Nuovo museo giapponese o una granitica fortezza in mezzo ai fiori di ciliegio?

Pacato ma convinto, esprimendosi a tratti nel suo eccelso inglese, l’architetto sessantaseienne di Yokohama, Kengo Kuma, varcherà l’alta soglia per dare inizio alla visita per pochi eletti e rappresentanti della stampa internazionale. La settimana prossima quando, nonostante le stringenti regole anti-pandemia che ne hanno rimandato l’inaugurazione fino al prossimo ottobre, il nuovo impressionante edificio della città municipale di Tokorozawa (nei fatti, un distretto periferico di Tokyo) aprirà brevemente al fine di mostrare, finalmente, i magnifici segreti contenuti al suo interno. Dopo gli anni di lavoro nel contesto del progetto Sakura Town alias Cool Japan Forest, per la creazione di un nuovo polo culturale, centro commerciale e luogo d’interesse turistico in questa località, già celebre per il museo dello studio Ghibli, dedicato al genio creativo di Miyazaki. E con ampi spazi dedicati ad animazione, fumetti e cultura contemporanea si offre al pubblico anche l’imponente Kadokawa Musashino, letterale scatola poligonale con 12.000 metri quadri d’esposizione disposti su 5 piani, il primo dei quali occupato dall’innovativa Hondana Gekijo alta 8 metri, la “biblioteca teatro” capace di trasformare i propri scaffali in uno schermo per la proiezione cinematografica quando se ne presenti la necessità, grazie a tecniche di proiezione grafica digitale. Sono soprattutto degli esterni, nel frattempo, le riprese di cui abbiamo disponibilità, utili senz’altro a dare un senso ed un significato chiaro alle particolari scelte stilistiche dell’edificio. Che si presenta, contrariamente all’approccio normalmente usato dal suo celebre architetto, come una massa unica e quasi del tutto priva di aperture evidenti, in quanto espressione di un materiale naturale, la pietra, che contrariamente al legno quasi fluttuante delle sue passate opere sembrerebbe possedere qualità esteriori statiche e legate alla terra stessa. Conducendo verso l’interessante soluzione di un rivestimento esterno in 20.000 lastre di granito di colore scuro, con un approccio non dissimile da quello del Grande Arco parigino a La Défense. Il che concede a questo isolato edifico un aspetto imponente e per certi versi capace d’incutere soggezione, soprattutto rispetto alla tipica architettura giapponese, in cui il mantenimento di una linea di comunicazione tra interno ed esterno costituisce un valore generalmente mantenuto nella più alta considerazione. Lungi dall’essere leggiadro, il museo mantiene tuttavia una certa flessuosità concessa da quella che il suo creatore definisce “pixelizzazione” delle superfici, intrecciate tra di loro nella definizione di un profilo affine a quello di un cristallo, o antico dinosauro trasformato in fossile dal lungo protrarsi delle generazioni. In netto contrasto con l’effettiva funzionalità espressa entro le sue mura, dove la titolare Kadokawa, gigante dell’editoria mediatica nazionale, ha scelto di esporre e mettere a disposizione del grande pubblico una vasta selezione dei suoi manga, anime e videogiochi, in una versione innovativa del concetto tipicamente nipponico del museo d’arte contemporanea, ove convivono, senza problemi, l’aspetto creativo e quello della commercializzazione con finalità aziendali. Su un aspetto, almeno, esistono ben pochi dubbi: al termine della crisi, qui, convergeranno letterali eserciti di partecipanti a quel turismo esperenziale, in cui si tenta di portare nella propria vita un valido apporto di quel mondo giapponese della fantasia, che un così significativo effetto è riuscito ad avere sulla cultura globalizzata internazionale…

Un rendering preliminare è tutto quello che abbiamo della grande sala, probabilmente ancora non ultimata dato il rinvio dell’inaugurazione propriamente detta del museo. Che basta, tuttavia, a porsi l’inevitabile domanda: e se volessi leggere proprio il librio (o manga) che si trova custodito in cima all’alta parete, lassù?

La visita quindi, salendo dalla biblioteca con i suoi 50.000 esempi di manga & Light-Novel (romanzi per ragazzi) oltre le aree ristorative ad un rialzato primo piano, procederà verso quello dedicato agli anime, i popolari cartoni animati contemporanei che lo stesso direttore del museo, l’autore letterario e imprenditore Masaoka Matsuoka, ha definito nel suo discorso programmatico come un’unione del concetto di animation e il termine latino per tamashii, l’anima incorporea dell’arte o jutsu (tecnica) creativa dell’uomo. Ben poco ci viene concesso di sapere tuttavia, allo stato attuale delle cose, sull’effettivo contenuto permanente di tali spazi sopraelevati che d’altra parte dovrebbe essere dedicato in tempi d’inaugurazione ad una mostra sull’architetto Kengo Kuma, creatore oltre a queste mura e tra le molte altre cose del già celebre Kokuritsu kyōgijō (Nuovo Stadio Nazionale) di Shinjuku a Tokyo, completato nel 2019 su un progetto largamente rivisitato allo scopo di essere pronto entro le Olimpiadi del 2020, la cui esatta collocazione temporale si è spostata a data da ridefinire causa arrivo del Covid. Mentre ciò che abbiamo l’occasione di ammirare in merito all’altrettanto sventurato museo, nello sfortunato prolungarsi cronologico della situazione, è al momento l’aspetto nel suo complesso dell’intera zona di Sakura Town, che attorno a all’irrinunciabile giardino di ciliegi vede la disposizione di esattamente 10 tra negozi, ristoranti e librerie, in aggiunta a un vero tempio shintoista dedicato alla nuova epoca Reiwa e disegnato dallo stesso creatore, con un’ampia vetrata frontale che si affaccia su uno scrosciante ruscello e la più minimalista serie di archi rossi torii da questa parte del puro regno delle idee. In contrapposizione all’EJ Anime Hotel, edificio con 33 stanze per gli ospiti ciascuna dedicata ad un diverso mondo dei cartoni animati, fumetti o videogiochi editi dalla Kadokawa. Completa l’offerta un vicino boschetto di querce ed altri alberi decidui di proprietà dell’amministrazione del quartiere Musashino, trasformato per l’occasione in un vero e proprio museo all’aperto sul modello svedese con l’esposizione permanente dell’opera del collettivo Teamlab “Acorn Forest” composta da oltre un centinaio di globi luminosi colorati dalla forma vagamente ispirata a quella della ghianda, con un’altezza unitaria di 1 metro e 20 circa. Espressione certamente originale di quello stesso concetto ideale di “Cool” (fantastico! Magnifico! Alla moda!) che il Giappone dell’epoca contemporanea si è sforzato di perseguire, come ottimale sostituzione di quella ricerca d’armonia che ha sempre costituito una parte inscindibile della sua religione e filosofia. Una missione verso cui è possibile trovare l’intenzione della poetica di Kengo Kuma, che come molti altri architetti dei nostri giorni afferma di voler tornare a una visione che integra uomo e natura, impiegando tuttavia nel suo caso materiali dalla lunga storia tradizionale, come per l’appunto il granito. E nella speranza certamente non disattesa che, almeno in questo caso, nuovi metodi siano stati usati per prevenire la rinomata problematica dei rivestimenti esterni in granito, che tendono a cambiare forma e staccarsi dopo un certo numero di anni per l’effetto dell’escursione termica e l’incessante effetto degli elementi.

L’unione di criteri architettonici antichi e soluzioni tecnologiche ultra-moderne, da un punto di vista occidentale, potrà far assomigliare il tempio Reiwa all’ampia vetrina di un locale commerciale. Ma il significato comunicativo e la validità della sua struttura non vanno sottovalutate.

La creatività d’intrattenimento dopo tutto può essere arte e non esiste al mondo, nel contesto culturale dei nostri giorni, una nazione che si è dimostrata in grado di capirlo in modo più efficace del Giappone. Dove chi disegna gli astrusi, imprevedibili personaggi e moderni della Pop Culture post-moderna riceve spesso onori comparabili a quelli di un creativo proveniente dalle dorate sale del mondo accademico, che a sua volta ne condivide e spesso agevola il prestigio. In quest’ottica una struttura come quella del Kadokawa Musashino (o “Tokorozawa Cultural Museum” se vogliamo usare il nome concepito per l’estero) non possiede le caratteristiche di un mero strumento pubblicitario, diventando piuttosto la letterale via d’accesso a una fondamentale chiave interpretativa del domani. Secondo cui forma e funzione non devono per forza essere calibrate l’una di conseguenza all’altra, poiché connotate, oltre il sottile velo della superficie, dal modulo dello specifico contesto d’appartenenza.
E il senso tipicamente nipponico del wabi-sabi (percezione dell’impermanenza delle cose) può essere accresciuto, piuttosto che venire messo in difficoltà, dall’impiego di materiali in apparenza indistruttibili come la pietra.

Compatto fino all’inverosimile, il museo rivela le sue reali proporzioni soltanto mediante l’impiego di figure umane come termine di paragone, per quello che potremmo definire, nel suo contesto topografico, come un vero e proprio piccolo grattacielo.

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