Placando antiche differenze: venne prima l’orsacchiotto, o il presidente americano?

L’imponente figura storica del 26° Presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt, viene spesso riassunta con la celebre espressione di “Politica del grande bastone” nata da un ipotetico proverbio africano (in realtà inventato di sana pianta) secondo cui per farsi rispettare sulla scena internazionale, occorresse sempre presentarsi come pronti all’azione militare. Ci fu tuttavia un caso particolarmente insolito poco dopo l’accesso al suo primo mandato nel 1901, a seguito dell’assassino del predecessore William McKinley, in cui il più progressista leader nella storia del partito Repubblicano si trovo effettivamente al cospetto di uomini armati di pesanti clave. E di fronte alla loro incitazione alla violenza, abbassò la propria arma, pronunciando un’espressione di misericordia destinata ad entrare nella leggenda. Non è generalmente discussa molto spesso, fuori dal suo paese d’origine, una strana corrispondenza tra il soprannome (a suo tempo deprecato) di questo capo di stato e l’appellativo tipicamente riferito ad uno dei giocattoli più popolari di tutti i tempi: il classico pupazzo di peluche, ispirato ad un cucciolo di orso, ancora oggi portato spesso a letto da bambini e bambine di tutto il mondo. Non a caso detto Teddy bear, con un riferimento a un soprannome che il diretto interessato odiava (almeno inizialmente) e una parabola che avrebbe potuto trovar posto, a pieno titolo, nelle vicende di un saggio governante del Mondo Antico. Il carismatico, eloquente, spesso incontenibile Roosevelt era infatti noto anche per il suo hobby preferito: quello di andare a caccia, ogni qual volta se ne presentasse l’opportunità, di animali grandi e impressionanti in base alla metrica dei suoi tempi. Tanto che in un fatidico 15 novembre del 1902, accantonati temporaneamente gli impegni presidenziali, partì per lo stato del Mississippi per fare un’esperienza particolarmente significativa: trovare, e naturalmente uccidere, un vero esemplare di orso bruno nordamericano. Impresa ragionevolmente semplice in teoria, soprattutto quando la propria guida fosse niente meno che Holt Collier, l’afro-americano cercatore di tracce ed ex-cavallerizzo dell’Unione ai tempi della guerra civile, famoso per aver ucciso oltre 3.000 plantigradi al sopraggiungere del suo pensionamento. Ancorché giornate sfortunate possano anche capitare, così che la vittima selvaggia, in questo caso, non sembrava palesarsi in alcuna maniera. Almeno finché sul finire del pomeriggio, uno dei cani della muta venne aggredito da un vecchio esemplare, presto circondato e stordito a bastonate dai cacciatori, finché lo stesso Holt non intervenne per legarlo a un’imponente albero di salice con corde particolarmente resistenti. Segue dunque nell’aneddoto, questa scena potentemente drammatica, di Roosevelt che raggiunge la radura con i mazzuolatori al seguito, il proprio fucile di grosso calibro appoggiato stancamente sulla spalla. E con un’espressione disgustata pronuncia parole destinate ad essere riportate con spropositato orgoglio da buona parte dei quotidiani nordamericani coévi: “In qualità di cacciatore ho ucciso bestie in molti luoghi e circostanze. Ma se ora dovessi sparare a questo povero animale, non potrei certo definirmi un vincitore. Fate finire le sue sofferenze ed andiamocene tutti a casa.”
Ciò che egli non sapeva, tuttavia, era come un tale gesto fosse destinato a portare un cambiamento storico nel modo universalmente utilizzato per calmare ed allietare i bambini…

Come ogni cosa nuova ed interessante, l’orsacchiotto venne inizialmente criticato da diversi sostenitori delle “buone vecchie tradizioni di una volta”. Vedi il caso del reverendo del Michigan Michael G. Esper, pronto a giurare nel 1907 che giocare con orsi di pezza al posto delle bambole avrebbe diseducato le bambine a mettere al mondo figli. Psicologia spicciola… (e surrealista)

Caso volle infatti che il celebrato frangente venisse ritratto in più occasioni dal vignettista del Washington Post, Clifford K. Berryman. Dapprima in modo realistico, con intenti trasversali di un offrire un qualche tipo di commento politico, ma ad ogni iterazione successiva sempre più ironia e surrealismo. Fino alla versione più famosa, con un Roosevelt dalle proporzioni disneyane che “risparmia” il feroce carnivoro al guinzaglio, trasformato per l’occasione in un animaletto dall’aspetto grazioso e il volto quasi umano. Ora trovandoci all’inizio del XX secolo, non è probabile che per la maggior parte delle figure coinvolte figurasse al centro dei pensieri la questione del merchandising. Ma almeno qualcuno, all’epoca, ebbe la capacità d’individuare un forte potenziale di guadagno ed il suo nome era Morris Michtom, di giorno venditore di caramelle in un negozio di Brooklyn. La notte, inventore e fabbricante di giocattoli assieme alla moglie, cui fece cucire e costruire una fedele riproduzione della creatura boschiva del momento, che espose in via sperimentale all’interno della sua vetrina. Per un tempo molto breve, più e più volte, poiché “l’orsetto di Teddy”, come l’aveva chiamato, andava letteralmente a ruba con grandi e piccini. E proprio questo fu l’inizio di un nuovo capitolo della sua vita, con tanto di fondazione di una compagnia di produzione di giocattoli, la Ideal Company destinata a sopravvivergli un buon paio di generazioni. Ma anche di una fondamentale e irrisolvibile diatriba. Poiché caso vuole (e forse non soltanto quello) che pressoché allo stesso tempo all’altro lato dell’Atlantico il nipote di una celebre sarta ed industriale del Baden-Württemberg avesse costruito più o meno la stessa, identica cosa. La loro Steiff Company in effetti, fondata più di tre decadi prima dalla matriarca sopravvissuta alla polio e parzialmente invalida Margarete S., aveva riscosso un successo senza precedenti con la commercializzazione di un nuovo tipo di giocattoli, non più rigidi e spigolosi come soldatini, bambole di porcellana o personaggi fusi con lo stagno. Bensì fabbricati con la stoffa ed imbottiti a dovere, come i puntaspilli a forma di elefante da cui avevano, si dice, tratto la loro origine. Dal che l’idea del suo erede professionale Richard S, per la creazione del prodotto destinato a entrare negli annali del 55 PB (Plush-Beweglich, ovvero snodato grazie a un sofisticato meccanismo, con il numero finalizzato ad indicarne l’altezza) un pupazzo che non ebbe, almeno da principio, il successo sperato. Fino a che, così si narra, il rappresentante dell’ufficio acquisti dei grandi magazzini americani Borfeldt, un tale Hermann Berg, non si trovò al cospetto dello stand degli Steiff ad una fiera del giocattolo di Lipsia. Quando intravedendo l’opportunità di un business d’eccezione, ordinò 3.000 orsi per il mercato del suo paese. Il che non chiarisce, esattamente, per quale ragione gli innovativi oggetti avrebbero dovuto cominciare ad essere chiamati “Teddy’s” bear

Molti orsacchiotti della Steiff sono oggi oggetti da collezione dal valore estremamente significativo, inclusa la scomparsa prima tiratura dei primi 3.000 “55 PB”, che secondo una leggenda metropolitana sarebbero finiti tutti in mare a causa di un naufragio. Mentre la realtà dei fatti è che furono probabilmente troppo delicati, ed amati dai loro giovani proprietari, per riuscire a sopravvivere fino ai nostri giorni.

Ed è qui che la grande e affascinante macchina degli aneddoti entra, nuovamente, in funzione. Giacché narrano fonti primariamente tedesche, che un diplomatico statunitense precedentemente in visita presso il museo della Steiff nel paese di Giengen an der Brenz, si fosse di ritorno a Washington trovato improvvisamente invitato ad una cena alla Casa Bianca. E non avendo nulla di pronto niente da portare in dono a Roosevelt, avesse perciò deciso di omaggiare la figlia con il singolare souvenir acquistato nella suddetta occasione, un genuino orsacchiotto del modello 55 PB. Piaciuto tanto alla bambina da decidere di attribuirgli il soprannome paterno destinato a rimanere negli annali, aprendo inconsapevolmente la strada ai peluche del tutto simili destinati a diventare poi mascotte presidenziali, durante la riuscita campagna di rielezione nel 1904.
Parabola dell’imprenditoria e il capitalismo “benevolo” che colpì senz’altro la fantasia di Theodore Roosevelt, l’arcinoto e inveterato nemico dei monopoli e i freni pubblici alla libera creatività d’impresa, il concetto dell’orsacchiotto sussiste ad oggi dunque in una situazione simile a quella del proverbiale uovo e della gallina. Mentre sfuma nella nebbia della storia l’effettiva possibilità di chi sia stato il primo, effettivamente, a concepirlo. Tedesco o americano? Cacciatore o preda? Magari la realtà dei fatti è contenuta all’interno di un bastone senza evidenti particolarità esteriori. Dentro un sala sotterranea del museo Smithsonian, assieme al prototipico “primo orso di pezza” nella storia del Novecento. Il loro valore, soprattutto l’uno accanto all’altro: inestimabile.

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