Il selvaggio rituale di pesca del popolo Dogon

Antogo ritual

Sono spesso le barriere, geografiche, artificiali o d’altro tipo, ciò che determina in massima parte la distinzione culturale tra i popoli, dando l’origine al concetto stesso di un’etnia che possa sopravvivere, ed evolversi, sulla base delle proprie usanze e tradizioni millenarie. E nessuno potrebbe mai negare, in un’analisi della gente del Mali, l’enorme divisione che caratterizza l’uomo e il territorio. Una fortezza naturale, un valico inavvicinabile, la solida parete contro cui appoggiare gli edifici dei villaggi e perché no, la propria schiena in cerca d’ombra: la massiccia falesia di Bandiagara, un dirupo lungo 200 Km che taglia letteralmente a metà, da sud verso nord-est, questi vasti territori dell’Africa Occidentale, occupati in massima parte dal grande deserto del Sahara. Ma dove persistono degli insediamenti umani, si sa, deve esserci dell’acqua. Anche se viene da lontano. Ed è tutt’altro che…Abbondante. Come un filo che discende, in pochi solchi naturalmente scavati nell’arenaria, dal grande fiume Niger in prossimità polle strategiche da usare per l’agricoltura e in rari casi, la pesca. Una pratica già messa in atto, con alta probabilità, dall’ancestrale gruppo etnico dei Tellem, affini alle popolazioni pigmee, che qui costruirono le proprie tombe in luoghi elevati dal terreno, per proteggerle dagli occasionali scrosci alluvionali, tutt’altro che ignoti, persino in questi luoghi tra i più secchi del pianeta. Ma furono gli eredi successivi di questa regione, migranti provenienti dall’Egitto di circa un migliaio di anni fa, che scacciati via i loro predecessori, che qui costruirono vaste comunità lontano da occhi indiscreti, rifiutando in massa la cultura di matrice araba proveniente dal Vicino Oriente.
E furono proprio loro, adottando uno stile di vita semplice ma ricco di complesse tradizioni ed antichi racconti, a trovare infine il metodo migliore di sfruttare una risorsa estremamente rara in questi luoghi, nonché preziosa, e tenuta in alta considerazione dai membri di ogni famiglia del popolo dei Dogon. Stiamo parlando, per intenderci, della gustosa carne dell’Oxydoras niger, una specie di pesce gatto locale, che agendo come spazzino sui fondali sabbiosi del fiume, viene ogni anno puntualmente trasportato a valle, nel corso delle piene che si sviluppano nella stagione umida, soltanto per andare incontro ad un improvvido destino. Perché succede allora, con l’avvicinarsi della primavera, che il complesso sistema di bacini idrici alla base della falesia di Bandiagara, puntualmente, inizi a prosciugarsi. Tale delicata situazione ecologica, in particolare, viene da sempre associata alla preziosa polla di quello che viene qui definito il lago Antobo, in prossimità del villaggio che ha il nome di Bamba. I cui anziani, da tempo immemore, sono incaricati di stabilire la data del rituale dello svuotamento, un giorno fatidico e fatale, generalmente fissato attorno alla metà di maggio, in cui tutti gli appartenenti al popolo Dogon, inclusi quelli onorari, vengono chiamati qui, rigorosamente armati con particolari ceste dalla funzione di nasse da pesca. Con la finalità di procurare le vivande per un glorioso banchetto annuale, il cui pari non esiste fra tutte le feste locali ed invero, dell’intera Africa Orientale. Questo sacro giorno, spesso fatto oggetto di studi e documentari da parte di divulgatori antropologici di molte nazionaltà, prende il nome di Antoku. E restain maniera particolare famoso, su Internet, il video realizzato dalla Tv inglese di stato BBC nel 2011, due anni dopo ripubblicato in versione più estesa in concomitanza con la messa in onda della nuova serie di documentari Human Planet, nel corso del quale si possono osservare le centinaia di persone, che giungono per l’occasione da tutte le comunità limitrofe fino ai confini più remoti del Mali, con mezzi furistrada a motore, con carretti, a dorso di cammelli o muli, per partecipare dell’esperienza di prendere i pesci dal lago. Tutti i pesci, fino all’ultimo, nessuno escluso.

Mali fishing
Simili rituali sono utili e diffusi nell’intera nazione del Mali. Eccone ad esempio un’altro, pubblicato sul canale di HumboldtMike che lo riprese nel 2014, condotto con modalità simili da un popolo diverso dai Dogon. Sulla base della lingua identificata dall’autore del video, sembrerebbe possibile considerare questo popolo come appartenente alla vasta sfera dei Mandingo, gruppo etnico di religione Musulmana.

Sembra la scena di un film apocalittico sulla fine del mondo. I partecipanti all’evento, tutti rigorosamente di sesso maschile (i Dogon praticano delle severe norme di divisione tra i sessi) si dispongono ad anello attorno al lago, in realtà non molto più vasto di una piscina olimpionica. In alcuni minuti di raccoglimento, tutti pregano gli spiriti dei loro antenati, affinché essi possano concedergli una pesca molto vantaggiosa. Ciò perché, in effetti, non c’è modo di sapere quanti pesci gatto si trovino quell’anno nelle acque di Antobu, nascosti sotto il fango opaco della sua silenziosa superficie, quietamente priva di qualsiasi increspatura. Una situazione destinata a cambiare molto presto, con il palesarsi del segnale predeterminato, ovvero un colpo di fucile, che determina il momento d’inizio dell’assalto collettivo a questo piccolo avamposto del secondo elemento, unica occasione disponibile a un intero popolo d’immaginarsi il mare o l’oceano, esistenze assai distanti, nel tempo e nello spazio di costoro. Così l’intero popolo in festa si tuffa, ed inizia a setacciare ogni centimetro cubo di quell’acqua usando lo strumento delle nasse intrecciate. Mano a mano che i partecipanti catturano dei pesci, lo inseriscono all’interno di apposite borse di pelle, prodotte dai conciatori del luogo. Ma c’è anche chi, preferendo un metodo più semplice e diretto, preferisce tenerli ben stretti fra i denti, facendo la spola con il punto di consegna collettivo, presenziato dallo sciamano di Bamba, lo Hogon. Tale ruolo, affidato all’uomo più saggio di ciascuna comunità, è contrassegnato da un tipico fez rosso, oltre al bracciale ornato con una perla sacra, che richiamerebbe ogni notte nell’abitazione di costui Lébé, la serpe sacra, che purificherebbe la sua anima donandogli la conoscenza. Proprio per questo, è usanza che gli Hogon vivano da soli, lontano dall’influenza del mondo femminile, ritenuto impuro. L’individuo sacro dovrà presenziare all’attività di pesca, concentrata integralmente in 15 frenetici minuti, al termine dei quali, in genere, nel lago non resterà nulla di vivente, con la possibile esclusione di qualche uova di pesce gatto sul fondale. Sarà quindi lui, ricevuto tutto il pesce, a dividerlo equamente tra i partecipanti, con un occhio di riguardo per le famiglie che hanno dato il contributo maggiore all’impresa. Generalmente, il gruppo più premiato sarà quello del suo stesso villaggio, che del resto, data la vicinanza geografica, è spesso quello più numeroso.

Dogon Dama
In questo video del National Geographic viene mostrato il Dama, un rituale Dogon messo in pratica al termine del periodo di lutto per un decesso, con ricche danze e maschere create grazie a tecniche ancestrali. Simili eventi, estremamente dispendiosi per le popolazioni locali, sono stati trasformati in tempi più recenti in attrazioni turistiche, generalmente seguita dalla vendita di prodotti dell’artigianato locale.

Il significato del rituale della pesca al pesce gatto per l’intero popolo dei Dogon, composto da un numero stimato tra le 400,000 ed 800,000 persone (tanto vive in regioni isolate ed ardue da censire) è molto difficile da sopravvalutare. La sacralità dell’acqua è infatti un punto fermo della loro identità culturale, che li porta naturalmente a trattare un simile elemento, più che mai raro in simili regioni, con un senso di reverenza che sfiora il timore. E questo per un complesso impianto di miti che si perde nella nebbia dei tempi. Secondo la cosmogonìa Dogon, tramandata in maniera orale ed a noi nota principalmente grazie all’opera dell’antropologo francese Marcel Griaule, in origine l’universo era abitato in via esclusiva dai Nummo, esseri simili a rettili soltanto vagamente antropomorfi che nascevano in coppie gemellari, di un maschio ed una femmina, ciascuno infuso in maniera cosmica del princìpio stesso del suo solo sesso, rigorosamente opposto all’altro. Simili creature, a volte descritte come Dei dei fiumi, avevano la coda, sapevano cambiare colore alla stessa maniera dei camaleonti ed erano “pesci che potevano camminare”. E vissero in armonia finché, per loro e nostra sfortuna, non giunse sulla Terra il primo discendente antropomorfo dello sciacallo, una creatura che era al tempo stesso maschio e femmina, priva di un gemello quindi e tragicamente incompleta. E fu così l’umanità, incautamente, mischiò il suo sangue con lui, tradendo i suoi antichi protettori sovrannaturali. È una sorta di peccato originale, questo, affine alla vicenda che narrano certe altre religioni del pianeta, la cui narrazione, come spesso capita, viene usata per giustificare antiche prassi culturali. La cui origine sarebbe andata, altrimenti, ormai perduta al mondo.
In funzione di queste antiche credenze, i Dogon praticano ancora la circoncisione di entrambi i sessi, poiché uomini e donne incorporano in se, affermano gli anziani, alcuni elementi rispettivi della controparte. Ed è ciò, nella mentalità dei Dogon, a renderli imperfetti. Ma persino il rispetto delle acque, nel dì lungamente atteso del meraviglioso Antoku, viene ormai da tempo subordinato all’occasione di un magnifico banchetto collettivo. E chi può dire cos’altro, prima o poi, potrebbe essere soffiato via dal vento delle Ere? Considerate, del resto, quanto segue: le donne non possono bagnarsi nel lago sacro di Bamba, perché considerate impure. Ma fu proprio una di loro, secondo la leggenda, a scoprire per prima l’esistenza dei pesci gatto, tesoro della collettività. Non sempre i popoli necessitano d’interventi dall’esterno, per cambiare…

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