La ricerca della salvezza che alberga nel cuore artificiale della montagna

Chi sia stato e cosa abbia fatto Leonard Knight nel corso della propria laboriosa esistenza può essere compreso, ritengo, da chiunque visiti l’ingombrante conseguenza del sudore della sua fronte. A poca distanza da Slab City, nella parte meridionale della California, una sagoma ineguale si erge dalla linea dell’orizzonte: pendici scoscese, pareti digradanti ed almeno un picco aguzzo, dalla cima del quale spunta un’alta croce latina. Proprio come quella, in genere, posizionata nel punto più alto delle montagne. Ma è soltanto avvicinandosi abbastanza, o in una giornata di aria tersa ed assolutamente trasparente, che la caratteristica predominante di un simile rilievo inizia a emergere dinnanzi agli occhi di colui o colei che guarda: colori, straordinariamente variopinti, attentamente disposti al fine di restituire un’impressione predominante. Quella di un ambiente visionario, come vengono definite simili installazioni in gergo artistico, con fiumi, strade e fiori a profusione. Intervallati dalle diciture a lettere piuttosto cubitali che inneggiano al nome del Padre, dello Spirito e del Figlio, ricordando il sacrificio di quest’ultimo e l’amore universale nei confronti del supremo Creatore d’ogni cosa. Il tutto accompagnato da stralci della Bibbia e accenni alla preghiera del peccatore, uno dei dogmi più importanti della corrente evangelica del Cristianesimo americano. Nessuno avrebbe potuto dubitare, d’altra parte, che l’artista e costruttore Leonard Knight fosse stato una figura profondamente religiosa, nonostante il tragitto insolito della sua vita l’avesse portato a trascorrerne gli ultimi 20 anni all’interno di una comunità hippie nel bel mezzo del deserto, costruita sulla lastre (slabs) abbandonate dopo il trasferimento di di una delle più antiche basi militari statunitense. Un luogo di solidarietà reciproca e spensieratezza, ma anche droghe non soltanto leggere ed un certo sostrato di deviazione rispetto a quella che potremmo definire via maestra per il Paradiso. Eppure mai nessuno, tra gli abitanti del posto, sembrerebbe aver messo in discussione il diritto di questo insolito pilastro della comunità a costruire l’edificio barcollante della Salvation Mountain, chiamata dal Congresso nel 2001 “Una delle principali opere d’arte popolari della Nazione” dopo aver trovato posto nelle cognizioni comuni grazie all’inclusione in un certo numero di trattazioni televisive e video musicali. Un traguardo tra i più meritevoli dei nostri giorni: quello di aver fatto breccia con la propria opera oltre i confini della semplice curiosità, entrando a far parte a pieno titolo della cultura post-moderna…

Interessato ad accogliere chiunque tra le sue mura, Knight non ha mai posseduto una visione inflessibile della religione e tutto ciò che comporta. Adottando, in tal senso, la fondamentale morale a fondamento di comunità come quella di Slab City.

La nascita teorica di Salvation Mountain viene generalmente fatta risalire agli anni ’70 quando Knight, veterano “per il rotto della cuffia” della guerra in Corea (il conflitto finì 10 giorni dopo che era stato inviato al fronte) ebbe l’improvvisa ispirazione di fermarsi a lato della strada con la sua automobile nel bel mezzo del deserto californiano. Evento a seguito del quale, all’improvviso, si mise a pregare intensamente e pronunciare molte volte il nome di Gesù, fino al punto di decidere che avrebbe scritto della sua esperienza su una mongolfiera, recante l’affermazione a lettere cubitali “Dio è amore” assieme ad altre simili sulla sacca invertita del suo corpo principale. Se non che il suo semplice progetto basato su stoffe cucite assieme ed una stufa da campeggio si rivelò ben presto inefficiente, portandolo alla scelta di un sentiero alternativo: la costruzione di un “piccolo” memoriale al confine esterno di Slab City, con terra, argilla e pezzi di automobili, pitturato con galloni di vernice per esprimere la sua fondamentale idea di partenza. Se non che lasciandosi prendere la mano, mentre viveva nel suo camioncino in mezzo al nulla, Knight continuò ad aggiungere e far crescere l’enorme monumento, fino alla dimensione di un vero e proprio edificio ricoperto di cuori, scritte e immagini figurative del supremo splendore del Creato. Nel 1989, quindi, il disastro: un’intera sezione di quella che i locali avevano iniziato a chiamare Montagna della Salvezza, indebolita dalle significative piogge, si piegò sotto il suo stesso peso, franando e portandosi via una buona parte del resto. Lungi dal perdersi d’animo, l’autore pensò allora che Dio in persona gli avesse mandato un segnale, istruendolo di costruire in modo più solido e duraturo. Perciò iniziando nuovamente da capo, e potendo fare affidamento questa volta sull’amico più giovane Bill Ammon soprannominato “Builder Bill”, Knight prese ispirazione dai metodi architettonici della vicina comunità Navajo, edificando le sue nuove vette fino all’altezza equivalente di tre piani e tramite l’impiego di resistenti mattoni di adobo e paglia. In aggiunta a questo, accanto al massiccio montuoso, costruì una nuova struttura che lui era solito chiamare il “museo”, una sorta di cupola all’interno della quale i visitatori ed amici erano invitati a lasciare un qualche tipo di oggetto al fine di testimoniare il proprio passaggio. Diventato ormai celebre in tutta la California ed anche al di là di essa, Knight era solito accettare ancor più di buon grado le ingenti quantità di vernice, necessarie a preservare e restaurare continuamente il lavoro ultimato fino a quel momento. Dei tardi anni ’90 e primi 2000 sono le interviste più affascinanti a questo personaggio molto più che eccentrico, durante le quali del tutto indifferente agli anni che gli pesano sulle spalle parla con invidiabile entusiasmo dei suoi progetti presenti e futuri per la montagna, oltre a difendersi dalle accuse, successivamente rivelatosi infondate, che avesse impiegato per decorarla sostanze potenzialmente tossiche e capaci di avvelenare le preziose falde acquifere ad Est del grande lago noto come Salton Sea.

La “Strada di mattoni gialli” è l’unico sentiero permesso fino alla sommità della vetta principale, come ci spiega l’attuale custode principale Ron Malinowski. Così come molti altri, un domani, seguiranno il suo esempio…

Quello che invero può costituire il suo lascito più duraturo non è tanto la struttura in se, logicamente incapace di sopravvivere senza una continua e significativa manutenzione, ma la stima imperitura dei suoi concittadini al punto da portare alla costituzione di un comitato pochi mesi dopo la sua dipartita, con mansioni specifiche dedicate al mantenimento invariato della Salvation Mountain e tutto quello che idealmente può rappresentare, per l’America ed il mondo, tra i travagliati risvolti del periodo storico che stiamo vivendo. Sebbene sia difficile, per moltissime ragioni, immaginare un domani stabile per la comunità naturalmente effimera di Slab City, la cui popolazione stagionale fluttua fino ai 4.000 abitanti nel corso del più temperato periodo invernale, non è irragionevole pensare che i più fedeli e determinati, almeno per la prossima generazione continueranno a vivere negli immediati dintorni della montagna, salvandola e riuscendo conseguentemente a salvare anche se stessi. Come già fatto prima che l’uomo al centro di tutto questo, ormai più che ottantenne dovesse trasferirsi nel 2011 presso una vicina casa di riposo per anziani, continuando nonostante ciò a visitare la montagna fino al momento del suo decesso, sopraggiunto esattamente 3 anni dopo. Nella comprovata ed apprezzabile consapevolezza di aver costruito un qualcosa che, nonostante tutto, sarebbe sopravvissuto al termine della propria esistenza. Più di quanto molti di noi potranno affermare, trovandoci di fronte all’auspicabile apertura delle porte del Paradiso…

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