C’è qualcosa di davvero insolito, qui. Una creatura selvatica non dovrebbe apparire magnifica e stupendamente sgraziata, con il pelo lungo che ingoffisce, le zampe corte, le orecchie quasi invisibili, la corporatura tondeggiante di Garfield e una sinuosa, quanto inutile, coda con gli anelli neri. Non ti aspetteresti certo di trovare, tra i terreni più remoti della Mongolia, del Tibet, del Transbaikal siberiano, di Kyrgyzstan, Pakistan, Kazakhistan e Kashmir, la ragionevole approssimazione di un gatto persiano, all’apparenza degno di partecipare ad una gara di bellezza tra le razze feline, tra bagnetto, croccantini e un sonnellino sul divano. Eppure, stiamo parlando di un animale abituato a vivere in completa solitudine, anche a un centinaio di chilometri dagli altri membri della propria specie, compagna per l’accoppiamento esclusa, ed ancor più lontano da qualsiasi cosa possa essere chiamata “insediamento umano”. Buon per lui, visto come la folta pelliccia sia stata in passato, per gli uomini del luogo, un sinonimo di ottimi cappelli o colli delle giacche (pure femminili) portando la creatura ad uno stato di conservazione necessariamente poco noto, eppure rientrante nello spazio degli animali potenzialmente a rischio d’estinzione. Stiamo parlando, per essere chiari, del Ману́л (Manul) l’essere più spesso definito con il nome del suo scopritore Peter Simon Pallas (1741-1811) naturalista di Berlino che visse e lavorò per lungo tempo in Russia. Finendo per donare il proprio appellativo, tra le altre cose, a uno scoiattolo, un cormorano, un’aquila, due tipi di pipistrello, al misterioso uccello, simile a una pernice, che Marco Polo aveva definito il Bugherlac e addirittura a un meteorite del tipo più fantastico, di cui parlammo in questa sede qualche tempo fa. Ma la sua classificazione più famosa, in quest’epoca in cui niente vende quanto l’impronta tipica del polpastrello dei felini, resta il qui presente insolito mammifero, pieno di risorse come i suoi compagni maggiormente prossimi al nostro contesto geografico, per lo meno all’epoca distante della loro vita nel selvaggio sottobosco. Benché il distante cugino russo, di problemi debba affrontarne alcuni molto significativi, tra cui un clima che tende a far sostare il termometro, in determinati luoghi, anche attorno ai -20 gradi. O per brevi periodi, molto meno di così.
Di certo deve costituire una visione quasi ultramondana: con la testa dalla forma stranamente tondeggiante e il volto piatto, a tal punto che alcuni tendono a scambiarlo, la prima volta e da lontano, per un qualche tipo di primate. Ha persino gli occhi tondi, invece che a fessura, come i nostri gatti casalinghi! Un tratto comune ad alcuni grandi felini, quali il leopardo, ma del tutto unico per un gatto del peso massimo di 4 Kg e mezzo, ovvero esattamente come i nostri coabitanti con lettiera e scatola dotata di maniglia da trasporto. Tra le altre differenze, meno denti nella parte inferiore della bocca, con l’assenza del primo paio di premolari, ma denti canini dalle dimensioni decisamente maggiorati. Ah, si, c’è un altro piccolo dettaglio: il nostro eroe, piuttosto silenzioso, può emettere talvolta rari versi di richiamo, se si spaventa o vuole avvisare la compagna di un pericolo imminente. In quel caso, si può dire, più che miagolare, abbaia. Davvero! Il sito del Telegraph dispone di un breve spezzone con registrazioni audio, che pare la testimonianza di un irrequieto branco di bassotti, indispettiti per il freddo e le sgradite circostanze. Mentre un gatto come questo, è molto raro che si perda d’animo. Il Manul che, come potrete immaginare in funzione delle corte zampe, non è un grande corridore, tende a reagire alla venuta di eventuali predatori con un certo grado di furbizia: se possibile, si nasconde tra le rocce o nelle tane di altri animali, come le marmotte. In assenza di questa possibilità, cerca di mimetizzarsi, restando immobile anche per lunghi periodi. Le testimonianze di chi li ha studiati, nel loro ambiente naturale, sono piene di frangenti in cui il gatto, adagiandosi in prossimità di tronchi o collinette scelte ad arte, è letteralmente scomparso dagli occhi dell’osservatore, come la creatura sovrannaturale che potrebbe ricordare, nell’aspetto, le movenze e l’insolito stile di vita.
Nota: il video di apertura mostra Nicholas e Alexandra, i due gatti di Pallas dello zoo di Prospect Park, a Brooklyn.
Le abitudini alimentari di questo gatto sono principalmente carnivore, e di un tipo particolarmente gradito all’uomo: l’animale si nutre con trasporto, infatti, dei piccoli mammiferi del genere Ochotona, talvolta detti conigli fischiatori, particolarmente prolifici e dannosi per l’agricoltura. Tende a dargli la caccia di giorno, sfruttando tattiche d’imboscata ed appostamento, grazie alle sue capacità mimetiche davvero d’eccezione. Il pelo del gatto di Pallas assume infatti una tonalità grigia scura d’inverno, mentre diventa più tendente al color ocra maculato con il sopraggiungere dei mesi caldi, per meglio assecondare la vegetazione tipica del suo areale. Altre componenti della sua dieta includono le arvicole, i gerbilli e l’equivalente centro-asiatico del fagiano, l’Alectoris chukar. Qualche volta, inoltre, da la caccia ai giovani delle marmotte, benché ciò resti alquanto raro, principalmente in funzione del rapporto simbiotico tra le due specie di animali. Nulla è infatti più utile al Manul, che una tana abbandonata dallo scoiattolo gigante dei Carpazi (che in una celebre pubblicità incartava la cioccolata, ma questa è tutta un’altra storia) dove spesso egli sceglie di allevare i propri cuccioli, cercandovi rifugio dalle intemperie ed il clima inclemente di cui sopra. Capita persino, raccontano le fonti, che talvolta una colonia di marmotte conviva con uno o più gatti, senza che le due genìe abbiano motivo di entrare in qualsivoglia tipo di conflitto.
La riproduzione di questi gatti, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è invece piuttosto complicata, principalmente in funzione dei rigidi climi in cui ha necessità di svolgersi. La femmina del Manul va in calore solamente per 26/42 ore ogni sei mesi, periodo durante il quale, se non dovesse trovare un compagno, perderà l’occasione di restare incinta. Qualora ciò dovesse invece verificarsi, trascorso un periodo di 66-75 giorni, la gatta partorirà un numero variabile tra i due e i sei cuccioli, molto raramente uno solo. La pluralità della prole, ritengono gli scienziati, sarebbe dovuta all’alto grado di mortalità infantile, per la difficoltà di procurare abbastanza cibo da un’ecosistema tanto inospitale. Un potenziale di decessi che non fa che aumentare in cattività, per l’inefficacia del sistema immunitario di questi gatti, che evolutosi per funzionare ad altitudini estremamente significative, risulta inutile contro molti dei germi trasmessi a quote normali dagli altri animali o dall’uomo stesso. Nonostante la relativa diffusione del gatto di Pallas nel suo ambiente naturale, infatti, ad oggi ne esistono soltanto 47 tenuti in cattività, con una sfortunata dipartita dei loro cuccioli fissata al 44,9% entro 30 giorni dalla loro venuta al mondo, a causa di infezioni o malattie. Potrete quindi facilmente comprendere la ragione per cui questo animale, ad oggi e nonostante il suo magnifico aspetto, non si sia diffuso nelle case degli amanti di animali esotici, più o meno forniti di risorse finanziarie d’eccezione.
Dal punto di vista tassonomico, la collocazione del gatto di Pallas è tutt’ora largamente discussa. A parere di alcuni studiosi, infatti, l’animale non rientrerebbe neppure nel genere Felis, ma da alcune caratteristiche del cranio e dalla sua conformazione fisica, andrebbe classificato come unica specie sopravvissuta dell’antico gruppo degli Otocolobus, tra i primi felini, in senso moderno, ad essersi evoluti dai mammiferi della preistoria. Di sicuro, l’aspetto di questo insolito e magnifico animale si richiama a quello di una creatura di altri tempi e luoghi, nonché, incidentalmente, ad alcuni mostriciattoli meravigliosi, inventati dai disegnatori del cinema o dei videogames. Un piccolo yeti dagli occhi di ghiaccio, o per usare un’altra chiave interpretativa, la versione accarezzabile del Wampa, l’antagonista di Luke Skywalker nel corso delle prime scene de L’Impero colpisce ancora.
State però certi di una cosa: questa meraviglia deve avere un qualche tipo di magagna comportamentale. Essere particolarmente diffidente della mano che lo nutre, mordace e/o perennemente ringhioso. Altrimenti, poco ma sicuro, qualche negozio d’animali, più o meno lecitamente, troverebbe il modo di averlo “in stock“. Nella terra che fu un tempo di Gengis Khan, la vasta Mongolia, il Manul non è neppure protetto. Verrebbe voglia quasi di andare fin laggiù. Per coccolarlo! E dargli da mangiare. Gli piacerà il tonno? A quale gatto, non…