Il mega-pipistrello con il muso di un cammello infernale

Verso la metà del mio viaggio in Senegal, mi ritrovai lungo le rive di un fiume. Non c’era nessun dubbio, in verità: mi ero smarrito. Ahimé, terribile era quel luogo e al sol pensarci ricomincio a provare simile paura! E l’angosciante suono, come l’ululato rimbombante della morte: creature senza nome nella notte arida dell’Africa profonda. E strane forme che si aggirano tra i rami… Di tanto in tanto, un battito sinistro d’ali. Mentre un diavolo sussurra silenziosamente il suo messaggio d’accoglienza: unisciti a noi, Dante, unisciti alle nostre scorribande nei pollai. Però prima estendi la tua mano come un falconiere della corte di Federico II di Svevia. Affinché le zampe adunche, fatte al fin di stringere le pietra, possano afferrarti e trasportarti via, oltre la soglia di un meraviglioso viaggio di scoperta. In quel momento esatto un’alito di vento soffia ad alta quota, spostando nubi per mostrare nuovamente l’astro del satellite lunare. E il volto di colui che cerca di parlarmi, a poco più di 15 centimetri dal volto; le ampie nari, aperte per soffiare l’aria delle tenebre; gli occhi aperti con la forma di una doppia cupola di vetro affumicato; le orecchie piccole e distanti, ornamenti sopra l’elmo di uno spaventoso cavaliere. E quando egli ebbe ragione di voltarsi, momentaneamente, ricevetti finalmente l’impressione di quel cranio dalla forma di un attrezzo per aprir le noci una alla volta. Con un breve e rassegnato sospiro, dunque, baciai il muso del mio amico con la testa a martello. Diavolescamente, scelsi di seguirlo per la Via.
Tre gridi per la gloria dell’inconciliabile creatura, anche detto pipistrello dalla testa di martello: Hyp, Hyp, Hypsignathus monstrosus! Amico degli esploratori e dei bambini d’Africa con il gusto del terribile poiché, contrariamente a quel che avrebbero voluto farci credere, non dovrebbe poter nuocere ad alcuno. Fatta eccezione, ahimé, per le galline che uccide al fine di berne il sangue però anche se lo fa, risulta un caso raro, rientrando egli a pieno titolo nella macro-categoria dei pipistrelli frugivori o mangiatori di frutta. Possedendo quindi caratteristiche comparabili, nel comportamento e soprattutto le dimensioni, alla famigerata volpe volante (Pteropus vampyrus) del Sud-Est asiatico, grazie ai suoi 97 cm di lunghezza per 285 di apertura alare, necessari per far staccare da terra i suoi 450 grammi di peso. Almeno nel caso del maschio, dato come a causa di un marcato dimorfismo sessuale le femmine non superano un terzo di questi valori. Ciò che lo distingue in modo enfatico, del resto, dai suoi parenti all’altro capo dell’universo civilizzato e proprio la forma da lupo mannaro del suo “volto”, particolarmente marcato negli esemplari del sesso più imponente, con finalità teorizzabili di favorire la respirazione nell’aria torrida e dissipare con efficienza significativa il calore. Questione meno centrale per coloro che sono più piccole, così come il loro approccio al nutrimento prevede l’acquisizione frequente di frutta facilmente raggiungibile, mentre i maschi devono talvolta viaggiare fino a 10 Km al fine di trovare cibo di qualità sufficiente a nutrire il loro rapido metabolismo di volatori. Ed è talvolta proprio a seguito di una consumazione eccessiva, che il loro peso aumenta fino al punto di non potersi sollevar di nuovo. Il che comporta, per un’essere tanto indifeso, conseguenze troppo facili da prevedere…

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Il sangue del ragno corazzato che muore salvando il mondo

É primavera, svegliatevi bambine… “Sulle banchine, creature aliene, trovano l’amor!” Potremmo essere nel Delaware, oppure a meridione lungo il tratto di costa che si affaccia nell’ampio bacino noto come golfo del Messico, ove annualmente migrano gli unici rappresentanti dell’ordine Xiphosura, parola il cui significato letterale in greco antico è “coda [a forma di] spada”. Caratteristica evidente, da qualsiasi lato le si osservi sulla riva relativamente asciutta dell’oceano Atlantico, mentre giungono al coronamento della lunga migrazione necessaria prima di accoppiarsi, mediante un rituale vecchio di 450 milioni di anni. La limula lunga 60 cm che giunge sulle sabbie presso cui è nata, per mettersi a scavare con le zampe nascoste sotto il guscio, poco prima di deporre nella buca un numero variabile tra le 15.000 e 64.000 uova. Ed il suo lui più piccolo a fargli da seguace, come il successivo membro di un trenino danzante, estremamente concentrato nel fondamentale compito di fecondare quel dono genetico direttamente nella sabbia, così come è stato fatto, lungo il corso dei millenni, dai suoi innumerevoli predecessori. Creature che ci guardano, coi loro molti occhi situati in vari punti del corpo, dall’alto di una discendenza al confronto del quale i più nobili tra gli uomini non possono che far sorridere, per l’illusione coltivata della loro presunzione d’importanza. Quattro sono le specie, d’altra parte, in cui è suddiviso il cosiddetto horseshoe crab (granchio a ferro di cavallo) il quale nonostante il nome, risulta essere in effetti più strettamente imparentato con artropodi di terra, come i ragni e le zecche, cosa che appare ragionevolmente chiaro dalla sua distintiva anatomia. Ma la più importante, per l’economia e la sopravvivenza degli umani, risulta essere nei fatti quella del Limulus polyphemus o versione Atlantica dello stesso, di fatto oggetto ancor più dei suoi simili di una certa branca dell’industria farmaceutica, consistente nel produrre una sostanza importante nel contesto ospedaliero di moltissime nazioni, responsabile di salvare una quantità stimata di 11 milioni di persone l’anno. Sto parlando del lisato di amebociti di Limulus (LAL) liquido prodotto dalla particolare versione dei globuli bianchi che scorre nelle vene di queste creature, dotata della caratteristica di coagularsi immediatamente non appena giunge a contatto con batteri di tipo Gram negativo, tra i più pericolosi in quanto capaci di causare la sepsi negli umani. Ecco dunque il triste, se non tragico destino a cui 600.000 di queste creature vanno incontro subito dopo la deposizione delle uova, a fronte della sistematica cattura e successiva estrazione della loro linfa vitale di un caratteristico colore azzurro dovuto alla presenza di emocianina con atomi di rame piuttosto che ferrosa emoglobina, in quantità teorica del 25-30%, affinché possano essere successivamente rilasciate nella natura. Se non che, secondo le statistiche, c’è sempre una quantità pari al 30% di esse che non sopravvivono al processo, mentre un ulteriore 25% muore successivamente, una volta fatto ritorno al di sotto della superficie del mare. Il che lascia comprendere, in maniera più che mai evidente, come una tale industria non possa essere effettivamente sostenibile ad oltranza, oltre a mettere a rischio la sopravvivenza futura di questi animali, avendo nei fatti dato luogo a successivi tentativi di trovare una via diversa. Tra cui la sintetizzazione in laboratorio, a partire dal 2003, di un prodotto capace di assolvere la stessa funzione tramite l’ingegneria genetica, dal nome di Fattore ricombinante C, la cui natura brevettata e prolungata assenza dal codice farmaceutico della maggior parte dei paesi ha tuttavia condizionato la diffusione attraverso gli anni. Ecco dunque il nuovo studio pubblicato all’inizio di aprile sulla rivista Frontiers in Marine Science, da ricercatori della Kepley Biosystems Incorporated, mirato a proporre l’ipotesi, più volte giudicata impercorribile causa minore efficacia del prodotto finale, di allevare in cattività queste creature. Poiché talvolta, una cura preventiva imperfetta, ma pur sempre funzionale, può comunque assolvere allo scopo che ci si era prefissati…

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Lo pseudo scorpione, il più piccolo guardiano della conoscenza

L’aguzza punta della Torre Grigia appariva perennemente avvolta da una luce tenue, il mistico prodotto di migliaia di grimori accumulati nei secoli dagli stregoni di Alfheim. Le nubi convergevano su di essa, senza tuttavia riuscire mai ad avvolgerla, per l’energia creata dagli stessi antichi proprietari della biblioteca. Eppure forze di un diverso tipo, dotate di un volontà più forte, continuavano a scalarne le pareti: “Di nuovo, Bjørn il Barbuto? L’implacabile fame della tignola ha colpito ancora?” Alla luce della sfera fiammeggiante sulla spalla di Gorm, di due scrutarono la mensola ad altezza delle loro lunghe orecchie, contenente i volumi con le cronache della seconda Era. Con gesto titubante, colui che aveva parlato sollevò la copertina rilegata in pelle di basilisco, per scoprire il nugolo all’ombra del quale soggiaceva, minacciosamente, l’energia della Maledizione degli Insetti. “Sia dannata la sua anima, per molti secoli a venire!” Inveì il barbuto sapiente, agitando la sua bacchetta all’indirizzo immaginario dello spirito del vecchio Rettore, allontanato per aver praticato in gran segreto la negromanzia. “Per la sua vendetta e per quello che oggi, nonostante tutto, saremo costretti a fare.” Gorm, sapendo bene ciò di cui stava parlando il suo collega, annuì pensosamente, già chiudendo gli occhi mentre ricordava le parole della formula segreta per creare la vita. “E sia, SUM VATES: osso ad osso, sangue a sangue, membro a membro; così siano saldamente uniti. Senza coda egli provenga, dalla notte primordiale. Per proteggere il sapere dei viventi.” Asserragliate in un nugolo vibrante, le tarme svolazzarono da quelle pagine chiazzate, percependo il pericolo a cui stavano per andare incontro. In quel preciso istante, con le mani raccolte a coppa, Bjørn soffiò all’interno di esse. Dove prima non c’era nulla, un operoso demone muoveva i primi passi, ricoperto dalla schiera dei suoi piccoli, già pronti…
Osservando la forma dello pseudoscorpione per la prima volta, sarebbe in effetti lecito pensare di trovarsi innanzi ad un pericolo della natura: scintillante essere chitinoso, dalla forma che ricorda quella di una pera, le due chele mantenute in alto, pronte a colpire chiunque abbia l’arroganza di pararsi sul suo incedere d’aracnide predatore. Almeno finché, macrofotografia permettendo, non si arrivino a comprenderne le dimensioni: dai due agli otto millimetri, col caso estremo e tropicale di una specie solamente (Garypus titanius) che sia in grado di raggiungere il millimetro di lunghezza. Ciononostante, alle proporzioni del suo ambiente d’appartenenza, questo vicino parente di ragni, scorpioni e zecche risulta perfettamente capace d’imporsi contro un vasto ventaglio di creature, grazie alla rapidità maggiore alle aspettative ed il veleno prodotto da una ghiandola sotto le chele, capace di paralizzare le sue vittime per poi dissolverne lo scheletro, al fine d’iniziare la laboriosa digestione. Suddiviso in oltre 3.300 specie quindi, quest’ordine dal chiaro successo biologico ha da tempo immemore dominato gli spazi umidi del sottobosco, sotto le cortecce, nel cavo degli alberi, nelle caverne. Finché per puro caso o esercizio magico della Parola, non gli capitò di scoprire l’ambiente umano almeno in apparenza creato per il suo massimo beneficio: la biblioteca. Ricca di quei tomi, e delle tarme che li abitano, niente meno che ideali per saziare il suo bisogno di cibo pressoché costante…

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La ventosa del pesce che aiutò a fondare l’Impero Romano

Poco prima della battaglia che avrebbe deciso il più importante dei conflitti scaturiti dal decesso di Caio Giulio Cesare, suo nipote Ottaviano, sbarcò dall’esareme al comando del suo fedele luogotenente ed ammiraglio Marco Vipsanio Agrippa presso la spiaggia del promontorio Azio, nell’Acarnania nordoccidentale, al fine di gettare uno sguardo dall’alto presso quello che sarebbe diventato, molto presto, il banco di prova del suo progetto di egemonia. Era l’autunno del 31 a.C, sebbene nessuno, a quel tempo, potesse certamente dire di saperlo. Poco prima di voltarsi nuovamente verso il vascello, quindi, egli scorse tra le schiere dei suoi soldati una figura lontana in sella a un’asino, semi-nascosta dalla scarna vegetazione greca. Che poco a poco si fece più vicino, per presentarsi quindi al politico e condottiero romano, parlando un ottimo latino: “Salve, signore. Il mio nome è Fortunato e questo qui è il mio asino, Vittorioso” L’immotivata natura del gesto, in così particolari circostanze, sarebbe stata riportata successivamente dallo storico Svetonio assieme a un’altro strano aneddoto della battaglia.
Secondo la teoria del battito d’ala delle farfalle, capaci di causare una tormenta all’altro capo del pianeta, sono talvolta le cose più piccole ad influenzare maggiormente la sequenza incontrollabile degli eventi e sebbene secondo le fonti coéve, la vittoria del futuro primo Imperatore contro Marco Antonio fosse stata già decisa nel momento in cui il fedele Agrippa aveva conquistato la città macedone di Metone in inverno, tagliando i rifornimenti provenienti dall’Egitto, era innegabile che il rivale fosse ancora idealmente in vantaggio, con un’armata di 84.000 uomini e 480 navi di natura particolarmente imponente, fornite dalla sua amante e complice Cleopatra, regina d’Egitto. La sorte, tuttavia, sembrava essergli contraria, con l’epidemia di malaria che aveva infuriato tra i suoi uomini in attesa dell’attacco proveniente da Occidente. Dopo il primo scambio di frecce e tentativi di abbordaggio, iniziato dopo alcuni giorni di manovre e tentativi di sorprendere il nemico, tuttavia, successe l’impossibile: mentre l’ammiraglia di Marco Antonio stava per muoversi al fine d’incoraggiare gli uomini in battaglia, all’improvviso qualche cosa sembrò impedirgli di riuscire a muoversi in avanti dalle retrovie. Quasi come se una mano gigantesca inamovibile, sorta dalle profondità del golfo di Ambracia, avesse stretto le sue oscure dita sulla chiglia. Eppure, neanche per un attimo il suo generale, Publio Canidio Crasso, ebbe alcun dubbio nell’attribuire un nome a quel prodigio: “Sventura, mio signore! Siamo caduti vittima del crudele Echeneis, [colui che] ritarda le navi. Non potremo muoverci fino al concludersi della battaglia, né prendervi parte…”
Di sicuro, tutto questo rappresenta una questione in grado di farci sorridere, dall’alto delle nostre cognizioni scientifiche moderne. Chi mai potrebbe credere che un semplice animale, per quanto imponente, possa fermare una possente nave da guerra? Eppure resta indubbio che se la natura sia mai stata in grado di fornirne gli strumenti, il ricevente sia per forza stato quello che oggi definiamo, paradossalmente, non più in greco ma latino, la remora (ritardante). Ovvero pesce-pilota dello squalo, la balena, tartaruga e qualche volta, anche dugonghi e altri pinnipedi marini. Quei 30-110 cm di carangiforme attinopterigio, diffuso in quasi tutti i mari della Terra, sormontati dalla singola più eccezionale pinna che sia mai stata prodotta dall’evoluzione: piatta sulla testa, dalla forma circolare come quella di uno sturalavandini, ma segnata da una serie di lamelle controllate dal complesso sistema dei muscoli nascosti sotto-pelle. Capace di funzionare, tramite un simile approccio, come fosse una ventosa…

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