L’epico racconto del samurai che reinventò il ramen

The Originator of Ramen

Freddo, la fila della gente che si estende a molti metri di distanza dal piccolo chiosco, gestito dalla gente del mercato nero. Fame, che ti spinge, nonostante tutto, alla perseveranza. Il clima di Osaka non  particolarmente ostile, persino l’inverno, eppure a queste latitudini non è ignota la neve. Che tutto ricopre con il manto soffice sinonimo di stare sotto le coperte, mentre la società ferma i suoi traffici per aspettare ore più favorevoli agli spostamenti. Ma vi sono esigenze, persino in tali condizioni sconvenienti, che non possono trovare sfoghi di alcun tipo nel mondo fantastico dei sogni. Ed una di queste è l’esigenza di mangiare. Così ricordava, e spesso raccontava, il fondatore della Nissin Foods, Momofuku Ando, a proposito un’esperienza dell’epoca dell’immediato dopoguerra, quando lui aveva circa 35 anni. E nella sua città d’adozione giapponese, in cui si era trasferito all’epoca dell’università dalla natìa Taiwan, vigeva la dura legge del mercato nero. Tutti, poveri e benestanti, vecchi e bambini, per sopravvivere dovevano rivolgersi a coloro che operavano lontano dagli sguardi e dagli artigli del governo, per offrire i presupposti del sostentamento a chiunque avesse il tempo, il modo e la pazienza! Ore di fila, tra il vociare della gente, sperando che un qualcosa rimanesse anche per lui…E poi…Alla fine…La sospirata ciotola fumante, con gli spaghetti formati nello stile cinese e diventati popolari giusto in quegli anni, specie con il condimento di ingredienti nipponici tradizionali, quali aringhe essiccate, funghi shiitake e salsa di soia a profusione. Ma quanta sofferenza, che fatica della mente del corpo, semi-congelato per accogliere le necessarie calorie. Insoddisfatto dell’esperienza, il giovane imprenditore già a capo di un’industria tessile da lui creata, giurò a se stesso che avrebbe cambiato le cose. Già consapevole a pieno, come ufficialmente esemplificato dalla sua più rinomata citazione, che “Il mondo conoscerà finalmente la pace quando ci sarà abbastanza da mangiare per tutti.” Facile, a dirsi! Se mai c’è stata un’utopia…
Colui che inventò nel 1958, tra lo stupore pressoché di tutti, il concetto rivoluzionario del ramen istantaneo, ovvero infuso nella zuppa, poi disidratato e reso pronto da cuocere nell’acqua calda. Questo prodotto che negli ultimi anni, sfondando anche in Europa, è giunto finalmente anche nei nostri supermarket, collocato distrattamente tra la sezione dei cibi esteri, fra fajitas e tortillas di contesti molto differenti. “Qualcuno se lo comprerà!” Giusto? Ma noi stiamo qui parlando, sia ben chiaro, di un personaggio particolarmente amato dai connazionali. Se c’è una cosa che le società legate al culto della tradizione sanno fare molto bene (pensate anche all’Inghilterra) è donare una patina di splendore a coloro che riescono ad offrire un valido servizio alla comunità. Così quando costui giunse al termine della sua vita, alla veneranda età di 96 anni nel 2007, egli aveva ricevuto tra i molti riconoscimenti la medaglia dell’Ordine del Sol Levante di seconda classe, appuntatagli dall’Imperatore in persona pochi anni prima, in aggiunta a quella del Sacro Tesoro, che possedeva dal 1982. Era inoltre stato onorato con il titolo formale di direttore dell’Istituto della Scienza e della Tecnologia, e successivamente alla sua dipartita, ricevette la prestigiosa qualifica di membro della corte di Tokyo, con il quarto grado d’anzianità.
Non c’è quindi nulla da meravigliarsi se la compagnia che aveva fondato nel 1948, come risposta diretta all’esigenza di coronare il suo sogno, abbia recentemente deciso di renderlo ancora una volta emblema postumo dei propri prodotti, grazie alla realizzazione di una nuova, intrigante pubblicità. E ciò che senz’altro colpisce nel breve cartone animato del genere anime, creato in un particolare stile in bianco e nero dall’estetica quasi noir, è la scelta creativa di aver ambientato la sua vicenda in un contesto chiaramente pre-moderno, con Ando che vi compare abbigliato, e in qualche maniera instradato, per il ruolo di un antico samurai. Completo di spada, cappello di paglia e addirittura sashimono, l’insegna da spalla che portavano i guerrieri per onorare il loro imprescindibile clan. Un’operazione risulta evidentemente motivata dall’associazione concettuale che tutt’ora esiste, tra il mondo decaduto di quei rinomati maestri di spada ed eleganza, e un senso contemporaneo del cool, talmente diffuso da essersi trovato punto d’incontro per innumerevoli e confusi fan. La scelta in questione tuttavia, nel presente caso potrebbe aver tratto l’ispirazione semplicemente dall’artista reclutato per curare le illustrazioni della campagna: niente meno che Takashi Okazaki, già noto come l’autore del progetto multimediale di Afro Samurai.

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Lo strano spirito del jogging sveglia la città di L.A.

Ready to Monday

“Cosa intendi, giornata nostalgica degli anni ’80?” Alle 7:30 della mattina di lunedì, il caffè Starbucks all’angolo tra Melrose e Stanley nel quartiere losangelino di West Hollywood è più pieno di quanto possa esserlo nell’intero resto della settimana. L’aria condizionata scombobula l’ambiente con l’alito di centomila orsi polari. Eleganti manager in giacca e cravatta, studenti sulla via per l’università, operai che si preparano a un’intera giornata di lavoro nel cantiere sotto il duro sole della California… L’amichevole P. Stevenson, come suo solito, porta la lunga barba in una treccia bionda, gli occhiali da sole ed un vistoso paio di bretelle a strisce bianche e nere. Il suo improbabile cappello pare alzarsi su e giù ritmicamente, mentre lui cerca in qualche modo di trasmettere il suo naturale senso d’entusiasmo per la vita: “Ma si, ma si! Non la senti la musica, com’è? Il cassiere deve aver sintonizzato la radio sul canale dei revival: questo è puro Synthpop, A-ha! Sono gli A-ha!” Si a pensarci bene…Tra il frastuono ed il vociare della gente, a Marlon parve di udire a un tratto i riconoscibili accordi di Take on Me, la canzone di quel gruppo norvegese che aveva fatto faville all’epoca più o meno quando si conobbero i suoi genitori. We’re talking away… I don’t know what I’m to say… “DAVVERO? Ehi senti, non è che la cosa mi interessi particolarmente. “Oggi da Walmarts devo fare l’inventario. È già tardi, fuori fa caldo e per di più ho soltanto quattro giorni per prepararmi al prossimo colloquio alle Poste. Non avevi detto…Di avere qualcosa per me?” L’intero caffè parve d’un tratto più distante, mentre le voci del popolo lavoratore presero a svanire in dissolvenza. La musica parve prendere finalmente il sopravvento, per lo meno nelle orecchie dei due interlocutori: So needless to say, I’m odds and ends…I’ll be stumbling away… “Aspetta, taci, ascolta. Senti molto bene quello che ho da dire mio buon Marlon, perché non lo ripeterò di nuovo. Questa-è-la-tua-occasione” A sottolineare la gravità delle sue parole, P. Stevenson alzò il dito della mano destra accanto al volto, mentre si chinava a raccogliere con la sinistra la sua borsa con il simbolo della pace, precedentemente nascosta sotto lo sgabello del bancone. Quindi, da essa estrasse…Un libro. Dalla copertina rossa, con due gambe maschili dotate di scarpe da corsa e la maestosa scritta in bianco, dai caratteri desueti: “The Complete Book of Running” di James F. Fixx. Se in quel momento Marlon avesse potuto vedersi allo specchio, avrebbe stentato a riconoscersi. Le sopracciglia arcuate in modo quasi comico, la bocca rivolta con enfasi verso il basso, le labbra in fuori a formare una specie di broncio da cartone animato. Le froge del naso spalancate come le branchie di uno squalo-membro, lo sgualembro. In caccia. Di spunti nuovi per l’accrescimento personale… “Braavo, ora inizio a riconoscerti. Amico mio! Questa cosa che sto tenendo in mano, non è un testo come gli altri. Tu hai di fronte niente meno che… La prima edizione del libro con cui nacque il jogging. Scritto dall’inventore della corsa per l’allenamento in senso attuale, che morì soltanto tre anni prima dell’uscita di questa canzone, subendo un infarto a seguito della sua escursione mattutina. Ironico, nevvero? Io ce l’ho qui, per te. Te l’ho trovato online.” BAM! Un colpo dato con il piatto della mano sul bancone in plexiglass fece tremare i due bicchieri più vicini, mentre la montagna di schiuma sopra quello che da queste parti amano definire “cappuccino” parve pendere da un lato alla maniera di una piccola torre di Pisa. Strani sguardi dall’addetto del locale e dallo yuppie alternativo alla loro destra, con orologio d’oro e cravatta firmata, probabilmente sulla via per qualche prestigioso studio cinematografico nella Fernando Valley. Alzatosi di scatto in piedi, Marlon riprese subito il controllo della sua espressione. Con un gran sorriso fece il gesto di battere il cinque al suo ex-compagno di scuola, che prontamente ricambiò: “Io, io, non ho parole…” Il tono quasi lacrimoso, lo sguardo commosso: “Sei un vero amico, dai qui. Si è fatto tardi e devo andare via.” In un solo grande sorso, il commesso già in divisa trangugiò quello che rimaneva del suo mega-choco-frappuccino con stracciatella. Quindi prese il libro e scappò via, felice.
Peccato per il resto della mattinata: un’esperienza grama. Il caporeparto Alvin, come suo solito, che insiste per controllare ogni minimo aspetto delle operazioni, ma poi non fa niente per assistere personalmente i sottoposti. I colleghi Jason, Jim e Jaynor che nonostante tutto, paiono perfettamente adattati a questa vita di silenzi nella cattedrale di cemento, il fragoroso centro commerciale. L’unica consolazione per Marlon, il costante avvicinarsi della pausa pranzo, e l’occasione di potersi dedicare finalmente all’interesse che è riuscito a coltivare negli ultimi tempi: la lettura di testi teorici sull’esperienza ginnica degli ultimi ’30 anni. Se davvero voleva essere un postino, per lasciare un tale posto privo di soddisfazioni, avrebbe dovuto imparare a correre e tenersi in forma. Dare, in ogni attimo della propria giornata, l’assoluto meglio di sé. Pensierosamente, gli riuscì di concludere il suo breve pranzo dalla eatery sita all’altro lato del parcheggio. Quindi, già dirigendosi verso la sala dipendenti, mentre camminava tra i frigoriferi del suo negozio aprì il libro di Fixx e prese a leggerlo con trasporto. La corsa è uno stato di grazia del corpo e dello spirito, che permette di ritrovare la propria stessa anima di fanciulli… A-ha, Marlon sorrise al termine desueto. A te, che hai in mano questo libro. A te che stai camminando tra i banchi di Walmart, voltati e guarda molto attentamente in mezzo alla sezione cibi messicani… Il suo intero corpo percorso da un brivido, il lettore s’immobilizzò.

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L’incredibile organo a biglie di Martin Molin

Wintergatan

C’è molto da guadagnare, con l’analogia mimética dei processi musicali. Nel fondamento stesso del concetto di stregoneria, intesa come realizzazione di un qualcosa che trascenda la materia, si può individuare la necessità d’indurre la reazione con un gesto e la parola. Abracadabra, mondo: questo è il mio strumento. Non ce ne sono d’altri uguali. L’altro ieri, sotto gli occhi sempre attenti del pubblico internettiano, il musicista svedese Martin Molin, di 33 anni, ha svelato il molto atteso risultato dei suoi molti mesi di lavoro (14, per essere precisi) ottenendo un successo virale straordinariamente esplosivo, molto al di là di quello mai sperimentato in precedenza dalla sua band sperimentale synth pop, i Wintergatan. Il cui nome significa, letteralmente, Via Lattea, ma nel quale la V è stata cambiata con una W, probabilmente per analogia col termine inglese che vuole dire inverno. Ed i cui membri, in questo caso, hanno deciso di comune accordo di non comparire nel presente video, con l’intenzione probabile di massimizzare l’attenzione del pubblico sul loro capo carismatico e la sua invenzione. Che come per l’appunto dicevamo, ha un che di luce sovrannaturale, o per usare un’espressione anglofona, otherwordly. Il genio della musica ed a quanto pare, anche dell’ingegneria e del fai-da-te, vi compare con un abito scuro degno di una pièce teatrale su Edward Mani di Forbice, mentre gira enfaticamente la maniglia della sua creazione, stagliandosi contro un fondale totalmente bianco che offre il miglior contrasto possibile all’intera scena. Il video nel frattempo, creato dall’amico Hannes Knutsson, vanta una regia piuttosto interessante, che non fa che enfatizzare ulteriormente lo spettacolo del macchinario sferragliante. E che spettacolo, vederli all’opera, l’uomo e il suo fantasmagorico apparecchio, il cui suono ci appare tanto più perfetto grazie ad artifici digitali ed un sapiente uso della post-produzione. Forse, persino, troppo perfetto.
Certo. Puoi suonare l’approssimazione di una sinfonia di Beethoven o Mozart anche al sintetizzatore, attraverso il campionamento di un sistema informatico come lo standard dell’industria, l’ormai vetusto MIDI. E non ci sarà nulla di diverso, in linea di princìpio, tra una tale prassi e quella di un tradizionale organo meccanico, visto come ciascun movimento, ogni fuga e scala e partitura, siano pur sempre il frutto di un’esecuzione “in diretta” ovvero fatta dalla macchina, non registrata. Ma è pur vero che nell’elettronica, per quanto ci sia dato di vedere ad occhio nudo, non c’è movimento, ovvero manca del tutto quella componente estetica che, in perfetta sincronizzazione con i suoni, dovrebbe fornire un utile sostegno all’intrecciarsi dei diversi sensi, vista e udito. Il praticante di arti magiche della scuola di Hogwarts, tanto per usare un luogo di rappresentanza largamente noto, prima di piegare le norme della fisica e la logica, deve necessariamente puntare la bacchetta e pronunciare la sua formula fatale. Senza approssimazione, del gesto con l’effetto, non c’è un senso mistico di meraviglia. Ed è qui, che entra soavemente in gioco, lo splendore tecnico dell’organo basato sulle biglie. Martin Molin afferma, in alcune dichiarazioni riportate sull’articolo del Daily Mail, di aver tratto idee funzionali per la sua ultima creatura da due mondi totalmente differenti: il moderno e l’antico. Il primo, soprattutto, per il tramite della vasta sottocultura delle “macchine per le biglie” un intero mondo di creativi, tra cui alcuni già trattati in questa sede, che hanno dedicato il proprio ingegno a rendere più interessante la giornata di chiunque veda i loro video, mostrando il modo più fantastico (e fantasticamente superfluo) per far muovere un’alta quantità di sferette lungo un tragitto discendente, ancòra e poi di nuovo; viene infatti sempre previsto, al termine del percorso, un ascensore motorizzato che riporti i piccoli passeggeri al punto di partenza. In particolare lui cita come principale ispiratore Matthias Wandel, il giustamente celebre inventore, artista e falegname che dal 2007 ha affascinato YouTube, costruendo ogni sorta di marchingegno o macchina stupefacente. L’altra fonte della sua invenzione, nel frattempo, presentava una genesi ben più remota….

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Strano video con la storia del Giappone al ritmo di 6 secoli al minuto

Japan History

Tomi ponderosi, manici di scopa e grosse ragnatele, tutto questo arrotolato in un gomitolo di dura concentrazione, noia persistente e dita sporche per l’inchiostro dozzinale delle pagine di appunti che si accalcano nella memoria. Tutto questo, e molto altro: il faticoso studio della Storia. È una vita difficile, questa qui dello studente… Ormai privato della semplice soddisfazione di una volta, l’epoca in cui persino i bimbi lavoravano negli opifici o con la zappa, negli assolati campi della fattoria dei genitori. Mentre sono ormai costretti a chiudersi dentro una stanza, e a non uscire finché abbiano acquisito una cultura. Oh, crudeltà! Oh, sadismo! Dei professori che costruiscono verifiche a risposta aperta, chiusa e semi-chiusa. E degli uomini dei tempi antichi, che per ciascuna singola generazione intavolavano riforme, eventi e guerre da studiare…. Davvero non c’è pace in aula, per i discepoli di buona volontà. Il che diciamolo, è un peccato singolare, quanto estremamente ingiusto. Perché se da una parte “Studiare…” è qualche volta dura, dall’altra c’è da ammettere che “…la Storia” è una delle materie più incredibili ed interessanti al mondo. La quale può corrispondere, con soltanto un minimo d’immaginazione, al vedere 10 film di seguito, o leggere quattro romanzi nello stesso tempo! È tutta una questione di approccio prospettico, applicato agli strumenti d’analisi a disposizione. E qui giunge a dimostrarcelo, se pure ce ne fosse la necessità, l’incredibile YouTuber Bill Wurtz.
Come, chi è Bill? Cosa, chi è Wurtz? L’autore del nonsense che sembra aver trascorso gli ultimi anni pubblicando, talvolta quotidianamente e qualche altra in modo occasionale, buffi video musicali e perle di saggezza su Twitter, quali: “Cameriere, c’è una minestra nella mia mosca” Oppure: “Ogni muro rappresenta l’opportunità di scoprire cosa c’è dietro.” e che giusto l’altro giorno, compiendo un passo estremamente significativo per lui, ha scelto di creare un qualche cosa di più costruttivo. Nove minuti esatti (non può essere un caso) dedicati ad un riassunto umoristico, talvolta caotico ma quasi mai del tutto errato, sulle vicende che si sono succedute presso l’arcipelago per eccellenza dell’Estremo Oriente, forse l’unico paese al mondo che, in forza della sua caratteristica cultura e la capacità di rimanere sempre in linea con i suoi valori, viene oggi visto nell’immaginario collettivo alla stregua di un antagonista dell’Occidente, che talvolta vi si affianca, certe altre ha avuto l’occasione di sfidarlo, sia dal punto di vista culturale che in forza delle armi, purtroppo. Ma che prima di giungere a quel fatidico momento, attraversò quella che si potrebbe definire una lunga, complessa e delicata vicenda.  Si potrebbe…Ma non è necessario. Di certo non per lui, l’uomo che esordisce con l’affermazione estremamente concisa: “Il Giappone è un’isola sul mare (ehm..) piena di vulcani ed è BELLISSIMA.” Sùbito seguita da un’accordo al sintetizzatore, che molto probabilmente non sfigurerebbe all’interno di un album musicale del genere Nu Jazz. Segue un riassunto iper-veloce delle epoche preistoriche, a partire dal 12.000 a.C, con l’antichissima cultura dei cacciatori-raccoglitori Jōmon “Utilizzatori delle ultime tecnologie, come pietre e ciotole di terracotta”. Segue l’epoca del Bronzo e quindi la suddivisione spontanea del territorio nelle città-stato del periodo Yayoi, grosso modo corrispondente agli anni di gloria del nostro primo Impero Romano (300 a.C – 300 d.C.). Mentre qui, per intenderci, eravamo ancora al punto dell’introduzione dell’agricoltura, mutuata dalla Cina continentale. Ma già il più forte e grande dei diversi regni, quello di Yamato, stabiliva uno strumento di legittimazióne estremamente significativo, affermando che il proprio sovrano, guarda caso, discendesse dagli dei del Cielo e della Terra. Un sistema di credenze destinato a mescolarsi non molto tempo dopo assieme, ci viene qui umoristicamente fatto notare, ad una religione straniera, quella del Buddhismo. E questo soprattutto per l’intercessione di un singolo individuo, il principe e reggente imperiale Shōtoku Taishi (572 – 622) che “aveva amici a Baekje” (l’odierna Corea). Ora, questo potrebbe definirsi il primo errore oggettivo del video, visto come in effetti l’introduzione del Buddhismo in Giappone risalga almeno al precedente regno dell’imperatore Kimmei (539-571) che aveva accolto a corte gli esuli Soga dei tre regni di Corea. Ma come per il resto del divertente exploit di Wurtz, ricco di battute e buffi effetti audiovisivi, non si può fare a meno di notare come egli sia tecnicamente assai vicino alla verità, vista l’importanza di Shōtoku nel rifiuto categorico dell’antica religione imperiale (lo shintoismo) valida nel portare alla fondazione di innumerevoli templi e sette destinate a giungere fino ai nostri giorni. E da lì, nello spianare la strada alle riforme Taika dell’imperatore confuciano Kōtoku (645) verso la creazione del primo vero stato centralizzato. Gesto a cui fa seguito il primo incontro diplomatico con la Cina, qui narrato così: “Ciao piccoletti” – Fa la Cina, usando un termine decisamente più offensivo. “Ciao Cina. Ok, potresti non chiamarci piccoletti?” Risponde il Giappone. “E allora come?” Un’attimo di esitazione. “Che ne dite di TERRA DEL SOL LEVANTE” Taa-daah. Fu così che fu scritto un libro (il Kojiki) e poi un’altro libro (Nihon Shoki) dando un senso ed una forma, di tipo e stile prettamente mitologico, a quanto avvenuto fino a questo punto. Ma a quanto pare, il bello doveva ancora venire…

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