Otto metri di lunghezza per la coda del maestoso gallo shogunale

Il signore del feudo di Shimane, accompagnato dal suo seguito, le guardie in armatura, 12 cavalli e il palanchino di sua moglie, guardò sconsolato verso il punto in cui la grande strada Tōkaidō s’incontrava con la linea dell’orizzonte: per diversi minuti, aveva meditato sulla possibilità. Ed ora era sicuro: si trattava di una processione simile alla sua, di ritorno dal castello di Edo per il termine di un periodo di “soggiorno” in città. Già, il Sankin-kōtai: la grande idea di Iemitsu, nipote di quel Tokugawa che era diventato shōgun (sommo generale) riuscendo finalmente a unificare il paese; fermamente intenzionato, di suo conto, a fare un passo indietro o per lo meno di lato. Poiché avendo ripristinato il costume in uso durante il regno del kampai (dittatore) Toyotomi, ora si aspettava che i regnanti di ciascun feudo passassero un anno ogni due presso la capitale, per quella mancanza di fiducia che in un certo senso, era implicita del suo ruolo. Ecco dunque che arrivava, come prospettato, un singolo cavaliere dal secondo gruppo, annunciando il nome del suo signore: “Il principe Yamauchi Kazutoyo, governatore della regione di Tosa, chiede il diritto di passaggio. Presto! Qual’è la vostra risposta?” Non poteva farci assolutamente nulla, gli uomini mandati in esplorazione avevano fallito di avvisarlo per tempo: il samurai quindi, inferiore di rango, fece un cenno affermativo mentre si apprestava a scendere da cavallo. I suoi secondi fecero lo stesso, spostando il palanchino e i bagagli a lato della strada. Inchinato profondamente a terra, tuttavia, mentre aspettava il passaggio di Yamauchi rendendogli onore, il feudatario scorse un qualcosa d’inaspettato: l’oggetto flessuoso e filiforme, probabile parte del loro vestiario, che sembrava seguire ciascun cavaliere dell’altrui schieramento. Azzardandosi soltanto momentaneamente a sollevare gli occhi, quindi, vide il magnifico principe a cavallo. Dal cui elmo, portato fieramente, parevano partire le due più lunghe piume che egli avesse mai visto! Come le antenne di un cerambice, capaci di ricadergli lungo la schiena, seguendo il contorno del cavallo per poi ricadere fino a terra. E fluttuare ancor più addietro nel vento, a pochi centimetri dalla polvere e dal fango… Bianche, nere e quindi bianche nuovamente: certo, era chiaro! Che il signore del feudo di Tosa, prototipo lampante di coloro che erano ascesi al potere grazie al rango di fudai (famiglie alleate di Tokugawa alla battaglia di Sekigahara) aveva trovato il modo di allevar… Fenici. E dalla loro coda, fabbricato gli ornamenti di se stesso ed i suoi seguaci…
Prendi un soggetto, disegnalo in maniera totalmente realistica; quindi esagera, a tuo modo, un singolo elemento – braccia lunghissime, oppure gambe straordinariamente muscolose. La testa molto grande, o magari perché no, sottodimensionata: complimenti, ha appena creato con l’immaginazione quello che prende normalmente il nome di manga. Massima espressione artistica, diventata oggigiorno commerciale, della visione fantastica giapponese, mirata ad un eccesso che rientra, sempre nell’estrema ragionevolezza del suo contesto. Un qualcosa che possiamo ritrovare, d’altra parte, in molte delle tecniche di allevamento e coltivazione di questo paese. Pensate, ad esempio, al bonsai, alberello potato e costretto mediante speciali tecniche affinché possa occupare comodamente il tokonoma (nicchia posta al centro della casa). O perché no, alla celebre ed impareggiabile razza nota un tempo all’occidente come “gallo di Yokohama” il cui nome nazionale fu piuttosto Onagadori, che significa nobile pollo, e al tempo stesso in senso molto più prosaico, pollo dalla lunghissima coda. Una creatura nata, secondo l’originale interpretazione, da circostanze assai particolari…

Durante un’esposizione in Indonesia, i galli onagadori trovano collocazione all’interno di strette gabbie sollevate da terra, finalizzate a dimostrare la lunghezza della loro coda lunga quanto un trenino in scala. Con un pezzo di nastro, qualcuno ha legato le piume al palo, affinché non disturbino il passaggio delle persone.

L’origine dell’Onagadori resta in effetti persino oggi e nonostante i molti studi condotti sull’argomento, per lo più incerta. Attestato per la prima volta nel periodo successivo alla battaglia di Sekigahara (1600) e collegato tradizionalmente alla parte meridionale dell’isola di Shikoku, dove in quel periodo regnava per l’appunto la figura di Yamauchi Kazutoyo, questa razza d’uccello pressoché unica al mondo viene in taluni ambienti ritenuta un incrocio derivante dallo Shokoku (pollo di origini cinesi) ed una o entrambe le varietà locali dei Totenko e Minohiki, con ascendenza fino ai primi polli dalla lunga coda, e uno status semi-leggendario, vissuti presso l’isola di Java e chiamati Bekisar. Benché un’interpretazione moderna ritenga piuttosto possibile l’evoluzione diretta in Giappone, mediante selezione artificiale, dalle più simili varietà locali. Tralasciando l’epoca del Sankin-kōtai dunque, durante cui si dice che gli allevatori all’interno dell’intera isola di Shikoku avessero il mandato di fornire piume sempre più lunghe al loro signore, ricevendo in cambio il privilegio di essere esentati dalle tasse, lo standard effettivo di questa razza venne fissato nel XVII secolo grazie al trattato dell’allevatore Tekeichi Riuemon, originario della provincia di Kochi, tanto che i polli vennero chiamati per lungo tempo Shinoharato, in onore della sua città di provenienza. Una diffusione ancor maggiore nell’intero territorio nazionale sarebbe quindi giunta a partire dal 1857, a seguito di un’ulteriore trattazione del botanico di fama Koyu Nishimura. Negli anni successivi quindi, grazie all’apertura dei commerci successiva alla fine dell’ultimo shogunato e la restaurazione del potere dell’imperatore Meiji (1868) gli onagadori avrebbero iniziato ad essere esportati occasionalmente, approdando nei principali porti europei. Ben presto fu scoperto, tuttavia, come le loro caratteristiche di adattamento climatico fossero insufficienti a garantirgli un benessere sufficiente in tali territori, portando alla creazione di un successivo incrocio con razze locali, da cui provenne la tutt’ora stimata varietà Phoenix. Le differenze con l’originale giapponese, tuttavia, sono significative, a partire dalla muta delle piume effettuata ogni anno piuttosto che a distanza di tre, il che pur garantendone uno stato normalmente migliore, impedisce alle loro code di raggiungere la lunghezza assolutamente impressionante possibile per i veri e propri onagadori. Come potrete facilmente immaginare, tuttavia, l’allevamento di un pollame simile comporta notevoli compromessi, data l’inerente fragilità di una simile struttura anatomica, assolutamente impossibile in natura e senza le attente manipolazioni ed incroci operati dall’uomo. Così che l’allevamento sistematico dei maschi della specie, normalmente, presuppone il mantenimento di uno stato di sorveglianza pressoché continuo, affinché le loro preziose piume non vadano rovinate durante la vita quotidiana o si spezzino in maniera irrecuperabile, diminuendo notevolmente il valore dell’animale. Proprio per questo tra un’uscita e l’altra, gli animali vengono tenuti all’interno di speciali pollai che costringono i movimenti, con un’area sollevata affinché la coda possa ricadere a terra, ben protetta da manovre potenzialmente improprie. Ciononostante ed al contrario di quello che si potrebbe pensare, tali creature considerate puramente ornamentali trascorrono un’esistenza decisamente più lunga e serena del pollo medio, raggiungendo spesso età, e lunghezze, assolutamente degne di nota.

Una dorata prigionia o la storia di un essere subordinato alle ragioni arbitrarie del concetto nipponico di bellezza? Il gallo assai probabilmente non si preoccupa di questo. E inconsapevole della propria stessa magnificenza, continua a trangugiar becchime…

Il valore attuale di un vero onagadori risulta quindi estremamente variabile, in funzione della sua purezza, dell’equilibrio dei due colori principali e sopratutto molto prevedibilmente, della lunghezza della sua coda. Una storia rintracciabile online parla tuttavia di una vendita portata a termine da un allevatore vietnamita di una coppia per la cifra notevole equivalente a 2.800 dollari ciascuno, mentre non è difficile immaginare in patria, come per il pesce koi o altre creature celebrate dall’arte e dalla letteratura antiche, l’iper-valutazione addirittura superiore, in qualità di status symbol insostituibile per i politici di grido o i capi d’azienda dell’arcipelago del Sol Levante. Aggiungete a questo il fatto che, dato il suo status di Tesoro Nazionale Speciale acquisito dal 1952, ogni esportazione di esemplari o uova risulti attualmente proibito, e capirete di trovarvi dinnanzi alla probabile creatura di maggior valore nel regno normalmente abbordabile del pollame. Non a caso utilizzata come ornamento già in epoca Edo dal principe Yamauchi durante le sue visite obbligate allo shōgun, con il probabile intento di far pubblicità ad un prodotto inimitabile della prefettura che era stato posto, inaspettatamente, a governare.
Strano come il concetto di marketing sia stato sempre lo stesso, fin dall’alba dei tempi. E il codazzo di persone, armi e bagagli usato per dare importanza al proprio passaggio lungo una strada d’importanza nazionale finisca, in qualche modo, per assomigliare allo stesso concetto, tuttavia prodotto in circostanze atipiche dal regno variopinto degli animali. Quasi come si trattasse della volontà suprema di un “qualcuno”; che poi sarebbe, senza dubbio l'(in)umana collettività creativa.

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