L’inviolabile fortezza che divenne un avamposto d’Africa sulla costa del subcontinente indiano

Doveva essere un personaggio dal contegno molto affascinante. Quando Piram Khan, nella sua migliore interpretazione di un mercante proveniente dalle terre dell’Africa Orientale, giunse in Deccam alle porte del forte in legno di Jazira, “l’Isola” verso la fine del XV secolo, si trovava alla testa di una flottiglia commerciale carica di merci e beni di natura estremamente preziosa. Così che il comandante della guarnigione, un rappresentante della casta agricola dei Koli di nome Raja Ram Rao Patil, non ebbe particolari esitazioni nell’accoglierlo ed acconsentire, come da risaputa usanza locale, a custodire i suoi moltissimi barili di vino entro le mura del castello, costruito in origine dai pescatori locali come formidabile contromisura contro i pirati della regione. In alcun modo egli avrebbe potuto intuire che il Siddi, un termine ad ombrello utilizzato per riferirsi all’epoca all’intera varietà di popoli provenienti dal continente bagnato dalla parte meridionale dell’Oceano Indiano, era in realtà giunto alle sue porte su mandato del sultano di Ahmednagar, sovrano nominale di queste terre, indispettito per il modo in cui la gente del distretto di Raigad aveva scelto d’ignorare la sua autorità suprema, dopo aver raggiunto un grado superiore di prosperità. Così al calare della sera, dopo il trascorrere di un tempo attentamente concordato, nei magazzini di Jazira gli uomini pesantemente armati di Piram Khan fecero la propria uscita silenziosa dai barili. E diffondendosi a macchia d’olio entro le mura del cruciale punto fortificato, sorpresero ed uccisero, o fecero prigionieri, l’intera moltitudine dei soldati momentaneamente ubriachi al servizio di Raja Ram Rao Patil. Questo fu l’inizio di una leggenda, sostanzialmente, nonché la genesi di una fortezza catturata per la prima ed ultima volta nel corso della propria lunga storia, essendo destinata da quel momento a rimanere del tutto invincibile nel corso dei successivi cinquecento anni di frequenti, agguerrite battaglie. Mentre quella che sarebbe diventata Murud-Janjira, letteralmente “l’Isola-Isola” con l’uso di una doppia terminologia dalla storpiatura del termine arabo e la parola equivalente in lingua Konkani si riconfermava, un secolo dopo l’altro di pari rilevanza strategica e perizia costruttiva inviolabile ai metodi d’assedio dell’Asia meridionale. Grazie anche ai metodi architettonici importati principalmente dall’Etiopia, per il tramite di schiavi liberati ed altre vittime dell’immigrazione forzata fino alle sponde del gremito, burrascoso subcontinente indiano.
Passata nella prima metà del XVI secolo sotto il comando del rinomato generale di origini Siddi e ministro dei sovrani islamici del Deccam, Malik Ambar, la fortezza venne dunque sottoposta ad un’ingente opera di rinnovamento e costruzione ulteriore, destinata a durare il periodo dei successivi 12 anni, da cui sarebbe uscita come un complesso dalle mura in pietra tra i più solidi mai visti dalle forze militari dell’intera regione. Dislocata in modo tale da colmare l’intera isola antistante a quello che sarebbe diventato il porto commerciale della piccola città di Murud, Janjira avrebbe in seguito ospitato l’intera discendenza dei sovrani della dinastia dei Siddi, poi ribattezzati Sarkhel o Nawab. Comandanti di una stirpe indomita, capace di respingere i ripetuti assalti delle fazioni Maratha, dei Portoghesi, gli Olandesi e i Britannici, potendo contare attraverso i risvolti della Storia unicamente sul supporto dei sultanati Mughal fautori della loro stessa religione islamica. Disposti, nell’imprescindibile realtà dei fatti, a lasciare ai Siddi l’indipendenza politica di cui si erano dimostrati dei guardiani tanto straordinariamente efficienti…

Oggi largamente in rovina fatta eccezione per le sue svettanti mura esterne, dimostratesi capaci di resistere alle incessanti onde di un Oceano indifferente, la fortezza si dimostra l’effettivo prodotto di una fugace epoca in cui la difesa di un presidio, con un adeguato numero di cannoni in posizione di vantaggio ed una collocazione geografica privilegiata, poteva risultare estremamente difficile da conquistare senza le tecniche del cosiddetto assedio scientifico di epoca rinascimentale, privo di applicazioni pratiche documentate in terra indiana. Dotato di ben tre pozzi di approvvigionamento d’acqua dolce all’interno del suo cortile, il complesso vantava inoltre molte uscite segrete con tunnel capaci di raggiungere segretamente la terra ferma, il che permise a più riprese ai difensori Siddi di sorprendere alle spalle le impreparate forze nemiche. In una posizione tale da trovarsi in conflitto con la marina commerciale portoghese, gli imbattuti africani erano stati alleati nel contempo di molte realtà politiche musulmane (inclusi gli Ottomani) fin dalla metà del XVI secolo, il che li avrebbe portati nel 1587 ad affrontare e sconfiggere una flotta europea a largo dello Yemen, ricevendo in cambio un sussidio di 400.000 rupie dall’Imperatore dei Mughal, Aurangzeb. Risorse che costoro avrebbero, negli anni successivi, investito con perizia estremamente significativa.
Come nel famoso assedio condotto nel 1682 dal comandante Sambhaji, inviato dai governanti Mahrata di Konkan, alla testa di 20.000 uomini ed un’impressionante quantità di oltre 50 navi da guerra. Che giunto al cospetto dell’Isola dovette immediatamente fare i conti con le oltre 500 bocche da fuoco che la guarnigione aveva acquisito nel corso delle ultime decadi, inclusi tre famosi e giganteschi cannoni ancora esposti a beneficio dei visitatori, Kalaal Baangadi, Chavri e Landa Kasam. Il che avrebbe portato Sambhaji, ben presto, all’intenzione di adottare una serie di stratagemmi, dapprima fingendo che il suo alleato Kondaji Farzand intendesse cambiare fazione alleandosi coi Siddi, avendogli effettivamente assegnato la missione segreta di far saltare in aria i magazzini di polvere da sparo del castello. E quando costui venne scoperto e giustiziato, egli tentò di costruire un passaggio per gli assedianti mediante l’uso di pietre e detriti fatti rotolare nella baia, un approccio destinato a dimostrarsi fallimentare e straordinariamente costoso in termini di vite umane. Finché dopo alcuni mesi di accesi combattimenti, le forze in attacco dovettero essere ben più che dimezzate, per l’avviso ricevuto delle scorribande compiute dai Mughal nell’intera regione di Konkan, che avrebbero portato alla conquista del forte di Kalyan. Tanto che in seguito, le fazioni dei Maratha si sarebbero accontentate di costruire i propri forti di confine oltre la sfera d’influenza dei Siddi, interrompendo ogni ulteriore tentativo di conquista di quei territori. Ormai uno stato indipendente de-facto, i Siddi di Janjira seppero resistere con pari efficacia ai tentativi d’incorporamento dei domini coloniali europei, anche dopo che i sultani loro alleati avevano capitolato da tempo. Furono effettivamente loro, nell’intero corso del XVIII secolo, a tenere a bada le occasionali ribellioni e la fiorente pirateria della zona costiera del Deccam, arrivando a sconfiggere avversari temibili come i capi della popolazione di Koli, che tentarono a più riprese di dichiararsi Thanedar (Re). Nel 1736, i Siddi respinsero ancora una volta un aggressore di matrice Maratha, il settimo imperatore Peshwa Baji Rao. Questa volta surclassati nei numeri, essi dovettero tuttavia ritirarsi entro le mura dell’inviolabile fortezza, perdendo molta della propria influenza e del territorio. Ciò detto, un assalto fu giudicato controproducente ed essi avrebbero continuato ad esistere, come entità politica indipendente, fino all’ottenimento dell’indipendenza indiana successivamente alla seconda guerra mondiale, con la ripartenza dei dominatori britannici e la formazione del Pakistan in posizione settentrionale.

Che schiavi liberati di etnia africana, avendo potuto beneficiare degli sconvolgimenti e le guerre religiose di un’epoca problematica, siano stati in grado di costruire un proprio regno lontano dai luoghi d’origine, salvaguardato dietro le mura di un presidio invincibile, è una casistica letteralmente priva di termini di paragone nel corso dell’intero estendersi delle alterne vicende umane. Ciononostante, in grado di chiarire quanto possa essere limitata la prospettiva degli ideali di destino manifesto o presupposta superiorità di eventuali mandati divini, discendenze genetiche o popoli predestinati alla grandezza. Giacché il corso della Storia è di concerto sottoposto all’influenza e i desideri delle moltitudini, così come all’intervento individuale di menti eccelse, carismatiche o dotate di capacità di aggregazione superiori alla media. Il cui palesarsi non è sempre prevedibile, sulla base molto limitata dei preconcetti acquisiti. E non ha certo alcuna origine inerentemente interconnessa al concetto di “razza”, che è ad ogni modo un costrutto meramente politico, del tutto scollegato al ruolo rivestito dai popoli nel grande vortice degli eventi vagamente predestinati.

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