tra le valli antistanti l’epico suono del motocross. Eppure così importante, è diventata una simile ricorrenza, per l’economia della regione. Nulla da eccepire su tutto questo: stiamo in effetti parlando di niente meno che l’Erzberg Rodeo, uno delle venues più prestigiose per lo sport un po’ folle dell’hard enduro, concepito per mettere duramente alla prova concorrenti, veicoli a due ruote ed ogni singolo spettatore dotato di un benché minimo senso d’empatia. Il cui momento culmine, fin dall’anno della sua fondazione nel 1995 ad opera di Andreas Werth e Karl Katoch, è sempre stata la gara della Red Bull Hare Scramble, un’incredibile carica dei primi 500 motociclisti classificati nella prima giornata, che partono a scaglioni distanziati tra loro di pochi secondi appena per affrontare tutti assieme uno dei percorsi più difficili mai utilizzati in una competizione motoristica ufficiale. Talmente ardua che, la maggior parte degli anni, la classifica finale non arriva neppure ai 10 nomi, semplicemente perché non ne sono arrivati così tanti alla fine.
Immaginare cosa significa vivere un evento talmente estremo non sarebbe affatto facile, se non fosse per l’ampia documentazione disponibile online, come questo fenomenale video in prima persona di Graham Jarvis, il motociclista inglese di Husqvarna Motorcycles famoso soprattutto per i suoi successi nella specialità dei trials, finché nel 2016, sorprendendo praticamente tutti, non è riuscito a vincere questa leggendaria battaglia del fango e dei percorsi scoscesi. Mentre qui siamo all’estate del 2017, nell’ultima edizione dell’evento, in cui gli è comunque riuscito di arrivare secondo, appena 3 minuti e 12 secondi dopo il tempo dello spagnolo Alfredo Gòmez di KTM, che gli ha soffiato il titolo almeno fino al prossimo anno. Il tempo complessivo concesso ai partecipanti per raggiungere l’arco del traguardo viene comunque fissato sulle 4 ore, per dare almeno una chance a tutti i più preparati tra loro di condividere questa emozione più che mai rara, una volta attraversate le sezioni più difficili della gara sulle pendici della montagna, con nomi accattivanti come Machine, Elevator, il Pranzo di Carl, Dynamite e la temutissima Downtown, aggiunta dall’organizzatore Katoch proprio nella scorsa edizione, affinché non si potesse dire che si era ammorbidito con il trascorrere degli anni. Il fatto stesso che si tratti di un percorso a tappe, piuttosto che un ampio circuito, rende la Redbull Hare Scramble una gara atipica nella sua categoria. Tale denominazione in lingua inglese in effetti, significante “la fuga della lepre” si riferisce tradizionalmente a delle gare su circuiti chiusi della lunghezza di fino a 60-70 Km, dei quali possono essere effettuati più giri. Proiprio questo dovrebbe differenziare la qui presente specialità da quell’altra creazione negli Stati Uniti, la Baja o rally raid della Baja California, per la quale è prevista invece una tratta di oltre 1.000 Km. Sarà evidente, a questo punto, che la gara del monte Erberg è sotto molti punti di vista la sua propria cosa, completamente diversa da ogni altra, benché sia stato scelto un nome evocativo se non altro dell’atmosfera e l’impegno richiesto ai suoi eccezionali concorrenti. L’edizione del 2017, poi, è stata particolarmente significativa almeno per un ulteriore aspetto: il suo aver aperto la strada, indirettamente, a una nuova stagione del motociclismo off-road…
Europa
Gara in Slovacchia per lo scava-tombe più veloce dell’Est Europa
La cosa più strana in assoluto, tra Cielo e Terra, è che si parli di un concetto che risponde all’appellativo di “mondo dello spettacolo” quando è totalmente palese, per chi ha tempo di farci che caso, che non c’è nulla, a questo mondo, che non costituisca spettacolo di qualche tipo. La gioia della nascita, la consapevolezza del matrimonio. La cupa realizzazione del funerale. Chi siamo, che cosa vogliamo, che cosa importa? Dove andiamo lo sappiamo fin troppo bene. Ma questo non significa che il nostro destino sia fare a meno delle piccole soddisfazioni della vita. E la morte. Come una coppa d’oro (o dorata) su chi è più bravo a mandare altrove, coloro che ci hanno lasciato. Il che significa nel mondo moderno, sempre più spesso, rispondere alle esigenze di un’orientalistica cremazione….Eppure non sempre. C’è ancora chi adesso, come da tempo immemore, brama discendere nella profondità della tomba, affinché il suo decesso vada a corroborare un luogo dove i parenti in lacrime (si presume) portino fiori e copiose lacrime del ricordo. Almeno per un’altra mezza generazione o due. Il che necessita, intrinsecamente, di un certo dispendio d’energia. Pura analisi meccanica della questione: se sei vissuto in superficie, ma vuoi trasferire le tue spoglie da trapassato al di sotto di tale membrana fisicamente impenetrabile, sarà necessario s-postare, al minimo, una quantità di terra equivalente alla tua massa corporea. Aggiungiamo all’equazione lo spazio occupato dalla magnifica cassa in mogano, oltre al margine necessario affinché la prima pioggia intensa, a sorpresa, porti quei resti all’affioramento, e sarà facile rendersi conto di come il mestiere del becchino/sagrestano/custode di cimitero preveda, talvolta, uno sforzo fisico non del tutto indifferente. A meno di voler impiegare una ruspa ma si sa, simili macchine costano, ingombrano, fanno rumore. Non propriamente qualità ricercate in un luogo di contemplazione tra gli alti cipressi che puntano verso l’infinito. Ciò che occorre fare dunque, è pur sempre quello: rimboccarsi le maniche, stringere i denti (se sono presenti) e scavare. A una profondità di due metri almeno, per una larghezza di 70 cm e un’altezza ovviamente variabile, a seconda di chi sta lasciando quest’esistenza terrena. Sapete quanto tempo occorre, normalmente, per portare a termine una simile impresa? Fino a sei ore, benché il cimitero di Green-Wood a Brooklyn, notoriamente, richieda ai suoi impiegati di dimostrarsi capaci di farcela in un massimo di quattro. Ma adesso sentite qual’è il record del mondo conclamato su Internet, stabilito con grande fanfara mediatica lo scorso anno di questi tempi? Appena 54 minuti. Una tale differenza, nata dall’allenamento costante e una certe verve di competizione, può lasciar intendere solamente un fattore: qualcuno, da qualche parte, ne ha fatto uno sport.
E quel qualcuno è Ladislav Striz, proprietario di un’azienda di pompe funebri della città industriale di Trenčín, sita non troppo distante dal confine della Slovacchia con la Repubblica Ceca. Un luogo generalmente privo di grandi eventi, a giudicare dalla sua assenza dalle cronache internazionali, tranne che per un singolo evento biennale: lo Slovak Funeral, importante convegno per l’esposizione dei maggiori fornitori di materiali utili a rendere in qualche modo memorabile (si spera persino “un successo”) l’epoca del proprio passaggio ulteriore nell’aldilà. Occasione nella quale, l’anno scorso, il veterano del settore ha avuto un’idea: perché non richiamare qui tutti i migliori, o sedicenti tali, scavatori di fosse, per farli competere al fine di determinare, finalmente, chi fosse eternamente il migliore… Eternamente, s’intende, fino all’occasione di rimettersi in gioco l’anno successivo. Ed è così che è nata la Competizione Internazionale Scavamento Fosse (CISF?) importante olimpiade giunta quest’anno alla seconda edizione, durante la quale per qualche attimo viene accantonata la costante serietà e reverenza verso una questione gravosa come la morte, per mettersi allegramente in gioco tra squilli di trombe (un po’ anemiche) da stadio ed almeno un tocco di surrealismo un po’ kitsch: Christian, il figlio del capo, vestito nella sua migliore approssimazione del Tristo Mietitore, teschio e cassa toracica esposti per meglio rendere l’idea, accompagnato da due conturbanti girls in tenuta da vampire. Che poi cosa c’entri, in effetti, non è chiarissimo: se succhi il sangue per non morire mai, e metti la cassa nel tuo soggiorno, perché mai dovresti presenziare una gara di addetti allo scavo di tombe? I misteri continuano ad accumularsi attorno alla singolare kermesse.
L’energia magica dei quattro cappelli d’oro
Uno dei tratti caratteriali dominanti nella psicologia umana, attraverso i secoli, è sempre stato l’anticonformismo. Il bisogno, espresso da artisti, tecnocrati e figure politiche, di “distinguersi” da chi è venuto prima, proponendo una strada nuova e proprio per questo, in qualche maniera maggiormente intrigante per un pubblico di potenziali seguaci. Si tratta di una soluzione adottata anche dalla Natura stessa, attraverso il sistema delle mutazioni genetiche che conducono alla selezione naturale, altrettanto utile nel migliorare la qualità della vita e le condizioni di una specie. Eppure non così propositiva, per quanto concerne il lato estetico della questione. Pensate ad esempio all’immagine popolare dello stregone: un individuo alto, con la barba, tendenzialmente dotato di un cappello a punta. Nel mondo moderno, generalmente, un semplice copricapo di stoffa incolore, sformato, talvolta persino assente. E noi dovremmo pensare che l’aspetto di un personaggio come il grande stregone Gandalf, più simile a un anziano viaggiatore che al druido che dovrebbe rappresentare, sia degno dell’esponente di un simile alto ufficio? Può diventarlo, in senso moderno, soprattutto attraverso il filtro dell’umile sacralità cristiana attraversò cui l’autore affrontava un simile tema. Ma basta risalire fino al Rinascimento, per trovare figure di profeti, fattucchiere, cartomanti ancora dotati di ornamenti improbabili, strane chincaglierie, mantelli degni di un esibizione teatrale. Mentre se si torna indietro fino al Medioevo ed al Mondo Antico, non possiamo che trovarci ad identificarli con lo stile eclettico dei loro Dei dalla testa conica, quali Baal degli Ittiti, El dei Canaaniti o la divinità fenicia Reshep. Per trovare alcuni i cappelli più fantastici mai costruiti, tuttavia, occorre risalire ancora fino all’epoca preistorica dell’Età del Bronzo: circa 3.000 anni fa. Il contesto è quello delle culture proto-celtiche europee, tra le più avanzate dal punto di vista metallurgico in quella particolare epoca della vicenda umana. Naturalmente, poiché si tratta di cappelli realizzati in lamina d’oro. Il più duttile, attraente e facile da lavorare dei materiali preziosi, i cui primi esempi fatti oggetto dell’artigianato sono stati ritrovati nei Balcani, all’interno della necropoli di Varna, una serie di sepolcri risalenti a quasi un millennio prima di questa data. Niente che fosse altrettanto fantastico e sfolgorante, s’intende.
I coni d’oro della Preistoria (o Protostoria) costituiscono una serie di quattro misteriosi manufatti, ritrovati tutti nel corso degli ultimi due secoli e custoditi in alcuni dei più importanti musei tedeschi, francesi e svizzeri, che assumono l’aspetto di alti ed affusolati coni cavi, dotati di una base del tutto simile alla tesa di uno Stetson o un Panama odierni. Ritenuti per lungo tempo degli ornamenti per i templi, come una sorta di vasi o in alternativa, coperture decorative per dei pali, sono stati rivalutati quando gli studiosi fecero notare la loro forma sostanzialmente ovale, più che mai utile a calcare un cranio, nonché l’affinità ad alcuni dei copricapi raffigurati negli affreschi schematici della Tomba del Re, un tumulo coévo presso Kivik, nella Svezia meridionale. Contrariamente a quanto si possa tendere a pensare, inoltre, i cappelli in questione sono relativamente leggeri (appena 490 grammi il più grande, che si trova a Berlino) e avrebbero potuto quindi trovare la stabilizzazione ulteriore di una sorta di velo di stoffa, che sarebbe ricaduto sulle spalle del portatore. Già, ma chi sarebbe stato costui? Esistono diverse teorie, tutte appartenenti alla sfera religiosa. Altrimenti come potremmo giustificare un simile dispendio di materiali e tempo, in una società ancora primitiva in cui il semplice sostentamento dei popoli era tutt’altro che garantito? Secondo alcuni, si trattava di sovrani o capi della comunità, per cui era importante al tempo stesso risultare riconoscibili e suscitare un senso costante di suggestione. Altri credono che si trattasse di sommi sacerdoti, profeti in grado di pontificare sull’immediato ed il più remoto futuro. Ma il consenso, soprattutto in epoca più recente, vi ha individuato la figura di astronomi, una funzione che soltanto nell’epoca moderna è riuscita a slegarsi dal mondo del sovrannaturale. La base di questa ipotesi è forse più salda delle altre due, poiché nasce da un’analisi numerologica delle stesse decorazioni presenti su ciascuno di questi cappelli, realizzate tutto attorno al cono grazie all’impiego della tecnica del repoussé (colpi di scalpello dall’interno) e lo stampaggio con apposite forme geometriche ricavate da metalli più pesanti.
Tecnica d’artista: tombini per stampare le t-shirt
La pesantezza è un’importante caratteristica dei coperti metallici usati per i condotti di accesso al sottosuolo urbano, ma non sempre porta dei risultati positivi. Nel 1990, durante una gara del Gruppo C a Montreal presso il circuito cittadino di Gilles Villeneuve, una Courage C24 è passata casualmente sopra un tombino: è stato allora che l’effetto del vuoto creato dalle sue avanzate componenti aerodinamiche l’ha risucchiato verso l’alto, scaraventandolo come il macigno di una catapulta all’indirizzo della macchina che stava per sorpassarla. La sfortunata Porsche 962 in questione, quindi, prese fuoco e la gara dovette essere interrotta. Da allora, simili implementi dell’arredo urbano vengono attentamente sigillati o cementati prima di qualsiasi gara automobilistica. Ovunque tranne che a Parigi, dove grazie all’apporto di un attrezzo speciale, vengono fatti ruotare di 45° e si bloccano, letteralmente, in corrispondenza del manto stradale. Certo: 60-90 Kg di ghisa o ferro non devono “elevarsi”, non possono “raggiungere vette ulteriori” poiché se stanno per esulare dall’impiego per cui erano stati creati, può significare solamente una di due cose: 1 – Sono stati rubati; 2 – Sta per capitare un incidente. Purtroppo questa è la natura del problema, da qualsiasi lato si decida di analizzarlo. Il che non significa, del resto, che non se ne possa effettuare una copia da portare sempre assieme a se. Nel distante Giappone, dove i tombini municipali costituiscono una vera e propria forma d’arte pubblica (vedi precedente articolo) ed ogni branca dello scibile sembra dimostrarsi in grado di generare la sua specifica fandom, un particolare tipo di otaku (eclettico appassionato) occupa le sue giornate andando in cerca di modelli rari o del tutto nuovi, da traferire su carta grazie all’impiego del cartoncino. E qualcosa di simile, dopo tutto, è quanto realizzato dall’artista nata in Francia e residente in Germania Emma-France Raff. La quale nel 2006, mentre viveva ancora in Portogallo con il padre pittore Johannes Kohlrusch, restò colpita dal design di un tombino visto per la strada verso Lisbona. E da una discussione con il genitore, riuscì ad elaborare una versione decisamente più internazionale di quanto fin qui descritto: essa consisteva, essenzialmente, nel pulire il tondeggiante oggetto, ricoprirlo di una vernice nera a presa rapida ed imprimervi sopra una semplice maglietta bianca, tenuta rigida grazie a un pezzo di cartone. Una serie di gesti che, a patto di condurli con manualità e precisione adeguata, permette di ottenere una trasposizione pressoché perfetta del design metallurgico sopra la stoffa, pronto da indossare a lampante dimostrazione di un senso dello stile fuori dagli schemi e divertente nella sua originalità.
Trasformata quindi l’iniziativa in un tour nazionale dal nome estampatampa con esposizione ultima nella città di Sines (provincia portoghese di Setubal) nel 2006 il duo padre-figlia l’ha archiviata per qualche tempo, mentre lei finiva di diplomarsi in disegno tessile presso la Modatex School of Textile and Fashion di Porto, per iniziare quindi a crearsi un pubblico di settore tramite lavori di tipo più convenzionale, come pattern o disegni stampati per la stoffa, oltre ad un particolare cappello di sua concezione, il Muse, creato con materiali di recupero di vario tipo. Finché all’incirca un paio di anni fa, almeno a giudicare dai video pubblicati sul suo canale di YouTube, alla creativa non è venuta l’idea di sfruttare questo grande flusso delle informazioni post-moderne, l’agglomerato dei moderni siti social e il Web 3.0, per tentare di raggiungere il maggior numero di persone possibili attraverso l’interessante idea. Il risultato, attraverso questi ultimi mesi ed anni, non ha fatto altro che crescere in maniera esponenziale, diventando incidentalmente anche un sistema di guadagno veramente niente male. E c’è qualcuno che si sorprende? Indossare letteralmente un pezzo di città costituisce forse il modo più affascinante di portarsi dietro un souvenir, come esemplificato dal sito dell’artista, che vende le magliette in questione a somme che si aggirano sui 40-50 euro cadauna. Già è possibile vedere, tra i recessi multiformi di YouTube, diversi venditori ambulanti che sembrano avergli copiato l’idea.