L’uomo che aggirò per un secolo le regole del design, esaltando la verità primordiale della sfera

In uno dei fraintendimenti più improbabili dei tempi contemporanei, ricorre su Internet la presentazione di una serie di eccezionali fotografie. Automobili, camion, locomotive ed aerei dalle forme straordinariamente eclettiche, una serie di creazioni meccaniche degne di uscire dal repertorio di un disegnatore per il cinema di fantascienza. Qui un capolavoro alato con la grazia innata riconducibile a quella di un cigno, ma dotato di una serie impressionante di ugelli per i motori a razzo. Là un treno simile a un pesce siluro, concepito per rientrare su se stesso in caso d’incidente salvando la vita del conduttore. E che dire della motocicletta dotata di una carena talmente avvolgente, che il suo guidatore svanirà effettivamente all’interno…
Fotografie di prototipi, progetti e l’occasionale reperto prodotto in serie accompagnate, in maniera evitabile, dalla citazione del nome di colui che seppe immaginarli, Luigi Colani. “Ah, questi designer italiani!” Esclama allora immancabilmente qualcuno nella discussione: “Sempre i soliti anticonformisti, irragionevoli, bizzarri, curiosi, anomali, pluralisti, straordinari cercatori di peculiarità divergenti […]” Il che non tende a suscitare nella maggior parte dei lettori della penisola un certo senso di latente sorpresa. Come sarà mai possibile, in effetti, che un nostro connazionale di tal calibro non risulti essere maggiormente noto nel suo stesso paese? La risposta alla domanda è in realtà piuttosto semplice e trae l’origine dal fatto che l’individuo in questione, nonostante il suono del proprio nome e cognome, non è affatto italiano bensì tedesco. E discendente di curdi immigrati in Svizzera da parte di padre, polacchi da parte di madre. Il che se vogliamo costituisce anche l’introduzione al discorso da un’angolazione tanto corretta quanto insolita, divergendo dal classico elenco delle molte memorabili creazione realizzate nel corso di una lunga ed articolata carriera: la sua infanzia. Poiché Colani ha sempre amato raccontare, fino ai 91 anni della sua dipartita nell’anno 2019, del modo in cui aveva trascorso l’infanzia già imparando a saldare il metallo, intagliare il legno e plasmare l’argilla, dietro la singolare regola che avrebbe potuto avere qualsiasi giocattolo… Se soltanto si fosse premurato di costruirlo da solo. Così che entro gli otto anni di età, assieme ai suoi tre fratelli, era già titolare di un’incredibile collezione d’immaginifici veicoli idealmente capaci di muoversi attraverso i tre regni di cielo, acqua e terra. Una passione destinata a concretizzarsi ulteriormente a partire dall’anno 1946, quando dopo aver partecipato alla guerra come addetto all’artiglieria antiaerea nel Münsterland (Vestfalia) si iscrisse all’Università delle Belle Arti di Berlino, per studiare cultura e pittura. Esperienza quest’ultima destinata a dimostrarsi per lui drammaticamente insoddisfacente, come spesso avviene per coloro che hanno anteposto l’individuazione della propria visione d’artista all’incontro con i professori di materie creative. Per cui decise di trasferirsi e frequentare una scuola di progettazione aerodinamica di Parigi, lavorando in miniera per pagarsi le lezioni autonomamente. Un trampolino di lancio destinato ad influenzare l’intera parte rimanente della propria esistenza. Giacché già nel 1954 lo ritroviamo, all’età di soli 26 anni, che progetta notevoli ed estremamente funzionali carrozzerie per l’industria automobilistica…

Segue il periodo in un certo senso più “ragionevole” di questo personaggio importantissimo, ma non altrettanto conosciuto del Novecento. Colani lavora con la Simca francese, quindi Fiat, Alfa Romeo e Lancia. Collaborando nel frattempo con piccole carrozzerie private, realizza alcune delle sue vetture più memorabili, costruite con generoso impiego della fibra di vetro al fine di alleggerirle ed incrementarne il più possibile le prestazioni, nonché ridurne i consumi. Un sentiero creativo che l’avrebbe portato, molti anni dopo nel 1989, al celebre capolavoro della Ferrari Testa d’Oro, una Testarossa 512 TR alterata in termini aerodinamici e potenziata a ben 750 cavalli, con il fine specifico di superare ogni record di velocità sulle pianure saline di Bonneville nello Utah. Registrando un record di 350 Km/h destinato a rimanere imbattuto per le auto omologate guidabili su strada fino al 1993, con l’introduzione della McLaren F1. Questo perché l’autore che costituiva, come già dato ampiamente ad intendere, una figura versatile e poliedrica almeno quanto l’Italiano più famoso del Rinascimento, il Sig. Colani aveva nel frattempo spostato il tiro e il punto cardine del proprio interesse, lavorando nel campo del design industriale di elettrodomestici, elettronica e computer per uso personale. Figura facoltosa ed affermata, già proprietario di un suo castello, la residenza Harkotten in Vestfalia, egli raduna quindi a se una vastas equipe di giovani talenti, assieme ai quali accende letteralmente le fornaci di una creatività impossibile da contenere. Tra il 1972 e l’81, questo sito diviene un letterale luogo di pellegrinaggio per le industrie del consumo, da cui esse ritornano sempre con qualcosa di straordinariamente notevole e mai visto prima: biciclette, pianoforti ultraleggeri, penne stilografiche, bicchieri… Mentre nel frattempo, il maestro elabora alcune delle sue idee più irrealizzabili nel loro estremo livello d’ambizione. Di questi anni è il Megalodonte, un aereo concepito nelle sue forme per imitare il grande predatore prestorico, idealmente capace di trasportare ben 4.000 passeggeri su quattro ponti. La cui “riduzione” in termini, se così possiamo chiamarla, viene successivamente proposta alla NASA nel 1977, con un mostro da 1.000 passeggeri spinto da quattro mega-motori Kuznetsov per un totale di 45.000 cavalli. Famosa anche la sua esperienza in Giappone a partire dall’anno 1982, durante cui progettò tra le altre cose la scocca della macchina fotografica Canon T90, destinata a diventare un caposaldo della compagnia. Anni dopo, allo scoppio della Guerra del Golfo Colani avrebbe invece proposto una maniera alquanto insolita per contrastare la crisi petrolifera: costruire navi trasportatrici di greggio capaci d’immergersi come un sommergibile, riuscendo in questo modo a sfuggire agli incrociatori nemici.

La sua ispirazione principale fu sempre la natura, giungendo a corroborare uno stile che è stato a più riprese definito come biomimetico. Molte dei veicoli disegnati assomigliano effettivamente a pesci, uccelli, bizzarre creature aliene. All’apice di un’epoca del design veicolare definita convenzionalmente come quella delle “automobili a cuneo”, spigolose ed aggressive, Colani amava citare Galileo Galilei e la suprema verità delle sfere celesti “Tutti i corpi sono tondi e si muovono in orbite tonde. Perché dunque dovrei ricercare l’estetica di alcunché di angolare?” Lungi dall’essere un filosofo Zen pacifico ed accomodante, tuttavia, il genio tedesco era spesso poco tollerante nei confronti di chi non la pensava come lui, discutendo notoriamente coi propri clienti e parlando in termini poco piacevoli della concorrenza. Qualcuno avrebbe potuto affermare, tuttavia, che poteva permetterselo. A patti che fosse legittimo per chicchessia…

Negli anni della maturità professionale, il baffuto inventore allarga dunque ulteriormente la portata dei suoi interessi. Professore altamente stimato in diverse università giapponesi, convivente con una donna di nome Ya-Zhen Zhao e padre di due figli, istituisce una collaborazione con il governo cinese per la costruzione di quello che avrebbe dovuto costituire, idealmente, il suo lascito imperituro a beneficio della civiltà umana: si tratta della Città Ideale Eco City (o Bio City). Trasformatosi per l’occasione in architetto urbanista egli definisce quindi uno straordinario centro di ricerca scientifico abitabile idealmente da 50.000 menti eccelse, da costruire su un’isola del delta dello Yangtze all’inizio degli anni Duemila, non troppo lontano da Shanghai. La cui forma improbabile riprende quella di una persona coricata a terra, i cui polmoni dovranno ospitare appropriatamente gli orti idroponici responsabili di nutrire e purificare l’aria, mentre le arterie saranno strade per collegare i diversi quartieri e le zone abitative. Più simile a una colonia spaziale che a qualcosa di effettivamente realizzabile, questo monumento all’incredibile non verrà tuttavia mai costruito poiché, nelle parole dello stesso Colani: “I cinesi avevano già deciso le loro priorità.” Un’espressione interpretabile in varie maniere, non tutte egualmente lusinghiere.
Ma chi avrebbe mai potuto concedersi il lusso di limitare la visione di colui che sognava, non senza una base chiaramente tangibile, di poter cambiare in meglio il destino dell’intera specie umana?
Colani avrebbe affermato nel 2008: “In un metro quadrato di giardino troverete tutto il mondo dell’alta tecnologia, dei meccanismi più complessi, della meccatronica, della fibra di carbonio. Osservate i corpi cavi delle pannocchie e dei tuberi: queste sono le tecniche di costruzione ed imballaggio migliori al mondo!” Magari tra cento anni i fatti del mondo post-globalizzazione inizieranno a dargli inconfutabilmente ragione. O magari ce ne vorranno 1.000 o 10.000. Tutto il miglior design, per sua natura implicita, preferisce tendere all’Infinito.

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