La lunga e acuminata ricerca di un sistema per distruggere il sottomarino nemico

Il tono monotono del sonar risuonava nella cabina parzialmente oscurata, nell’estremo tentativo di risparmiare le batterie. L’equipaggio tratteneva dolorosamente il fiato, mentre l’ufficiale addetto al rilevamento osservava l’indicatore elettrico, con le mani ben salde sulle sofisticate cuffie prodotte in Germania. Il sommergibile giapponese RO-105 procedeva innanzi ad un ritmo lento ma regolare, tentando laboriosamente di avvicinarsi alla prua del cacciatorpediniere americano, dove sarebbe risultato invisibile il tempo necessario a poter tentare un attacco capace di capovolgere finalmente la situazione. Con una lieve esalazione del suo respiro, il capitano Ryonosuke si guardò attorno, tentando di giudicare il morale del suo equipaggio: ormai da un giorno, una notte ed un giorno di quel drammatico maggio 1944 era diventato ormai evidente come l’operazione A-Go, concepita dal comando centrale per bloccare i rinforzi statunitensi navali in arrivo presso le isole dell’Ammiragliato e la Nuova Guinea, stesse andando incontro ad un drammatico fallimento. Senza più ricevere comunicazioni dagli altri sommergibili del suo gruppo di fuoco e una volta ricaricati per quanto possibili i suoi motori elettrici, il RO-105 si era quindi immerso, per quello che avrebbe probabilmente costituito il suo ultimo sacrificio nel nome dell’Imperatore. A quel punto i loro numerosi nemici, nel tentativo di affondarli, avevano accecato loro stessi; mentre sotto il suo esperto comando, ogni volta il battello riusciva a sfuggire durante le alterazioni del sottofondo sonoro dovute al rilascio fallimentare delle grosse bombe di profondità usate con relativo successo nell’Oceano Atlantico, ma ancor più cacofoniche nei complessi gradienti idrici e i sistemi di correnti del vasto mare d’Oriente. Ora, perfettamente consapevoli di dove si trovasse il nemico, erano stanchi di fuggire. Mentre lo scafo di quella che sarebbe passata alla storia come USS England (se mai un ossimoro…) sembrava fermamente intenzionata a puntare dritta su di loro, offrendo l’occasione perfetta per contrattaccare una volta schivato, per l’ennesima volta, lo sciame d’esplosioni subacquee a rilascio controllato. Eppure, sembrava esserci qualcosa di diverso nelle sue manovre, come se cercasse intenzionalmente di venire incontro al RO-105. E in quel momento, improvvisamente, Ryonosuke si accorse di avere un terribile presentimento sull’immediato corso del suo futuro…
Riuscite ad immaginare niente di peggio? Il mare che esplode attorno a voi, rinchiusi all’interno di una scatola di metallo, mentre qualcosa d’enorme ed incredibilmente determinato tenta di triangolare la vostra posizione, continuando a scaricare ordigni concepiti espressamente per infliggere danni allo scafo, mediante l’onda d’urto generata dall’ondata idrostatica. Uno scenario capace, tuttavia, di offrire un largo preavviso e diverse opportunità di fuga. Laddove l’ipotesi certamente peggiore, dal punto di vista dell’equipaggio, sarebbe un qualcosa di ben più subdolo e silenzioso. Capace di dettare il sopraggiungimento dell’ora finale in modo drastico e repentino, senza nessuna possibilità di appello. Una conclusione, questa, a cui giunsero famosamente i cervelloni del Dipartimento dello Sviluppo delle Armi Miscellanee a Whitehall, Londra (alias Wheezers & Dogers o “la scatola dei giocattoli di Churchill”) quando verso la fine del 1941 giunsero a poter montare sulla HMS Westcott un prototipo della loro ultima invenzione, concepita come approccio totalmente alternativo alla metodologia migliore per mettere letteralmente a tacere i marinai del Servizio Silenzioso. E c’era molto di dirompente, nonché prono a suscitare un certo livello di dubbio nei suoi futuri utilizzatori, nel sistema di mortai multipli denominato Hedehog (“Porcospino”) con un riferimento alla versione nordamericana di tale animale, più grande ed incline a “scagliare” i suoi aculei all’indirizzo degli eventuali aggressori carnivori tra le siepi della foresta. Ma anche il potenziale seme capace di rivoluzionare cosa fosse effettivamente possibile realizzare, nelle più terribili circostanze, quando le orribili regole della guerra allargavano a due interi equipaggi la spietata risoluzione alternativa possibile tra Noi, o Loro.

L’interpretazione più moderna del sistema americano Hedehog può essere individuata nel lanciarazzi navale russo RBU-6000, tutt’ora in uso presso un certo numero di marine militari della Terra. Un’apparato capace di scagliare 12 colpi a una distanza di fino a 1,7 Km, individualmente dotati nella loro accezione contemporanea di un sistema di guida acquatico per l’individuazione e l’inseguimento del sottomarino bersaglio.

Nella sua concezione più basilare, un Hedehog non è altro che un sistema di 24 mortai a spigot (“tappo” o “rubinetto”) montati in parallelo sul castello della nave, capaci di scagliare i propri proiettili in un largo ventaglio a una distanza di 200-259 metri. Munizioni dalla forma di un macinapepe concepite, nello specifico, in maniera notevolmente diversa dalla tipica carica di profondità. In quanto dotate non più di un detonatore a tempo bensì la capacità di far esplodere unicamente a contatto la propria carica di appena 16 Kg, nella difficile ma tutt’altro che impossibile ipotesi di riuscire a centrare il sommergibile nemico. Gli effetti di una simile soluzione, dunque, furono significativi: finalmente in grado di attaccare il nemico prima che questo si avvicinasse abbastanza da scomparire sullo schermo del sonar, le cacciatorpediniere guadagnavano un vantaggio significativo sui sommergibili. Inoltre nel caso di un colpo mancato, non ci sarebbe stata semplicemente nessun tipo d’esplosione, permettendo di continuare senza interruzioni di sorta il laborioso tentativo di rintracciare il pericolo sommerso. Proprio quest’ultima caratteristica, tuttavia, ritardò l’impiego su larga scala del sistema d’arma: i capitani e gli equipaggi delle navi, per la prima volta dolorosamente certi di un colpo andato a vuoto, nonché dell’incapacità di quest’ultimo d’arrecare danno al morale del nemico, continuarono a preferirgli il tuono rassicurante delle bombe di profondità, almeno finché il comando centrale inglese, e successivamente quello americano, non iniziarono a richiedere espresse giustificazioni agli ufficiali ogni qual volta il Porcospino avesse mancato di trovare a loro avviso sufficienti ragioni d’impiego. Così gradualmente, nei due principali teatri della guerra oceanica, i macinapepe iniziarono a grandinare sui battelli tedeschi e giapponesi, portando a un incremento misurabile del rischio per i loro occupanti, mentre la percentuale di successo nei tentativi d’intercettazione passava da appena il 7 ad un assai più soddisfacente 25%. Il che bastò, pressoché istantaneamente, a rendere l’arma inglese il più riuscito strumento anti-sommergibile della storia.
L’Hedgehog e la sua versione più compatta con quattro tubi lanciarazzi, il Mousetrap, non erano tuttavia perfetti, agendo essenzialmente come dei fucili a canna liscia per il combattimento ravvicinato (il famoso shotgun) e mediante specifici parametri d’impiego. Il loro carico esplosivo, inoltre, risultava appena sufficiente a distruggere i sub della seconda guerra mondiale incrinando i loro scafi, ma non avrebbe avuto probabilmente lo stesso effetto devastante contro quelli costruiti dai nuovi nemici dell’asse geopolitico Usa-Unione Sovietica. Così già a partire dal 1946, gli americani iniziarono a lavorare a un diverso approccio anti-sommergibile montato su una torretta lanciarazzi rotante, che potesse attaccare a distanza maggiore e soprattutto, in tutte le direzioni. L’apparato denominato inizialmente RUR-4 avrebbe dovuto avere due tipi di munizioni, l’arma A con un carico di 113 Kg e l’arma B, dotata invece di soli 23 Kg d’esplosivo. Ma dato che i primi test avevano dimostrato la probabile inefficacia di quest’ultima in effettive situazioni di guerra, fu deciso di continuare lo sviluppo soltanto del primo razzo, un’impressionante carica capace di decollare alla velocità 85 metri al secondo. L’idea era che grazie alla precisione dei moderni sonar, ed il caricatore automatico capace di concedergli un rateo di fuoco di 12 colpi al minuto, il dispositivo sarebbe riuscito per la legge dei grandi numeri ad annientare in breve tempo il sottomarino nemico.

Weapon Able risultava essere un sistema d’arma estremamente ingombrante, non soltanto per le dimensioni del suo proiettile ma anche per le molte paratie metalliche e protezioni, necessarie al fine di proteggere l’equipaggio della nave dagli scarichi dei potenti motori a razzo accessi all’interno del suo tubo di lancio.

La realtà dei fatti, tuttavia, si dimostrò diversa e durante il periodo tra il 1951 e il 1969 in cui la cosiddetta Weapon Alpha (o Able) restò in servizio, fu notata nelle esercitazioni di guerra una percentuale di successi decisamente inferiore al più rudimentale sistema del porcospino da guerra. Apparve così chiaro che ulteriori evoluzioni erano diventate sempre più urgenti, richiedendo l’ulteriore perfezionamento di un metodo valido al fine di scongiurare un’improvvida fine ad opera di siluri capaci di contrattaccare con effetti devastanti.
Tale approccio si sarebbe quindi concretizzato con il RUR-5 alias ASROC (Anti Submarine ROCket) la nuova torretta girevole introdotta negli anni 60 e destinata a trovare l’utilizzo operativo fino ai nostri giorni, descritta prosaicamente sulla base della sua forma di “scatola dei fiammiferi” in realtà dovuta agli 8 tubi di lancio per razzi guidati da 43,9 Kg. Munizioni capaci di rilasciare, una volta raggiunta la posizione più probabile del sommergibile, il proprio carico capace di cercare attivamente il nemico ed esplodere a distanza ravvicinata, per l’inevitabile annientamento e conseguente morte orribile nel quieto abbraccio di Nettuno. O nei casi più estremi, sia in America che nella versione russa di tale arma, persino un ordigno nucleare dal peso di circa 10-15 megatoni, capace di disintegrare ogni cosa nel raggio approssimativo di un chilometro e mezzo. Un sistema d’arma quest’ultimo, per fortuna, messo fuorilegge da entrambi gli schieramenti ancor prima del termine della guerra fredda.

Una fregata egiziana della classe Knox mostra l’impiego del sistema ASROC durante un esercizio del 2012. Tale sistema d’arma ha trovato infatti l’impiego attraverso gli anni in letterali dozzine di paesi, inclusa l’Italia.

Successivamente all’inizio degli anni 2000, quindi, la dottrina universalmente accettata per l’ingaggio dei sommergibili sarebbe cambiata ancora, portando a una preferenza generale per l’uso diretto dei siluri anche da parte delle navi. Armi diventate ormai semplicemente troppo rapide, e difficili da evadere grazie agli avanzati sistemi sonar usati per guidarle, perché alcuna soluzione alternativa possa ormai effettivamente competere con essa per letalità ed efficacia. Benché permanga tutt’ora un raggio d’ingaggio minimo, entro cui armi come l’ASROC o la famiglia sovietica dei simil-porcospino RBU continuino a mostrare la loro efficacia, particolarmente presso località dai fondali relativamente bassi, dove il rumore di fondo impedisce un rilevamento in anticipo dello scafo nemico.
Mai più, successivamente all’epoca del secondo conflitto mondiale, si sarebbe verificata una casistica paragonabile a quella della USS England; nave capace di annientare, durante un periodo di appena 12 ore nel bel mezzo della campagna di Guadalcanal, sei sottomarini della temibile flotta giapponese, l’ultimo dei quali sarebbe stato “l’imprendibile” RO-105. Soltanto grazie all’impreparazione, da parte di questi ultimi, nei confronti dell’innovativo sistema del mortaio navale. Senza un suono in anticipo, senza nessun tipo di preavviso. Soltanto l’impatto e quindi la compressione esplosiva, seguita da un lento scivolamento verso l’abisso finale delle circostanze per letterali centinaia di persone. Abbastanza da lasciare un segno profondo, anche per chi si trovava all’altro lato della pistola fumante. Ed anche questa, si sa, è la guerra.

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