Ci sono degli enormi meriti, e indubbi vantaggi, nell’apprendere il segreto necessario a poter ascoltare il suono del silenzio. Questo continuate a ripetervi, nella più lunga notte primaverile del vostro imprevisto viaggio a Panama. “Perché mai sono venuto qui?” Continuate a chiedervi, superate le 4:30, mentre contate il transito circolare dei secondi, accompagnati dall’invisibile quanto udibile canto della natura. “Questi boschi sono Meravigliosi!” Ricordate nel tormentato dormiveglia il discorso auto-celebrativo del proprietario dell’hotel: “Non importa che periodo dell’anno sia, potrete prendere sonno accompagnato da una dolce melodia.” Eccome! [SGRUNT] “Squee-Sque, Sque-sque-squeee, squeet [continua]” E poi una pausa, seguita dalla risposta che giunge nell’altro orecchio “Squeet-squie, squie, squieeet!” All’improvviso, un lampo che anticipa il mattino. “Squit?” È la vostra mano che di sua spontanea iniziativa, si è spostata fino alla lampada di metallo sul comodino. Ed è allora che stagliato come un sagoma contro il fondale di un cielo stellato, a scrutarvi dalla finestra vedete lui: uno strano, strano usignolo dal piumaggio estremamente arruffato. E due occhi vispi che fanno da ornamento sul puntuto becco (produttore d’armonie ultramondane?) mentre qualcosa di simile ad una coda si agita, dietro alle appena visibili zampe posteriori. Eppure, dopo un attimo di meditazione ai limiti della coscienza, non potete fare a meno di pronunciare: “Sogno, o son desto… Questo uccello possiede un gran paio… D’orecchie?!”
Topi, creature dalle molte risorse ed un ancor più vario ventaglio d’esperienze. Così l’appena iniziata settimana di marzo 2019, che probabilmente passerà alla storia per l’epocale evento del grasso ratto rimasto incastrato nel tombino tedesco (9.998 articoli! 9.999 articoli all’attivo!) potrà trovare l’ulteriore connotazione ai posteri della pubblicazione lungamente attesa, di un articolo scientifico da parte dei ricercatori della Scuola di Medicina dell’Università di New York in merito a un aspetto assai discusso, eppur poco compreso, nella particolare esperienza di vita del cricetide Scotinomys teguina. Anche detto topo marrone di Alston, o “topo canterino” per la sua particolare caratteristica di produrre vocalizzazioni molto più lunghe, e sofisticate, rispetto a quelle tipiche del suo intero ordine d’appartenenza. Così eccezionalmente fuori dal comune, in effetti, da averli fatti annoverare a più riprese tra le specie dotate di un linguaggio vocale il più possibile simile a quello degli umani, nonché paragonabile a quello delle intelligenti scimmie pigmee sudamericane (fam. Callithrix) eppure persino superiore ad esso, per la rapidità d’interscambio permessa dalle proprie squittenti locuzioni. Così che il concetto venuto in mente a Michael A. Long e colleghi, in grado di condurre per la prima volta in direzione a un’interpretazione razionale dell’intera questione, è stato quello di sottoporre l’animaletto a una serie d’analisi e prove assistite dalla tecnologia, giungendo ad un grado di comprensione tale da incrementare, un giorno, la comprensione del nostro stesso metodo comunicativo. Il che, considerata la quantità di persone che soffrono di disturbi di tipo neurologico che impediscono di pronunciar parola, è tutt’altro che un obiettivo malvagio, in potenza…
Il topo canterino, fatta eccezione per la sua ricca collezione di versi, è un abitante tutt’altro che atipico del suo particolare areale di appartenenza. Diffuso nell’intera area neotropicale, tra i paesi centroamericani di Panama, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e la parte meridionale del Messico, esso conduce un’esistenza per lo più onnivora in zone di tipo rurale, formando piccole colonie ad altitudini che si trovano tra i 1.000 e i 3.500 metri. Pur essendo comunemente definito per analogia un topo, si tratta in effetti di un rappresentante della stessa famiglia del comune criceto domestico, con un’ascendenza non facilmente osservabile da un non iniziato. Contrariamente al suo distante cugino siriano, ad ogni modo, si tratta di una creatura per lo più mattutina, che cerca il cibo principalmente verso le ore che anticipano l’alba, spostandosi gradualmente verso uno stato di torpore che raggiunge l’apice nelle ore crepuscolari. Conducendo ogni esplorazione di rito e interfacciandosi, nell’unico modo che conosce, con i suoi più amichevoli coabitanti.
Ora il “canto” o l’articolata conversazione che dir si voglia, tra due appartenenti alla specie degli S.teguina, si presenta alle nostre orecchie come un ripetersi piuttosto insistente di squittii modulari, per lo più ripetitivi. Ciò in quanto la parte maggiormente significativa del messaggio in questione viene effettivamente veicolata da frequenze appartenenti allo spettro degli ultrasuoni, così elevati che il nostro limitato apparato uditivo, purtroppo, non può essere in grado d’udirli. L’utilizzo principale di tali versi sembrerebbe coinvolgere il corteggiamento dei maschi nei confronti delle femmine, il che renderebbe l’intera casistica piuttosto simile a quella del già citato aspirante trionfatore a Sanremo. Se non fosse per l’abitudine piuttosto notevole, da parte di quest’ultime, di produrre un effettivo canto di risposta. Ed è proprio nell’alternanza estremamente atipica tra stati di produzione e ascolto, che il nuovo studio dei ricercatori di New York ha individuato un possibile appiglio per uno stadio di comprensione superiore: grazie all’iniziativa senza precedenti di raffreddare in maniera mirata (ed a quanto pare, priva di conseguenze) diverse zone del cervello di un certo numero di topi di
Alston presi nel mezzo delle loro conversazioni. Scoprendo in questa maniera, grazie all’effetto sulla loro eloquenza e la rapidità delle vocalizzazioni, che se il riflesso relativo alla materiale coordinazione tra i suoni aveva origine, come si era sempre pensato, nell’area della corteccia motoria orofacciale (OMC) l’effettivo impulso ad elaborarli e comporre frasi risiedeva altrove. Le canzoni dei topi soggetti all’indolore procedura, infatti, rallentavano in maniera significativa, restando tuttavia invariate nell’intonazione e il timbro.
Che cosa significa tutto questo per noi? Ottima domanda, e come spesso avviene nella ricerca scientifica pura e priva di una ricerca di profitto immediata, la risposta potrebbe risultare per qualcuno piuttosto deludente. Il fatto è che a fronte dei nuovi sviluppi grazie all’approccio inventato da Long e colleghi, ancora adesso possiamo affermare con assoluta certezza di non sapere esattamente in quale zona del cervello si origina l’impulso a comunicare di un qualsivoglia essere vivente. Togliendo però quanto meno, un ulteriore zona da quelle che fanno parte del novero contrapposto. Il che potrebbe anche permetterci, in un giorno probabilmente lontano, d’intraprendere la via della guarigione per individui affetti da autismo, danni neurologici o altri invalicabili ostacoli verso la reciprioca comunicazione.
“Sqweee, sqweee-t-t-t, sqwee” continua a fare il vostro ospite fluttuante sull’ombroso stipite, del tutto inconsapevole della ragionevole incapacità di comprendere il contenuto del suo topesco messaggio. Quasi come se tutti i topi di Panama, dopo un tuffo nel trafficato canale, avessero scelto di essere rappresentati da questo ambasciatore delle ore più tenebrose, latore di un messaggio carico d’importanza per le due specie. Poiché per quanto ci è dato possibile capire, è proprio nella lingua parlata che alberga il potenziale d’interfacciarsi tra diverse menti affini, indipendentemente dalla propria storia personale e l’eventuale presenza di vibrisse o una barba delle 5 del mattino. Verso la creazione di quell’ideale super-coscienza che a conti fatti, sarà il nostro lascito più rilevante per le future generazioni. Fatta eccezione per, inutile dirlo, il video del topo tedesco incastrato nel tombino.
Vedi anche: link allo studio scientifico oggetto di questo articolo, nascosto purtroppo dietro un paywall.