Un laser contro il magma, per anticipare il drastico risveglio dei vulcani

Ha fatto notizia, più volte nel corso degli ultimi anni, il percorso di approfondimento compiuto dalla vulcanologa dell’Università del Queensland Teresa Ubide Garralda, studiosa incline a investire i propri sforzi nella ricerca del sistema, lungamente giudicato una chimera, per riuscire in qualche modo a prevedere l’insorgenza e le modalità di un’eruzione vulcanica. E con ottime ragioni, vista la quantità d’insediamenti umani nati attraverso i secoli e millenni sotto le pendici di quel tipo di massicci montuose, pericolose valvole di sfogo dell’implacabile mare di fuoco che scorre sotto i nostri piedi. Un tipo di approfondimento scientifico, quest’ultimo, che prende vita dallo studio di fenomeni del tutto naturali e proprio per questo, dipendente dall’incontrollabile verificarsi dell’ennesimo potenziale disastro mai annunciato. Così nel 2018, lavorando sulle pendici dell’Etna, ella ebbe l’occasione di raggiungere un più elevato livello di comprensione dell’attività magmatica mediante l’osservazione approfondita dei minuscoli cristalli o microcrysts contenuti nel magma siliceo, destinato a scorrere sulle pendici una volta liberato nell’atmosfera il gas che l’ha portato ad emergere in superficie. E di nuovo ad osservare, all’inizio di quest’anno, il comportamento e la composizione del melt (roccia semi-liquida) fatta scaturire dal pericoloso vulcano neozelandese Taranaki, una possibile nuova strada di approfondimento verso l’acquisizione di dati storici in merito al comportamento di un tale sito, luogo di una potenziale catastrofe pliniana degli anni a venire. Il che ci porta alla svolta di questo particolare sentiero della conoscenza, compiuta in tempo per la pubblicazione soltanto nella scorsa settimana della nuova prospettiva ottenuta durante il periodo di disastrosa attività effusiva del Cumbre Vieja nelle isole Canarie, durata 85 giorni tra il 19 settembre e il 13 dicembre del 2021, consistente in copiose colate laviche capaci di causare danni a 1.000 ettari dell’isola di La Palma e con essi 3.000 edifici costruiti dall’uomo. Benché offrendo l’opportunità, per la sua progressione relativamente lenta, di evacuare la popolazione finendo per costare la vita solamente ad un singolo, sfortunato individuo. Un’opportunità particolarmente rara d’altra parte, in funzione della sua lunga durata, per comprendere l’evoluzione di questi fenomeni nel tempo ed impiegare nuovi approcci utili a comprenderne i segni rivelatori. Come ampiamente delineato nello studio della Dott.ssa Ubide assieme alla sua equipe internazionale, che in questo frangente ha scelto di mettere in campo un nuovo tipo di strumento nella guerra conoscitiva delle scienze applicate al più temuto dei disastri provenienti dalle remote profondità terrestri. Niente meno che la luce stessa, concentrata grazie a un fascio di fotoni dritta verso il punto e nesso principale della problematica di rilievo…

Sopra: la raccolta della lava è una procedura complessa che richiede l’impiego di indumenti protettivi e la cautela di avvicinarsi rigorosamente controvento. Considerate, a tal proposito, che la pietra si solidifica a circa 1.000-1.100 gradi Celius.

La catastrofe apocalittica di La Palma, nonostante la sua spettacolarità, ha ricevuto una copertura relativamente limitata nei telegiornali del 2021. La ragione è presto detta: la maggioranza di persone vivono lontano da un vulcano. E considerano tali disastri poco rilevanti nella propria vita di tutti i giorni.

Il termine tecnico, oggettivamente piuttosto lungo, per l’innovativo metodo è quello di “spettrometria quadrupla di massa tramite ablazione laser al plasma accoppiata induttivamente” una sequenza di parole non particolarmente facile da decifrare (o tradurre) ma che può essere spiegata in modo sorprendentemente accessibile. Poiché consistente, in parole povere, nell’utilizzo di un sistema simile a quello utilizzato per la correzione della vista tramite resezione del cristallino umano al fine di ridurre il contenuto dei sopra citati microcrysts all’interno del melt lavico, così da guadagnare un’effettiva prospettiva rivelatoria. “Immaginate di voler approfondire l’effettiva composizione del cioccolato con granella di nocciole o altri simili ripieni croccanti.” Ha spiegato la stessa Ubide per la testata scientifica online Science Alert: “La prima cosa che vorreste fare, è togliere artificialmente il contenuto estraneo, giusto?” Ed è proprio questo il presupposto di partenza della procedura impiegata, coronamento dell’idea già prospettata in base alla quale i cristalli microscopici contenuti nel flusso potrebbero effettivamente agire come una sorta di “filtro” a profondità ancora distanti, rimuovendo determinati componenti chimici dall’insieme e rendendo sorprendentemente simili i processi dimostrati da vulcani situati anche agli antipodi in base alle nostre mappe di questo pericolo fiammeggiante. Ragion per cui, una volta tolti i corpi diventati estranei e trasportati fino in superficie dall’alta pressione della camera magmatica, la scienziata ha ritenuto questa volta di poter trovare informazioni dentro l’ingrediente principale di questa “pietanza” altamente indesiderabile, mentre ancora fuoriusciva fino alla cifra impressionante 160 milioni di metri cubici sulle pendici del Cumbre Vieja. Con quali conclusioni utili, non è del tutto facile comprenderlo. Anche perché la mole di dati raccolti non è comunque ancora sufficiente all’elaborazione di una teoria statistica approfondita, benché le nozioni precedentemente insospettate emerse siano risultate a tutti gli effetti trasformative. Tra cui un significativo calo del contenuto di silicati a partire dalla fine di settembre, oltre alla concentrazione notevole di clinopyroxeni e nuclei dei fenocristalli di apatite e titanite, che gli autori dello studio ipotizzano essere caratteristici di attività di tipo effusivo conformi a quelle dimostrate nel caso dell’isola di La Palma. Per poi constatare a supporto del quadro generale, intorno al mese di novembre, una ricarica dell’attività mafica incompatibile con il frazionamento del melt, corrispondente ad una riduzione del flusso e progressivo concludersi dell’eruzione. “Se potessimo aprire un cono vulcanico come una casa delle bambole, esso non avrebbe per noi più alcun segreto. Lo studio della composizione del magma è la maniera in cui possiamo avvicinarci maggiormente ad un tale impossibile, desiderabile incremento delle nostre metodologie per comprenderne i comportamenti.”

Imprevedibili come i terremoti, le eruzioni vulcaniche costituiscono uno degli ultimi problemi irrisolti nella sicurezza del vivere civilizzato. A proposito di cui, come possiamo facilmente desumere dagli studi pregressi, non esistono soluzioni semplici. Bensì molti possibili, paralleli margini di miglioramento.

Il che non dovrebbe, nella solita maniera sensazionalistica delle testate online, accendere false speranze in merito alla possibilità di mettere in salvo dalla pericolosa roccia fusa o eventuali esplosioni catastrofiche una quantità maggiore di vite o proprietà materiali facenti parte della dotazione comunitaria. La stessa portavoce ed autrice principale del discorso evita, a tal proposito, d’includere una sezione “conclusioni” nel proprio articolo in quanto mancano effettive metodologie d’applicazione di quanto scoperto a vantaggio di specifiche metodologie su larga scala, che potrebbero un giorno essere impiegate nei diversi punti critici del pianeta. Il che richiederebbe, in linea di principio, l’addestramento di numerose squadre specializzate incaricate di raccogliere ad intervalli regolari quantità di magma, da sottoporre all’energia del laser in laboratorio. Un’ipotesi dispendiosa e non particolarmente semplice da implementare. Nonché fondamento di un’acquisizione di sicurezza ulteriore, per le centinaia di migliaia di persone che vivono a portata della furia del dio Efesto. Che quando si sveglia non è solito mantenere un occhio di riguardo nei confronti di chicchessia. Neppure chi è solito venerarlo all’interno di ancestrali templi, ormai presenti soltanto negli occulti dedali della mente umana.

Vedi anche: link allo studio scientifico di Teresa Ubide, pubblicato sulla rivista Science Advances

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