Nel mezzo di un gelido inverno, fuoco e fiamme scaturirono di nuovo dal crogiolo dell’opificio metallurgico dell’Ammiragliato di Keyham. Gli operai specializzati, controllando che il ferro grezzo venisse mantenuto alle temperature necessarie grazie all’immissione della giusta quantità di coke nella fornace a riverbero, fecero calare il grosso recipiente, quindi ne versarono il contenuto all’interno degli stampi per la creazione di larghe piastre di forma quadrata. Trascorso il tempo necessario affinché si raffreddassero in parte, passarono a piegarle tramite l’impiego del maglio ed uno stampo della forma attentamente prevista, affinché potessero costituire la parte fondamentale di una trave scatolata di concezione totalmente nuova. L’ingegnere e baronetto scozzese William Fairbairn, dal camminamento rialzato, supervisionava con la massima concentrazione i lavori, annuendo per l’esecuzione di ciascun passaggio. Sotto i suoi occhi attenti, gradualmente, iniziarono a prendere forma: sei oggetti di metallo oblunghi e perfettamente identici, della lunghezza unitaria di 9,1 metri. E un raggio della curva, tendente ai 90 gradi, pari a 9,8 metri. Sostanzialmente validi a costituire gli archi di un’immaginaria circonferenza, come la scultura di un’artista senza limiti di materiali e spesa. Eppure necessari ad assolvere a una chiara, limpida e continuativa necessità: sollevare i carichi pesanti.
Molte furono le opere create, attraverso il trascorrere delle generazioni, al fine di compiere un simile gesto: prendere il carico e portarlo in alto, in alto e poi farlo ruotare. Fino allo spazio di stoccaggio a lungo termine, dove potesse essere temporaneamente dimenticato. Ed il problema fin dai tempi antichi, era sempre lo stesso: come riuscire a moltiplicare la forza degli umani. Una questione già largamente risolta, quando in epoca Vittoriana lo stimato direttore della Fairbairn & Sons procedette a brevettare nel 1850 il modello di gru che avrebbe immediatamente preso il suo nome, concepita per funzionare grazie al sistema dell’argano e una serie di carrucole, in quantità maggiore a seconda dell’impegno necessario per assolvere all’opera programmatica e progettuale. Ovvero il sollevamento medio di 20 tonnellate, nei sei casi della prima costruzione in serie, durante le operazioni portuali per le città britanniche di Keyham e Devonport. Dimostratisi talmente validi allo scopo, da motivare la costruzione successiva di versioni ancor più grandi e potenti, tra cui spiccò la leggendaria gru “colossale” di Keyham, con un’altezza di 18 metri e 32 di diametro, capace di sollevare fino a 60 tonnellate, grazie all’opera laboriosa di 4 persone, la cui forza veniva amplificata di 632 a 1. In parole povere, il più potente strumento della sua classe nell’epoca della posa in opera, quando comunque molti apparati simili avevano già trovato l’inclusione nell’attrezzatura d’innumerevoli banchine al mondo.
Ma il punto principale del brevetto Fairbairn, nonché principale vantaggio rispetto alle offerte della concorrenza, era di un tipo fondamentalmente nuovo. Mirando a risolvere l’annosa questione del come, durante lo spostamento dei carichi, si potesse manovrare un qualcosa di eccezionalmente ponderoso ed ingombrante, senza urtare con gli spigoli lo stesso braccio dell’intero apparato. Ecco quindi il caso di una gru che venne poeticamente definita “a collo di cigno”. Poiché la natura, questo è noto, simili problemi aveva già imparato ad affrontarli da tempo! Mentre le nozioni necessarie a tradurne la sapienza in soluzioni pratiche, con il trascorrere degli anni, entrava gradualmente a far parte della cognizione e il repertorio della civiltà umana…
lavoro
La cosa mostruosa che occlude il passaggio della cloaca
Liberatorio è il gesto rapido, fondato su un principio tecnologico, che consiste nella semplice pressione di un pulsante murario. Atto a scatenare, nello spazio definito dalla lucida e biancastra porcellana, la versione attentamente circoscritta di una piccola cascata: acqua che trascina, flusso che cancella, spedizione via lontano di ogni cosa lurida e indesiderata. Inclusa carta igienica e purtroppo qualche volta, soprattutto nei paesi di matrice anglosassone, il problematico strumento della salvietta profumata, la cui scatola riporta rigorosamente il termine flushable: scaricabile nello sciacquone delle casalinghe circostanze. Nessun problema di tipo logistico, per la più importante implementazione urbanistica dell’era tardo-rinascimentale MA. Considerate solo per un attimo, le implicazioni pratiche di un grande ambiente abitativo. Megalopoli di 8, 10, anche 12 milioni di abitanti, ciascuno di essi attento a preservare la purezza del suo preciso territorio abitativo, sfruttando a massimo regime quei condotti sotterranei, orribili e segreti, che la gente chiama sottovoce le “fognature”. Dove tutto è solito procedere nella maniera prefissata, tranne quando, per un caso del destino, smette all’improvviso di farlo. Ed è allora che l’inferno stesso, senza pregiudizi o remore di sorta, riesce a rendersi istantaneamente manifesto su questa Terra. Alla forgia delle anime, per il risveglio di una “cosa” senza volto, forma, o pietà di sorta…
E dire che la genesi di questo essere può presentarsi con un volto familiare ed amico. Hai presente: verde? Alto? Frondoso? Albero dentro l’aiuola? Quale implicazione sconveniente potrebbe mai esserci, nel più accessibile e autosufficiente degli arredi viventi, tanto spesso usato per creare spazi ombrosi, nelle strade di maggior prestigio o percorribilità all’interno di un contesto altrimenti asfaltato. Salvo che la pianta ad alto fusto, per sua implicita natura, possiede entro se stessa il seme di un’irrimediabile vendetta. Così radici serpeggianti, procedendo perpendicolari alla sottile linea ideale che divide il sottosuolo privo di sostanze nutritive dalla superficie, progressivamente giungono fino al grande muro cementizio del passaggio fognario. E con l’insistenza che caratterizza tutti quei processi naturali, gradualmente causano piccole crepe nelle impenetrabili pareti. Nient’altro che insignificanti imperfezioni. Bulbose preminenze che introducono l’irregolarità, laddove tutto scorre (πάντα ῥεῖ) secondo il massimo principio universale dell’Universo. Eppur così come la piccola palla di neve, nasce, cresce e si trasforma in un’enorme valanga, lo stesso avviene per l’ostacolo che impatta il flusso dei liquami, arricchito di una certa quantità di flushables. Che la teoria vorrebbe totalmente biodegradabili. Ma la pratica, sa si… Tanto che ad un certo punto, in quel fatale punto, un vortice si forma e inizia ad autoalimentarsi, rallentando quel che corre ogni minuto verso la distante laguna dell’irraggiungibile salvezza. I fazzolettini si annodano. Ed è allora che le cose, in maniera prevedibile, prendono una piega tanto orribile ed inaspettata.
Ecce fatberg: la parola macedonia (alias portmanteau) formata per la prima volta nel 2008 dai due termini iceberg e fat, ovvero “grasso” sebbene tale semplice definizione riesca largamente a mancare il punto chiave dell’intera faccenda. Ciò perché la prototipica montagna di ghiaccio galleggiante negli oceani, staccatosi dalle isole dei poli più remoti, è un’esistenza vagabonda per definizione, che segue il proprio fato tra le onde inclini a trasportarla via, lontano. Laddove l’esistenza ad essa accomunata, nel profondo delle tenebre maleodoranti, quando nasce non si muove dal suo luogo di origine ed appartenenza. Inamovibile ed eterno, creando l’ostruzione che persiste costituendo una barriera che un poco alla volta, compromette il funzionamento dell’impianto di scarico cittadino. Ponendo le basi di una catastrofe persino troppo orribile da immaginare…
Trattori che costruiscono colline, coltivando l’arte nobile dell’insilaggio
Sofisticata deve necessariamente risultare, la progressione logica che porta la affamate moltitudini a soddisfazione gastronomica continuativa nel tempo. Poiché la civiltà presente non ha nulla, se non l’essenziale concezione che ogni cosa debba essere per forza “degna” delle proprie tavole, ovvero in altri termini, frutto di un apprezzabile sacrificio di tempo, vita o spazio di stoccaggio per un tempo abbastanza lungo. Poiché “L’umanità non è costituita da formiche!” Ma cicale armate di avanzate tecniche industriali, che consentono di mettere in secondo piano sostenibilità e ragionevolezza; per lo meno, verso l’ultimo anello di questa catena gastronomica dei giorni. Basta tuttavia decidere di risalire temporaneamente, lungo l’estensione tintinnante di una simile interconnessione tra causa ed effetto, per trovarsi circondati dalla prova pratica che collaborazione nella costruzione di colonie o cumuli, comuni agli imenotteri a sei zampe, in qualche modo ci appartiene ed la base stessa di un’industria particolarmente remunerativa: quella utile, più di ogni altra, ad arrecare nutrimento al bestiame.
L’insilaggio, in quanto tale, è un’arte particolarmente antica che consiste nella fermentazione indotta dei mangimi per mucche, pecore o capre risalente (almeno) al 1500 a.C. Sebbene non figuri alcun metodo ancestrale, nel particolare approccio alla questione dimostrato in questo video timelapse della cooperativa agricola statunitense Green Earth Ag Services, nel corso del quale viene portata a termine l’ultima fase preparatoria di una quantità approssimativa di 36.800 tonnellate di mais. Abbastanza da nutrire, per un tempo di svariati mesi, l’intera popolazione super-densa di bovini all’interno della gigantesca proprietà committente. Mentre il gruppo di trattori, avendo già deposto a strati sovrapposti quanto di dovere successivamente compattato grazie al loro stesso peso, attendono pazientemente che la ruspa con il braccio scavatore guidi fin sopra la cima, mentre il gruppo di operatori dispone il velo di plastica a tenuta stagna. Ciò affinché l’ossigeno venga bloccato dal penetrare in mezzo al cibo granulare ed ultradenso, accuratamente messo sotto-vuoto, per quanto possibile, mediante l’impiego del risucchio di un ventilatore da campo. Segue quindi, lo srotolamento della tela impermeabile trainata grazie al mezzo da cantiere, che dovrà essere bloccata in posizione tramite l’impiego di pneumatici tagliati a metà, affinché il vento e le intemperie non possano raggiungere il prezioso contenuto sottostante, linfa letterale della vita non-umana in fattoria.
I vantaggi dell’insilato rispetto a fieno e cereali prelevati direttamente dai campi risultano del resto estremamente significativi: non soltanto per la conservazione a medio-lungo termine, ma anche per l’apprezzabile incremento di cibo prodotto in proporzione agli acri coltivabili, senza per questo causare la decrescita del contenuto proteico necessario al benessere dei consumatori quadrupedi finali. Grazie ad un altra particolare genìa del mondo animale, a suo modo addomesticata e soggetta alle volontà storiche mediante la semplice e posa in essere di condizioni funzionali allo scopo: quella dei batteri, bacilli e clostridia, che cooperano nella disgregazione delle cellule vegetali. Consumando ossigeno, per produrre zuccheri tutt’altro che nocivi…
La seta creata con il gambo del fiore che accompagna le maree
Esiste a questo mondo, forse, una creatura dal destino più infelice del baco? Nato al fine d’inseguire, ricercando il nutrimento, la possibile promessa di annientare la sua essenza, nella gabbia del suo bozzolo, auspicando la trasformazione alata che costituisce l’anticamera della riproduzione. Ma invece raccolto da mani sconosciute in mezzo ai verdeggianti campi di gelso, per essere bollito nel suo involucro. Ed ucciso, senza nessun tipo di rimorso, prima di poter forare quel tessuto che l’evoluzione gli ha insegnato ad intrecciare. Strade alternative, d’altra parte, non esistono ed è una forma d’oro, quello che produce, utile a creare un’ampia serie d’indumenti mantenuti in alta considerazione presso tutte le culture che hanno avuto la fortuna d’indossarli, ammirarli, metterli sul piedistallo della moda. Persiste d’altra parte, sempre e in ogni caso, quel sentiero alternativo d’altre stoffe, potenzialmente altrettanto valide per assolvere allo scopo di creare un guardaroba valido in ogni occasione; si, ma quali? Il lino è ruvido al confronto. Il cotone, morbido ma privo di sostanza. La lana spessa ed inadatta ai climi caldi… Ciò che resta, come nel mestiere di chi cerca verità nascoste, è soltanto l’impossibile, che diventa praticabile mediante il giusto tipo di esperienze. Vedi quella imprenditoriale, produttiva e commerciale di Phan Thi Thuan, la donna vietnamita con oltre 60 anni di esperienza nel campo tessile che ha creato un nuovo tipo d’impresa nel territorio periferico della città di Hanoi. Fondata sul rimorso e il senso di fastidio nati dall’osservazione di una pratica assai diffusa. In questa terra umida, dove il corso del fiume rallenta in modo sufficiente alla creazione di acquitrini, presso i quali ampie fasce agricole della popolazione hanno da sempre ricercato la coltivazione intensiva della pianta Nelumbo nucifera, normalmente nota con il nome di loto sacro. Ampiamente utilizzata nella cucina e nei rituali buddhisti dell’intero Sud-Est Asiatico nel quale numerose ricette esistono per le sue foglie, i rizomi, i semi e naturalmente i petali rosa del grande fiore, tanto decorativo quanto utile ad infondere un sapore ricco a particolari varietà di tè coreani. Ciò che Phan Thi aveva tuttavia avuto modo di notare, fin dalla giovane età, era il modo in cui i gambi della pianta venivano sistematicamente accantonati, venendo lasciati a marcire a lato della strada senza nessun tipo di rispetto nei confronti della natura. Il che ebbe modo di aprire, la sua fervida mente, ad una possibilità letteralmente mai studiata nel suo paese: “E se spezzassimo quel corpo vegetale, per estrarne il contenuto segreto, per poi farlo filare dentro l’arcolaio e infine lavorarlo tramite il telaio a pedali?”
Arti nuove nascono dalla necessità di perseguire un mezzo di sostentamento continuativo nel tempo. E qualche volta, antichi metodi vengono scoperti nuovamente, nell’acquisizione di una strada alternativa per l’acquisizione del benessere all’interno dell’intera società in paziente attesa. Ciò detto, non è propriamente semplice sostituire in essere, mediante il frutto della fioritura vegetale, il complesso metodo del baco per creare laboriosamente la sua seta…