Il problema di progettare l’aereo passeggeri più grande del mondo, come fatto a turno da entrambe le compagnie più importanti del settore negli ultimi quarant’anni, è che trasportare il maggior numero di persone possibili comporta, immancabilmente, un considerevole dispendio di potenza. Dal che deriva la necessità d’includere, all’interno del velivolo stesso, uno spazio deputato al contenimento e stoccaggio di una quantità consona di carburante. E in determinati casi non stiamo certo parlando della quattro o cinquemila litri contenuti all’interno di una comune autocisterna stradale, né di due, tre o quattro volte quella cifra. Immaginate ora 64 camion, affiancati l’uno all’altro, che a turno svuotano il proprio contenuto liquido all’interno di un singolo dinosauro di metallo. Stiamo parlando di oltre 320 tonnellate, sulle 575 massime previste al decollo, destinate unicamente al tipo e la quantità di propellente necessario affinché l’aereo possa attraversare i cieli fino alla destinazione designata. Un peso… Considerevole, abbastanza perché ogni ulteriore chilogrammo possa suscitare dubbi in merito agli effettivi meriti di una tale impresa ingegneristica. Dal che deriva che ogni soluzione per così dire ideale usata nella storia dell’aviazione, tra cui quella dei serbatoi rigidi rimovibili o le fuel bladder (sacche flessibili e autosigillanti in gomma vulcanizzata molto apprezzate negli aerei militari) diventi assolutamente controproducente, contribuendo col proprio peso addizionale all’ulteriore riduzione della capacità di carico utile del titano. Ecco quindi l’unica soluzione possibile, usata indifferentemente in molti dei velivoli più imponenti al mondo: serbatoi integrati, ovvero facenti parte della struttura stessa che li circonda, condividendo essenzialmente le stesse paratie necessarie per altre ragioni all’interno del costrutto volante. Il che significa, nei fatti, che ogni tipo d’intervento d’analisi e riparazione compiuto sul sistema di distribuzione del carburante dovrà essere compiuto all’interno stesso di questi spazi, normalmente concepiti a una misura totalmente diversa da quella umana.
Siamo di fronte ad un video piuttosto misterioso, la cui provenienza viene lasciata all’interpretazione degli spettatori, così come la qualifica del protagonista, che sembrerebbe tuttavia fare parte della squadra di meccanici di un qualche grande aeroporto. La ragione di questa specifica inferenza è ricercabile nell’aspetto lindo e quasi immacolato dello scenario, costituito da quello che dovrebbe essere l’interno di uno dei due serbatoi principali dell’Airbus, situati nella parte più larga delle ali, strategicamente conveniente per la posizione dei motori ed anche la più resistente dal punto di vista strutturale. Questo tipo d’interventi, generalmente mirata ad un’ispezione approfondita per possibili segni d’usura o danni riportati dalle pareti metalliche del colossale recipiente/spazio cavo, può infatti essere effettuata soltanto previo svuotamento completo, portato a termine mediante l’uso di speciali pompe e successivo prosciugamento fino all’ultima goccia dei residui, al fine di rimuovere il vapore emesso normalmente dal carburante aeronautico, assolutamente nocivo una volta finito all’interno dei nostri polmoni. Il che può richiedere svariate settimane di lavoro, all’interno di un gigantesco hangar che dovrà essere integralmente deputato a una simile mansione. Soltanto allora un addetto con esperienza pregressa, idealmente capace di muoversi liberamente in assenza di ponderosi respiratori, potrà verificare la salda tenuta di ogni singolo rivetto, bullone o saldatura, al fine di avvisare la squadra di tecnici all’esterno del tipo d’interventi che dovranno rivelarsi opportuni per rinnovare la certificazione di sicurezza al paziente tecnologico del caso. Si tratta di un lavoro infrequentemente discusso, la cui importanza nel settore risulta però essere assolutamente primaria, sopratutto quando si considera il tipo di conseguenze che possono derivare da una sua mancanza, o svolgimento non conforme alle aspettative del produttore…
Nella storia dell’aviazione si sono verificati almeno un paio d’incidenti letali dovuti, secondo le indagini successive, ad un’impropria ispezione e mantenimento dei serbatoi alari integrati. Il meno catastrofico dei due coinvolse un piccolo idrovolante d’epoca Grumman G-73 Mallard (portata: 2 piloti e 18 passeggeri) risalente 1947, che nel dicembre del 2005 vide staccarsi improvvisamente l’ala destra nei cieli sopra Miami Beach, precipitando senza lasciare nessun sopravvissuto. Un evento la cui causa fu individuata, a posteriori, nella crepa che si era aperta internamente alla struttura, impropriamente arginata da un ignoto ispettore del serbatoio mediante l’impiego di un materiale sigillante, il quale finì per nasconderla alla vista e impedire così ai suoi colleghi d’intervenire al successivo aggravarsi della stessa prima del disastro. Ben più celebre, ed ancor più grave, era invece stata l’esplosione in volo del TWA 800, un Boeing 747 decollato dall’aeroporto John F. Kennedy di New York per dirigersi a Roma che il 17 luglio del 1996, alle ore 20:31, esplose letteralmente sopra l’Oceano Atlantico, uccidendo immediatamente le 230 persone a bordo. Tanto che per lungo tempo, l’FBI avrebbe sospettato un attentato terroristico con una bomba ad alto potenziale, finché il ritrovamento di parti del relitto avrebbe permesso d’ipotizzare il verificarsi di un cortocircuito dei sistemi elettronici contenuti nell’ala, causando l’irrimediabile deflagrazione del carburante di volo. Il tutto, ancora una volta, a causa di un’impropria conduzione delle operazioni di controllo dei serbatoi, mansione assolutamente primaria affinché una qualsiasi espressione del concetto di aviazione civile o militare possa dirsi, effettivamente, sicura.
Eppure osservando l’ignoto protagonista all’opera negli angusti spazi che costituiscono, probabilmente, il suo campo di battaglia quotidiano (accompagnato da un cameraman, niente meno) non risulta difficile comprendere la ragione di tali tragiche sviste nella storia recente dell’aviazione: lungi dall’essere un singolo spazio cavo, il che determinerebbe un’istantanea destabilizzazione in fase di virata dell’aereo che lo contiene, il serbatoio alare presenta numerose paratie finalizzate ad inibire il movimento assai problematico del suo contenuto, ciascuna delle quali lascia un passaggio appena sufficiente per una persona dotata di agilità e determinazioni sufficienti. Appare dunque subito evidente che non stiamo parlando di un lavoro adatto a chi dovesse essere sovrappeso. Ogni centimetro quadrato della struttura, e tutti gli impianti incluse le due pompe principali con i dispositivi di ridondanza (principalmente si tratta di aspiratori) dovrà essere analizzato a vista nei minimi dettagli e se possibile testato, il che tende a richiedere un periodo di soggiorno all’interno dell’ala piuttosto prolungato. Lo spazio angusto in cui tale compito viene svolto, inoltre, limita molto il tipo di dispositivi di sicurezza su cui l’operatore può fare affidamento, come dispositivi di respirazione o imbracature di sicurezza, da usare per soccorrerlo in caso di necessità. La stessa eventualità di portargli soccorso, in caso di malore o infortunio durante le operazioni, è sufficientemente complessa da richiedere sessioni di addestramento specifiche al personale dell’aeroporto.
Per quanto concerne la filosofia progettuale degli Airbus, descritta spesso come pietra di paragone per alcune scelte diametralmente opposte dell’eterna rivale Boeing, un aspetto primario sembrerebbe essere l’interconnessione degli spazi dedicati al carburante, che in questi aerei presentano spesso soluzioni mirate a favorire il ricircolo pressoché libero tra i diversi compartimenti dedicati allo scopo. Il che trasforma quelle numerose tonnellate di liquido, essenzialmente, in un qualcosa di equivalente all’emolinfa di una creatura naturale, usata al tempo stesso per lubrificare, stabilizzare e regolare la temperatura della creatura durante il volo. Non è perciò infrequente, durante una lunga trasferta, che i sistemi automatici di un Airbus A380 brucino completamente la loro riserva nella carlinga, per poi passare alla controparte principale nella sezione larga delle ali (contenente, da sola, 90.600 litri di propellente) lasciando per ultimi i serbatoi alle estremità delle stesse e quello nella coda. Ciò perché una volta incorporate simili quantità di liquido nella struttura in questione, è inevitabile che esse rivestano anche un ruolo finalizzato al mantenimento dell’assetto e la riduzione delle vibrazioni, possibilmente senza dover sfruttare superfici aerodinamiche per il trim (la “calibrazione” dell’orizzonte di volo) con conseguente riduzione dell’efficienza dei consumi.
In altri termini: tutto deve essere controllato e ogni deviazione dalla normalità accuratamente annotata negli appositi spazi della cartellina fornita in dotazione, pena l’insorgere non soltanto di catastrofi come quelle citate, ma anche di un problematico aumento delle spese di gestione da parte della compagnia di volo. Il che rende almeno un certo numero di tecnici, per ciascun aeroporto, totalmente immuni al problema della claustrofobia. E chi l’avrebbe mai detto, per un tipo di figura che lavora ai margini stesso del più vasto ed azzurro cielo!