Il sottomarino svedese che seppe affrontare la flotta americana

Il raggiungimento di un’effettiva prontezza tattica e strategica non può prescindere dalla presa di coscienza dei propri punti deboli, importanti quanto la preparazione di un impianto tecnologico adeguato. Poiché il raggiungimento di un’operatività bellica in tutto e per tutto perfetta, allo stato attuale, è sostanzialmente impossibile, viste le limitazioni imprescindibili imposte dalla dottrina, la storia e le nozioni acquisite attraverso il percorso di un determinato paese. E la realizzazione di un concetto, per quanto ideale, spesso mostrerà almeno un punto vulnerabile. Poiché non è possibile scrutare innanzi, ed allo stesso tempo indietro, con la stessa identica attenzione. Nel marzo del 2015 la Marina Statunitense, con uno storico accordo nei confronti degli svedesi (formalmente, poco più di un gentleman’s agreement) concluse l’accordo per un leasing, inteso come trasferta completa dell’intero equipaggio a scopo di un ciclo di addestramento, del sommergibile HSwMS Gotland, primo rappresentante di una nuova classe d’imbarcazioni nordeuropee, prodotte nei cantieri svedesi della Kockums AB. Richiesta che ottenne una pronta risposta positiva, non soltanto per l’intenzione di assecondare i desideri di un’importante alleato. Doveva pur esistere, a qualche livello della catena di comando da questo lato dell’oceano, la cognizione che il “piccolo” sub avrebbe saputo farsi onore, dimostrando l’appropriatezza tecnologica di certe soluzioni tecnologiche, la precisione dell’addestramento e in definitiva, la sua validità nel riconsiderare quali siano gli effettivi rapporti di potere nei grandi oceani della Terra. Trasportato quindi fino al Porto di San Diego tramite l’impiego della semi-sommergibile norvegese Eide Transporter, l’avanzato mezzo bellico ha trascorso un paio di settimane per acclimatarsi al nuovo teatro operativo, quindi prese parte alle operazioni per l’addestramento in mare assieme al gruppo di fuoco dell’avveniristica portaerei USS Reagan, finalizzate alla rappresentazione di una serie di possibili scenari futuri. Ed è stato nel corso di uno di questi, in una maniera che soltanto in pochi avevano realmente temuto, che l’equipaggio del sommergibile riuscì a compiere la più straordinaria delle imprese.
Benché le specifiche procedure di queste battaglie simulate non siano mai pienamente note al pubblico, conosciamo alcuni dei concetti di base. Tra cui quello dello snapshot, ovvero letteralmente “scattare una foto” (spesso in senso metaforico) di un obiettivo simulato, da una posizione in cui sarebbe stato possibile fare fuoco, sganciare le bombe, lanciare i siluri… Ebbene a quanto è stato dichiarato al pubblico, una volta definita la suddivisione delle forze ed improntato un piano d’azione, il Gotland s’immerse scomparendo letteralmente dalla cognizione dei comandanti americani. Soltanto per ricomparire, svariati giorni dopo, inviando un messaggio formale ma visibilmente soddisfatto. Sul tavolo dell’ammiraglio, uno dopo l’altro, comparvero i numerosi scatti che il sottomarino aveva realizzato della superportaerei americana, dimostrandosi capace, almeno in linea teorica, di affondarla e farla persino franca. Un trionfo, questo, che merita di essere messo in prospettiva: considerate che il costo unitario di uno di questi battelli, punta di diamante della produzione marittima Kockums, ha un costo di circa 100 milioni di dollari. In pratica l’equivalente di un singolo aereo F-35 dei fino a 90 facenti parte dell’intero corredo di una classe Nimitz, la più formidabile nave da guerra mai concepita dall’uomo. Non soltanto Davide aveva dunque battuto, ancora una volta, il suo eterno avversario Golia, ma aveva dimostrato la necessità per quest’ultimo di modificare pesantemente i suoi preconcetti, riconsiderando i meriti di approcci da lui considerati ormai desueti. C’è stata in effetti un’epoca, ormai lontana più di tre decadi, in cui le due grandi superpotenze contrapposte si contendevano il predominio possibile in caso di guerra termonucleare globale, con maestose piattaforme di guerra nascoste sotto la superficie del mare, ciascuna in grado di rovesciare alcuni dei missili balistici più rapidi e difficili da intercettare, proprio perché diretti sull’obiettivo da una distanza geograficamente vicina. Simili battelli, dotati di sistemi di propulsione nucleari, erano in grado di rimanere sott’acqua per settimane, o persino mesi, spostandosi a velocità relativamente elevate. Ma avevano, ed hanno tutt’ora, un significativo punto debole: tendono a fare rumore. Non moltissimo, principalmente quello causato dalle pompe di raffreddamento del generatore, eppure abbastanza perché le orecchie tecnologicamente migliorate di un operativo sonar possano affrontarli con successo in battaglia. Qualcosa di molto, molto più difficile quando si sta parlando della classe Gotland o dispositivi similari…

Vaste, pesantemente armate, impervie agli assalti convenzionali, sopratutto se accompagnate da un intero corpo di spedizione. Le superportaerei americane, letterali estensioni del suolo nazionale, costituiscono della basi mobili capaci di dirigere e vincere autonomamente il conflitto tra due o più paesi. Ma nessuno può definirsi, realmente, invincibile in qualsiasi situazione…

Nel settore rilevante la classe Gotland (numero di serie A16) viene considerata come la più avanzata espressione del concetto di sottomarino costiero, ovvero un mezzo concepito per spostarsi sui lunghi tragitti mediante l’impiego di un paio di motori Diesel-elettrici del produttore tedesco MTU. Ma è il suo impianto AIP (Air Indipendent Propulsion) che riesce a renderlo davvero speciale. Il sottomarino svedese affianca infatti a simili impianti una coppia di unità speciali brevettate dalla Kockums che sembrano rievocare un’epoca e un tempo dimenticati, quelli della prima grande rivoluzione industriale. Stiamo parlando, per essere precisi, di motori v4-275R, descrivibili in parole povere come unità sul modello Stirling, il più antico sistema con scambio di calore, qui finalizzato a ricaricare un impianto elettrico di propulsione. L’idea venne originariamente a Robert Stirling nel 1816, quando la tecnologia metallurgica ancora non permetteva di costruire caldaie ad alta pressione per l’impiego del vapore. Il suo approccio fu, quindi, quello di riscaldare un pistone dall’esterno, affinché l’espansione dell’aria facesse muovere il meccanismo, mentre l’estremità opposta del componente, raffreddata da una serie di flange, gli permetteva di completare il ciclo ritornando al punto di partenza. Al fine di aumentare l’efficienza, dunque, l’inventore aggiunse il recuperatore/rigeneratore, sostanzialmente nient’altro che un lungo tubo in materiale capace di condurre ed accumulare il calore in eccesso, riportandolo fedelmente al punto di partenza. La versione riveduta, potenziata e corretta di un simile macchinario mantiene, persino oggi, un significativo vantaggio: in assenza di camera di combustione ed esplosione della miscela, risulta essere molto più silenzioso delle alternative convenzionali, da noi ben conosciute per il loro impiego nelle auto ed autocarri ad uso stradale. L’efficienza nel consumo del carburante, in questo caso ossigeno liquido, risulta inoltre essere piuttosto buona, permettendo al sommergibile di restare sott’acqua per un periodo di circa 2 settimane. Durante le quali sarà, per quanto concerne le cognizioni acquisite da un eventuale nemico, pressoché invisibile, anche in forza del sistema di schermatura magnetico in dotazione, capace di contrastare ed eliminare le emissioni inevitabili capaci di sorpassare la schermatura del suo scafo.
Altro punto fondamentale di una simile macchina da guerra è la sua alta manovrabilità, concessa dal peso relativamente basso di 1,494 tonnellate (in superficie) e la lunghezza di appena 60,4 metri. Caratteristiche che, coadiuvate da una speciale disposizione delle superfici di controllo a forma di X, consentono all’equipaggio di operare con margini estremamente ridotti, muovendosi agilmente vicino alla riva, dove un grande sommergibile statunitense o russo non potrebbe mai pensare d’inoltrarsi, pena la drastica riduzione delle sue possibilità operative. E parlando per l’appunto delle persone a bordo, è notevole anche la loro quantità ridotta: un classe Gottland pronto all’azione porta normalmente appena 25 uomini, vista l’ampia automatizzazione e l’interazione dei sofisticati computer di bordo. Lo stesso pilotaggio, ad esempio, può essere condotto da un singolo individuo (velocità, direzione e profondità) impostando semplicemente l’assetto desiderato. Saranno soltanto le macchine, a fare il resto. Per quanto concerne invece gli armamenti, il sottomarino è dotato di quattro tubi di lancio da 533 mm, ideali per i Bofors Tipo 613, dei siluri dal raggio di circa 12 miglia per un carico esplosivo di 300 Kg, ed ulteriori due da 400 mm, per l’impiego dei più compatti Saab Bofors Tipo 43X2. I due sistemi d’arma, quindi, vengono gestiti di concerto da un singolo sistema di controllo di fuoco in grado di colpire obiettivi multipli, o punti diversi dello stesso bersaglio, mentre gli addetti al caricamento possono spostarsi liberamente attraverso l’intero livello inferiore del sommergibile, mantenuto separato dagli alloggi e le sale di supporto, situate al piano soprastante. Tra le altre mansioni di cui è capace di occuparsi un simile sottomarino, meritevoli di citazione risultano essere la deposizione di mine o il rilascio di operativi delle forze speciali, per l’inserimento non tracciabile in pieno territorio nemico.

Per il successore del sommergibile svedese A16, il tuttora ipotetico A26, è stato previsto un sistema modulare di “segmenti” da assemblare a seconda dell’impiego futuro. Un metodo degno dell’unico e solo paese capace di concepire l’Ikea.

Colpiti dalla straordinaria efficienza del sommergibile preso in prestito, e desiderosi di elaborare una strategia per contrastarlo, i vertici del comando americano decisero quindi nel 2006 di estendere il leasing per un periodo di altri 12 mesi. Degli obiettivi conseguiti in tale circostanza, a  dire il vero, non sappiamo granché. È possibile tuttavia ipotizzare metodologie per contrastare un simile mezzo “invisibile”: in un’effettivo conflitto armato, una volta che i siluri iniziano a tracciare le loro scie in mare, nessuna flotta esiterebbe nell’impiegare un diverso metodo per individuarlo: l’impiego del sonar attivo. Ovvero l’invio di un “ping” udibile, il cui rimbalzo permette d’individuare la presenza di un’ostacolo anche inerte, esattamente come fanno le balene. Un qualcosa d’impossibile durante gli addestramenti convenzionali, proprio per le norme internazionali che proteggono quest’ultime, il cui organismo, si ritiene, è portato a reagire in modo estremamente negativo ai suoni ad alta frequenza ed intensità estrema. Tuttavia questa, di certo, non è l’unica controindicazione di un simile metodo, visto come l’emissione sonora tenda non soltanto a evidenziare la posizione della nave di partenza, ma anche quella della sua intera scorta e gruppo di fuoco. Sarà pienamente evidente, a questo punto, che stiamo parlando di una vera e propria ultima ratio dei conflitti marini.
E il solo fatto di aver portato la principale marina militare della Terra a considerarla, dimostra le prestazioni e le doti eccezionali di questi piccoli, ma letali sottomarini venuti dal più recente Freddo, che si trova ancora più a settentrione di quello da cui intendeva proteggerci l’ormai vetusto James Bond.

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