Guardando con occhio critico ai conflitti bellici del secolo passato, apparirebbe assai difficile negare che sia stato un singolo fattore tecnologico, più di ogni altro, a cambiare le regole dei giochi: l’invenzione posta in essere, aprendo la grande porta del cambiamento, dai fratelli Wright a Kitty Hawk nel 1903, con la dimostrazione pratica che il volo a motore non era soltanto possibile, bensì un passaggio imminente ed obbligato dell’evoluzione ingegneristica umana. Per la prima volta, quindi, ogni distanza appariva teoricamente accorciata e questo fu ben presto vero in tempo di pace, così come al termine di una così auspicabile evenienza. Entro una decade ed un anno, quindi, con lo scoppio della Grande Guerra, per la prima volta apparve necessario fare i propri calcoli non solo sulla scala verticale, bensì mantenendo bene impresso nella propria mente come ogni bersaglio fosse raggiungibile, vulnerabile, pronto per conoscere la fiamma tempestosa di un bombardamento nemico. Bersagli come industrie o stabilimenti tanto sfortunati da trovarsi, geograficamente, nella parte meridionale della Gran Bretagna, e per ciò importanti nel massimizzar la già notevole potenza bellica ed operativa di una delle massime potenze europee. Non è dunque affatto un caso se, spostandoci in avanti di tre decadi, sarebbe stato proprio quel paese a dare forma funzionale al concetto di un rilevatore di sagome volanti, cariche di armi esplosive, grazie a un’idea dell’ingegnere e remoto discendente del creatore della macchina a vapore Robert Watson-Watt. Ciò che in meno scelgono di ricordare, o addirittura sanno, è che d’altra parte la necessità di operare su questa linea si era già concretizzata allora da parecchi anni, andando incontro a un tipo di soluzione al tempo stesso maggiormente ingenua, eppure per certi punti di vista, assai più affascinante: l’ascolto.
La nostra vicenda inizia nel 1915, con diversi insediamenti attorno alle foci del Tamigi e dell’Humber sottoposti a reiterati bombardamenti da quelli che nei fatti non erano ancora dei velivoli in senso moderno, bensì ponderosi dirigibili tedeschi della Zeppelin e Shutte-Lanz. Al che il comandante riservista Alfred Rawlinson, incaricato di difendere l’artiglieria antiaerea nella regione, venne in mente di costruire un apparato con due grandi corni di grammofono girevoli montanti su di un palo, idealmente capaci d’individuare il suono di un motore attraverso la nebbia e la foschia della brughiera, soprattutto di notte. Eventualità nei fatti mai davvero dimostrata, benché lui giurasse di aver costretto grazie ad esso almeno un aeromobile a sganciare il carico e ritirarsi. In epoca contemporanea, d’altra parte, la necessità immediata di opporre mezzi di rilevamento agli assalti volanti fu percepita ai massimi vertici dell’organizzazione militare britannica, portando al mandato conferito a un certo Prof. F. Mather del City and Guilds of London Institute di costruire uno “specchio” sulla facciata di una scogliera di gesso a Binbury Manor, tra Sittingbourne e Maidstone. Tale elemento architettonico, dal diametro di cinque metri, aveva la forma concava di una semi-sfera all’interno della quale si trovava un corno d’ascolto semovente, che l’operatore poteva far spostare mediante un sistema meccanico per percepire, auspicabilmente, l’arrivo di un velivolo nemico a distanze molto significative. Nonostante gli ottimi risultati in fase sperimentale, durante cui sarebbe stato possibile rilevare uno Zeppelin alla distanza di 20 miglia, l’esercito restò insoddisfatto delle prestazioni dell’apparecchio, a causa di quella che Mather avrebbe definito con stizza una “cronica incompetenza”. Ma il fulmine era fuoriuscito, a quel punto, dalla metaforica bottiglia e tutti avrebbero voluto, in qualche modo, rintracciarlo grazie all’uso del più adattabile tra i nostri strumenti di percezione sensoriale…
Nonostante i risultati apparentemente insoddisfacenti, la costruzione degli specchi d’ascolto inglesi appariva ancora estremamente necessaria con le letterali centinaia di bombe tedesche che continuavano a deflagrare, clamorosamente, con gran pericolo del personale militare e la popolazione del meridione. Così che il comando di Londra ordinò ed ottenne che venissero costruiti una quantità ad oggi incerta di apparecchi dello stesso diametro lungo l’intera estensione della Costa, migliorati nelle loro prestazioni e portata grazie alla copertura della roccia con uno strato di cemento levigato. Per una probabile applicazione della legge dei grandi numeri, quindi, tali apparati avrebbero più volte incontrato l’occasione di anticipare l’arrivo di raid nemici di alcuni preziosi minuti, soprattutto tra il 1917 e il 1918 permettendo, in un celebre caso, di evacuare in tempo i depositi di stoccaggio di armi e munizioni nei dintorni della capitale. Subito dopo la guerra, almeno in parte convinte delle potenzialità di un tale approccio, le autorità stabilirono quindi un centro di ricerca specializzato presso la località di Joss Gap, in Kent, ove gli specchi acustici sarebbero stati ulteriormente perfezionati. E fu proprio in questo luogo, nel 1925, che William Sansome Tucker, ricercatore acustico e pioniere in questa scienza diede forma alla versione più avanzata di un simile meccanismo, con un diametro raddoppiato a 10 metri e un sofisticato sistema per far muovere con precisione il microfono di localizzazione, mediante l’uso di un sistema formato da pedali e manovella. Entro lo scoppio della seconda guerra mondiale, d’altra parte, molti dei paesi belligeranti avevano compiuto le proprie ricerche nel settore e sebbene il concetto di un sistema realmente efficace per il rilevamento delle attività aeree nemiche apparisse ancora lontano, alcuni dei progetti testati seppero anticipare dignitosamente tale specifico ventaglio delle funzionalità. Certamente celebri, ad esempio, sarebbero rimasti i “tromboni da guerra” (vedi foto di apertura) comparsi in una foto propagandistica proveniente dal Giappone e ripubblicata sulla rivista Life del 28 dicembre 1936, realizzata mentre venivano sottoposti a un ispezione da parte dello stesso imperatore Hiroito. Apparati in qualche modo conformi al primo tentativo inglese di Robert Watson-Watt, sebbene significativamente sovradimensionati ed in funzione di ciò, probabilmente dotati di prestazioni superiori. In precedenza, tuttavia, erano già state fatte circolare foto delle versioni più piccole e portatili della stessa idea nipponica, potenzialmente gestibili da un singolo operatore dotato di pratici tubi d’ascolto fino ai propri padiglioni auricolari. Altri apparati d’interesse, sulla stessa falsariga, possono essere fatti risalire agli Stati Uniti attorno alla fine degli anni ’20, con massicci “coni” acustici montanti su basi girevoli e messi alla prova in diverse potenziali circostanze d’attacco. Negli anni ’30 in Olanda, invece, possiamo ritrovare un’interessante versione compatta del concetto detta la “parabola personale” indossata come un cappello stravagante ed enorme, dotato di due semi-sfere ai lati della testa, idealmente indossato da un soldato altamente addestrato al fine di farne il migliore impiego possibile in battaglia. Il localizzatore Perrin in Francia, creato dal vincitore di premio Nobel Jean-Baptiste Perrin appariva invece come una sorta di albero formato da 36 piccoli corni acustici in configurazione quasi artistica, apparentemente capaci di rilevare il suono degli aerei da qualsiasi immaginabile angolazione.
La realtà dei fatti avrebbe tuttavia ben presto dimostrato come con l’aumento della potenza dei motori, oltre a semplici artifici quali il funzionamento intenzionalmente asincrono nei velivoli che ne avessero più d’uno (espediente effettivamente adottato da alcuni bombardieri tedeschi coévi) qualsiasi tentativo di localizzazione acustico fosse destinato a risultare fondamentalmente insufficiente ad acquisire un vantaggio temporale degno di questo nome. L’invenzione successiva del radar, basato almeno in parte su un’osservazione del 1922 dell’inventore ed imprenditore italiano Guglielmo Marconi, avrebbe quindi posto il suggello finale su questa insolita, esteticamente appagante visione di una guerra aerea combattuta sulla traccia di segnali impercettibili, benché omni-pervasivi. Bombardieri sempre più grandi e pericolosi, a questo punto, avrebbero imboccato il sentiero inconfondibile di questi fiumi, per andare incontro a interdizioni favorite da onde di tutt’altra natura: quelle invisibili, ed inaudibili, di un’antenna radio. E ancora una volta, il fuoco avrebbe dominato i cieli d’Inghilterra e quelli del resto del mondo.
Chi aveva ragione, quindi, alla fine? Combattere può essere una buona idea, purché si scelga di farlo per una causa che conduca nuovamente, e in un tempo sufficientemente breve, allo stato della quiete antecedente alla crisi. Ed ogni scudo, sia materiale che ipotetico e “sonoro”, contribuisce di suo conto nell’evitare che schiere d’innocenti paghino l’inutile prezzo finale. Il che è sempre giusto in senso universale, sia che si usino le onde sonore, o di altro tipo, per portare a compimento la missione.