L’espressione pratica di un cardine sommerso tra i molti aspetti del senso comune: “Chi ha provato il volo camminerà guardando il cielo, perché là è stato e là vuole tornare.” Affermò Leonardo da Vinci, come corollario dei disegni nei suoi codici dedicati alla tecnologia futura dei trasporti. Svariati secoli sarebbero dovuti passare, tuttavia, affinché il sogno avesse modo di essere portato a compimento, con diversi fallimenti significativi e molto spesso, causa di terrena sofferenza. Questo perché l’ingegnere tipo, con il naso rivolto verso l’alto, tentava d’imprimere nella sua mente la potenza, leggerezza e splendida leggiadrìa degli uccelli, tentanto di riprodurne le caratteristiche a una scala superiore. Ma il delicato rapporto tra peso, potenza e aerodinamica non può essere adattato in scala, così come 10 lupi non riescono a cacciare un bufalo che raggiunge circa un quarto della loro massa complessiva. Altrimenti, come potremmo spiegare gli effettivi risultati raggiunti dagli insetti, i più piccoli tra gli esseri capaci di sfidare (e vincere!) la forza gravitazionale della Terra, attraverso movimenti scattosi e sconclusionati, spesso imprecisi e qualche volta, addirittura, surreali…
Una visione forse non conforme allo stereotipo della questione, che riesce tuttavia ad essere particolarmente chiara una volta che ci si approccia all’ultima creazione di Adrian Smith, ricercatore presso l’Università della North Carolina che ha così scelto di puntare l’obiettivo di una telecamera con alta velocità di aggiornamento contro “I primi 10 esseri” che gli è capitato di trovare. Perché è chiaro, dall’osservazione del presente video, che se dalle nostre parti mettere circondare col retino una luce notturna a ultravioletti ci regala mosche, falene o zanzare, all’altro capo dell’Atlantico può regalarti l’occasione di conoscere qualcosa d’inusitato. A cominciare dal fuori programma, usato per rompere il ghiaccio e dare inizio alla sequenza, in cui un’ostinata e non meglio definita pteroforida (appartenente al gruppo informale delle “falene piuma”) si solleva in volo solamente con lo sprona della testa di un pennello, mostrando qualche problema a controllare l’assetto delle sue quattro ali ricoperte di una fitta peluria. La situazione inizia quindi a farsi più controllata con l’ingresso nella scena di una lucciola Photinus pyralis, tipica del Nuovo Mondo, che con piglio quasi marziali alza le sue elitre, elementi del carapace che proteggono le ali, scoprendo quest’ultime poco prima d’iniziare delicatamente a fluttuare. Ed è qui che iniziano le sorprese, di una carrellata estremamente interessante di creature scelte proprio perché mai documentate prima per immagini finalizzate a questo particolare ambito d’approfondimento: il coleottero infatti, dopo aver alzato le zampe anteriori con un gesto che ricorda quello di Superman, inizia a battere in maniera ritmica non solo gli arti aerodinamici finalizzati al volo, ma anche le loro stesse coperture, contribuendo in qualche modo alla perturbazione che produce la sua portanza, in maniera matematicamente difficile da prevedere. Le sorprese continuano, quindi, con la falena dipinta dei licheni (Hypoprepia fucosa) un’erebide descritta per la prima volta nel 1831, benché nessuno si fosse mai preoccupato di notare l’intrigante maniera in cui le ali si flettono durante il volo, piegandosi e invertendo totalmente l’angolo di attacco, mentre l’insetto calibra attentamente l’inclinazione e l’obiettivo finale del suo tragitto. “Sembra quasi di stare guardando un effetto speciale fatto al computer o un modellino animato di cera” afferma a questo punto ammirato il Dr. Smith, quasi rendendosi conto all’improvviso delle vette artistiche raggiunte quasi accidentalmente, mentre tentava, assai candidamente, di proporre al pubblico un qualcosa che nessuno aveva mai tentato prima di allora…
Stati Uniti
La grave situazione in Iowa e il fenomeno meteorologico che l’ha causata
Nella sera dello scorso lunedì 10 agosto, una strana serie di segnali contrastanti hanno iniziato ad essere registrati dai sensori di marea sul lago Michigan, tanto da far pensare agli enti preposti a valutarne la lettura che qualcosa, da qualche parte, avesse cessato di funzionare correttamente. Con un grafico paragonabile a quello di un terremoto, per un periodo di alcuni giorni, la linea costiera del terzo lago statunitense per estensione iniziò ad arretrare, avanzare, arretrare di nuovo, con un tempo d’oscillazione di pochissime ore; in altri termini sembrava, dal punto di vista pratico, che un gigantesco bambino stesse sbattendo le mani e i piedi all’interno di una colossale vasca da bagno, influenzando per gioco il livello dell’acqua a suo piacimento. Una visione o descrizione metaforica, quest’ultima, tutt’altro che probabile nei fatti eppure valida per dar l’idea di quanto la furia risvegliata della natura, ancora una volta, stava per scatenare sull’eternamente in bilico regione continentale dell’intero Midwest statunitense: una catastrofe ventosa dalle proporzioni sconvolgenti. Riassunta in una parola, derecho, che non è del tipo frequentemente udito in questi giorni al telegiornale, per ragioni a conti fatti alquanto semplici da interpretare… Laddove le migliaia di vittime quotidiane da Covid-19, anche all’altro lato dell’Atlantico, hanno relegato questo disastro all’ultimo servizio dei telegiornali o magari neanche lì, con un conto delle vittime pari a “soltanto” due allo stato attuale ed “appena” 14 feriti, per lo più non particolarmente gravi. Ma esiste più di un modo, per subire i danni collettivi di un disastro, come sanno molto bene i possessori di terreno in questa fondamentale riserva agricola del Nordamerica, già pesantemente colpita nel corso dell’anno dalla lunga sequenza di dazi generati nella guerra dei commerci con la Cina e che adesso, a fronte di una situazione già complessa, stanno affrontando forse il periodo più drammatico della loro esistenza: granai divelti, magazzini distrutti, abitazioni fatte a pezzi e soprattutto milioni di ettari del raccolto letteralmente spazzati via, con incalcolabili tonnellate di mais strappato alla radice, poco prima di essere disseminato ancora non maturo attraverso le verdeggianti valli di Iowa, Ohio, Utah e Wyoming.
Già perché il derecho, per sua natura non si avvolge attorno agli edifici torcendone gli elementi architettonici e scagliandoli in tutte le direzioni, come avviene per la sua più celebre e frequente controparte, il tornado, bensì dando ragion d’essere al suo nome preso in prestito dalla lingua spagnola soffia in una maniera “diritta”, che poi risulta essere, da queste parti, orientato verso Sud-Est nel tentativo disperato di raggiungere l’equatore. Il che rende una tale tempesta paradossalmente meno pericolosa per gli umani che possono tentare di trovar rifugio in tempo utile, benché non faccia nulla per salvare le proprietà ed inoltre risulti, con venti misurabili fino alla velocità impressionante di 58 m/s, capace d’infierire su queste ultime con enfasi particolarmente degna di nota. Immaginate, a tal proposito, una lunga linea di temporali che si sposta in linea retta, attraversando con un ritmo accelerato l’intero territorio di una serie di comuni e piantagioni. Ciascuno dei quali sufficientemente rapido da permanere sopra di essi per un tempo pari ad appena 20-30 minuti, ma ben presto seguito dall’anello successivo della catena per un tempo complessivo che nelle regioni più colpite può aggirarsi fino alle 8 ore. Questo, in parole povere, è il derecho, che per fortuna risultando essere piuttosto raro si realizza una, al massimo due volte l’anno, benché sia particolarmente difficile ignorare o dimenticare gli effetti cataclisimici del suo passaggio. Particolarmente gravi, neanche a dirlo, nella presente situazione di un così drammatico 2020…
Presentata l’Hyperion XP-1, demone su 4 ruote con l’idrogeno nel cuore
Quando l’intera industria automobilistica tace per qualche attimo e volge lo sguardo verso la California, è facile prevedere che qualcosa di speciale stia per verificarsi. Terra di opportunità e tecnologia, responsabile di suo conto di un’alta percentuale dell’intero PIL statunitense, dove piccole startup fioriscono ed assumono crescenti proporzioni non più soltanto per la stereotipata iniziativa di un gruppo di ragazzi nel garage, bensì l’intuizione ed il finanziamento di possenti multinazionali e facoltosi “eroi” del capitalismo globale. All’interno di stabilimenti come quello di 1032 W. Taft Avenue, Orange, California, sede da ormai oltre nove anni della misteriosa compagnia operativa nel campo dei carburanti a idrogeno che il suo fondatore e CEO Angelo Kafantaris ha scelto d’intitolare ad Iperione, uno dei dodici titani che guidati da Crono, si ribellarono e sconfissero il loro padre ponendo le basi dell’Universo. Associazione altisonante per un marchio che si dichiara operativo nell’originale campo della “Tecnologia dell’epoca spaziale applicata alla guida su strada” benché nessuno, a conti fatti, avesse gli strumenti per decifrare a fondo una simile dicotomia… Fino a ieri. Quando bypassando non soltanto il passaggio considerato obbligatorio di una presentazione fisica alla stampa, ma anche la prevista sessione in streaming per gli investitori, il primo esemplare tangibile di tanto duro lavoro da parte dell’Hyperion ha visto sollevarsi il velo dell’anonimato, per fare la sua comparsa coreografica sulle pagine del sito della compagnia.
Chiarendo come ben poco, nonostante le nostre conoscenze pregresse, avrebbe potuto prepararci all’esperienza audiovisiva della XP-1 (X-treme Prototype? X-tra Power?) un veicolo dai 356 Km/h di velocità di punta e 0-96 in 2,2 secondi che ha tutte le intenzioni, e gli strumenti, per presentarsi come una vera e propria macchina venuta dal futuro. La cui alimentazione mediante il succitato sistema privo di emissioni risulta essere soltanto il primo pezzo di un avveniristico puzzle, composto dall’estetica fiammante di un qualcosa di fuoriuscito direttamente dal sogno di un supereroe, con linee che ricordano vagamente una Bugatti Chiron portata fino alle più estreme conseguenze, una cabina di guida con bolla panoramica presa direttamente da un aereo da combattimento e l’unica proposta strumentale di un enorme schermo touch curvo da 98 pollici, controllabile anche mediante i gesti. E un peso di appena 1.036 Kg, capace di porla ai massimi vertici nel settore delle supercar stradali. Completano l’offerta esterna cerchi dall’estetica quasi vichinga e dei montanti laterali che agiscono come pannelli solari, a quanto pare addirittura articolati per “seguire il sole” benché le mere leggi della termodinamica ci lascino intuire come la loro estensione possa contribuire soltanto in proporzione minima all’autonomia del mezzo. La quale d’altra parte già raggiunge una vetta totalmente priva di precedenti, con i 1.615 chilometri che ancora una volta fanno più che altro pensare al mondo degli spostamenti via cielo, benché tale aspetto diventi niente meno che necessario, quando si considera l’attuale diffusione tutt’altro che capillare dei distributori capaci di stoccare e vendere l’idrogeno necessario ad alimentare questo impressionante cavallo fatto di metallo, fibra di carbonio ed ambizioni senza limiti apparenti. Apparso, come soltanto assai raramente può riuscire ad accadere, non dalle alte cime di un grande e rinomato marchio bensì l’oscuro settore della Valle antistante…
La sfera di salvataggio capace di resistere alla furia degli tsunami
Galleggiamento. La spinta innata dei corpi verso l’alto nel momento in cui vengono immersi all’interno di un fluido, capace quindi di resistere al costante richiamo della forza di gravità. Quasi come se il destino che si compie nei flutti, che ogni cosa inghiottono e trasportano via dalla riva, fosse naturalmente inviso a qualsiasi cosa tangibile costituita da elementi “diversi”. Terra, fuoco, legno e metallo: perché mai dovrebbero collaborare nella costruzione di un qualcosa che tende a risalire con la spinta di 2.000 Kg, pur pesandone con il suo guscio di alluminio appena 136? A mali estremi, come si dice, rimedi altrettanto elaborati ed è per certi versi contro-intuitivo, benché immediatamente comprensibile, che un individuo possa desiderare di andare a chiudersi all’interno di un ambiente di un metro e 37 di diametro, nel momento in cui fare la scelta giusta può costituire l’unica barriera tra noi stessi e la fine intempestiva dell’esistenza. Morte per tsunami, una delle più terribili, poiché può comportare schiacciamento, trascinamento, soffocamento e annegamento uno di seguito all’altro. Per non parlare dell’attacco sempre possibile, una volta che le acque si sono calmate, da parte del carnivoro marino per eccellenza, lo squalo. A meno di riuscire in tempo utile, seppure ciò sia realmente possibile, a scappare verso un luogo sufficientemente elevato. L’energia che scaraventa una tale quantità d’acqua oltre i confini normalmente giudicati ragionevoli, del resto, dev’essere per forza significativa ma tende ad esaurirsi in tempi relativamente brevi. A patto di essere: giovani, svelti, in forma (o avvisati con l’anticipo adeguato). Ma che dire di tutti gli altri? Cosa dovrebbe fare chi già sa che non potrà, per una ragione oppure l’altra, sfuggire al flusso inarrestabile dell’onda finale?
In loro aiuto Julian Sharpe, ingegnere aeronautico ed inventore nato e laureato in Inghilterra ma residente nello stato nordamericano di Washington, propone l’oggetto insolito che potrebbe essere uscito, a tutti gli effetti, da un saliente episodio della serie Dragon Ball. Benché sarebbe senz’altro superficiale, e riduttivo, considerare la Survival Capsule come il giocattolo cui potrebbe senz’altro rassomigliare, nonostante abbia uno scopo tra i più nobili di tutti: mettere in salvo, al verificarsi di particolari condizioni, una quantità potenzialmente variabile di vite umane. L’idea è semplice ma al tempo stesso estremamente funzionale, vedendo l’acquisto preventivo da parte di utilizzatori privati (ma in futuro, potenzialmente, anche enti pubblici ed uffici) che all’improvviso ritirarsi dell’oceano, chiaro segno d’incombente catastrofe, dovrebbero correre al suo interno e chiudere la porta sigillante simile a quella di un sommergibile, confidando nel valore intrinseco della tecnologia mentre tentano di sopravvivere al passaggio metaforico della tempesta. Seduti con le gambe ripiegate contro il petto ed assicurati a un seggiolino da corsa con cinture di sicurezza a quattro punti, idealmente sufficienti a resistere alle sollecitazioni significative che potrebbero verificarsi, mentre si viene sbattuti da una parte all’altra come il calzino spaiato all’interno di una lavatrice. Potendo fare affidamento, tuttavia, su ottimi presupposti di sopravvivenza, date le prese d’aria a tenuta stagna su ogni lato del “veicolo”, lo spazio per serbatoi d’acqua potabile e provviste nonché, nei modelli più costosi, un gabinetto chimico d’emergenza. Tutto quello che potrebbe servire, in altri termini, per salvaguardare la propria vita e dignità mentre si attendono pazientemente (?) i soccorsi…