A pesca di carri armati negli acquitrini della Russia

T-34

Un nuovo brivido percorre i freddi spazi tra le case del villaggio di Malakhovo vicino Pskov, nella Russia europea settentrionale. “Sono arrivati, finalmente! Gli Ariyergard stanno per immergersi nella palude!” Come, chi? Quelli “della Retroguardia” un gruppo di appassionati cercatori, ex-militari in congedo, sportivi ed archeologi in erba, forniti di tutte le risorse necessarie, sia in termini di know-how che dal punto di vista più prosaicamente finanziario, per ripescare un tipo assai particolare di ponderoso dinosauro, che caplestava queste stesse lande circa una sessantina di anni fà. La Preistoria: uno stato mentale, ancora più che un’epoca cronologicamente definita. Basta, dopo tutto, un periodo di feroce barbarismo, in cui l’uomo ridiventa la creatura in lotta per il territorio, contro agenti ostili provenienti da quell’altra parte, perché si frapponga un muro divisorio tra quello che era, ciò che sopravvive limpido e indefesso. Ciò dicevano gli anziani dell’oblast, a chiunque transitasse nel remoto Malakhovo. Insieme a un’altra storia, così strana, e al tempo stesso stranamente tipica di questi luoghi. Recitata in modo enfatico dal vecchio Vasiliy, oppure Boris, o ancora quel vulcano di Anatoly: “Le tracce, le ricordo molto bene. Segni di cingoli, vicino al bassopiano paludoso, che avanzavano sicuri verso il tratto più pericoloso. Dove le nostre capre vanno a scomparire, risucchiate via nel buio dell’oblio. Il segno di qualcosa di grosso che…Entrava. Per non uscire mai più. E poi, le bollicine d’aria. Proprio lì, per circa un mese, quando andavo a fare scampagnate da ragazzo; come di un grande recipiente gradualmente intento a riempirsi…” Indubbiamente, molto strano. Per quello che sappiamo dei dinosauri sommersi, fuoriusciti ad esempio dai pozzi di catrame di Rancho Las Breas vicino Los Angeles, della loro forma sopravvive sempre molto poco. Appena qualche osso sbiancato dalle epoche, che difficilmente potrebbe contenere l’aria sufficiente a far le bolle per diverse settimane. Nè del resto, qui stiamo parlando di creature come le altre. Un portavoce storico della Prima Divisione Carristi della Turingia, successivamente alle dure avventure vissute verso la seconda metà del 1941, scriveva in questo modo: “Quei [carri armati russi] erano davvero qualcosa di mai visto prima. La nostra compagnia fece fuoco alla distanza di 700 metri, senza ottenere nessun risultato. In breve tempo, ci ritrovammo a 100 metri, continuando a mandargli contro tutto quello che avevamo. Ma le nostre migliori munizioni non facevano che rimbalzare contro quelle solide armature! Il nemico ci stava oltrepassando senza nessun tipo di problema, puntando dritto contro la fanteria, del tutto inerme ed indifesa.”
Proprio così. In nessun altro momento della storia dell’uomo, dei mostri (meccanici) sono stati tanto prevalenti come quando le fabbriche sovietiche sfornavano a regime uno scafo dopo l’altro di pesanti ed economici T-34 o gli inamovibili titani d’acciaio della serie KV. Tanto che l’esercito della Wehrmacht tedesca, impegnato nella fallimentare operazione Barbarossa, pur essendo pienamente cosciente della propria superiorità strategica ed operativa, trovandosi di fronte a tali cingoli sapeva di doversi ritirare o tentare vie d’approccio alternative: il tipo di armi montate a bordo dei Panzer III e IV semplicemente non sortivano effetti di alcun tipo. Ed è quindi davvero comprensibile, come per i nostalgici (a torto o a ragione) di quella che oggi viene in certi ambienti definiti la Grande Guerra Patriottica, il ritrovamento di una queste creature sia un’occasione entusiasmante, meritevole di grande impegno personale. Per citare il più avventuroso degli archeologi, con frusta e cappello come accessori: “Quel [carro armato] dovrebbe stare in un museo!” E se mai c’è qualcuno che aveva preso in particolare antipatia il nazionalismo tedesco di allora…Oltre ai serpenti, s’intende?!
È una scena piuttosto epica, complice la colonna sonora, e davvero coinvolgente: il sommozzatore degli Ariyergard riemerge dalla fangosa propaggine del Lago dei Ciudi, confermando la testimonianza dei locali. A questo punto, giunge sulla scena il fido trattore dell’organizzazione, un potente bulldozer Komatsu D375A-2, occasionalmente preso in affitto dalla compagnia AS Eesti Polevkivi. Si stendono ed assicurano i cavi, inizia il rombo dei motori. Gradualmente, qualcosa si comincia a intravedere…

STUG-III
Tra gli altri ritrovamenti di questo gruppo di archeologi del periodo bellico, spicca questo Sturmgeschütz III da loro definito “STUG 40” (abbinando il nome gergale d’epoca con il numero di serie del cannone) un pezzo d’artiglieria tedesco di supporto alla fanteria, spesso usato come cacciacarri in funzione del suo potente armamento. Ai tempi dell’operazione Barbarossa, era uno dei pochi mezzi in grado di penetrare l’armatura dei T-34 russi.

Il Vecchio di Croghan, la Ragazza di Yde, la Mummia di Tollund, gli Uomini di Weerdinge. Cos’ha in comune con gli altri ciascuno di questi incredibili ritrovamenti, di un uomo o donna preistorica perfettamente preservati? Elementare: la sua forma integra è riemersa a seguito dell’escursione nelle profondità di una torbiera naturale, il tipo di palude in cui c’è una grande massa d’acqua, in movimento lento e a bassa temperatura. In tali condizioni, l’assenza dell’ossigeno impedisce il verificarsi dei naturali processi di decomposizione. O il formarsi della ruggine su un carro armato…I decenni, in questo modo, si trasformano in minuti. E tanti sembrano essere trascorsi, al momento della riemersione, da quando questo notevole T-34-76, pienamente identificato dagli storici degli Ariyergard, si stava recando verso il fronte vicino alla comunità di Ostrovito, nell’inverno del ’42. Ma poiché era il 12 dicembre, e l’acquitrino appariva completamente ghiacciato, la colonna fece la scelta impropria di passarvi attraverso, ottenendo risultati in larga parte positiva. Tranne che per questo singolo elemento, riconoscibile dall’iscrizione “Смелый” (coraggioso) sulla parte frontale, che lentamente, inesorabilmente, prese a sprofondare. L’equipaggio si salvò e continuò a marciare verso la battaglia, dove sappiamo che il comandante del carro Minin restò ferito. Il pilota-meccanico Tarehin Berezhnaya, invece, fu riassegnato all’interno di un altro carro armato, da dove diede il suo contributo allo sforzo per difendere la madrepatria.

Tiger Tank
La maggior parte dei carri Tiger sopravvissuti alla guerra sono tenuti in alta considerazione dai collezionisti e dai musei. Quando funzionanti, possono arrivare a valere cifre estremamente considerevoli.

Il paragone tra i dinosauri ed i mezzi da guerra resta sempre molto popolare, forse anche perché funziona a più livelli. Nell’estinzione delle grandi lucertole preistoriche, infatti, vi è la chiave di una comprensione fondamentale dello stato delle cose, sia naturali che costruite dall’uomo: ad ogni miglioramento, non può che corrisponderne un secondo contrapposto, portato avanti dalla parte ostile. Così, mentre i rettili diventavano più grossi e resistenti, i mammiferi erano agili, prolifici e scattanti. E sappiamo molto bene come andò a finire questa storia…Mentre nel periodo della seconda guerra mondiale, con i carri armati, successe l’esatto contrario. Nel 1942, preoccupato dall’andamento della guerra sul fronte orientale, Hitler in persona si rivolse ai dirigenti dei suoi due principali bracci ingegneristici, le grandi compagnie Porsche ed Henschel, perché avviassero la produzione di mezzi migliori. Il febbrile periodo di ricerca e sviluppo successivo portò alla produzione dei rispettivi due prototipi, il VK 30.01 (P) e VK 45.01 (H), quest’ultimo destinato a vincere l’appalto e diventare il celeberrimo carro Tiger I. Un mezzo costruito secondo gli stessi crismi operativi dei pesanti carri sovietici, ma infinitamente più affidabile, veloce ed efficiente. Nonché conseguentemente, estremamente costoso da produrre. Entro la fine della guerra, ne sarebbero entrati in servizio solamente 1.347 esemplari, oltre a 492 del modello successivo Tiger II. È tuttavia indubbio che l’effetto psicologico che avevano, al loro arrivo sul campo di battaglia, fosse difficile da trascurare.
Lo spessore notevole della corazza di questi giganti era infatti sufficiente ad invertire, per la prima volta, i rapporti di potenza. Si racconta ad esempio come il 7 luglio del 1943, un singolo Tiger delle SS comandato dall’ Oberscharführer Franz Staudegger avesse ingaggiato un gruppo di 50 (CINQUANTA) T-34 in prossimità di Psyolknee, bloccandone l’avanzata e distruggendone ben 22, un’impresa che gli valse la medaglia della croce di ferro da cavaliere. Non che gli ingegneri russi, di fronte a un simile terrore, fossero rimasti totalmente privi di idee.

ISU-152
Cosa sono 65 anni di inattività, rispetto a un lavaggio con acqua pressurizzata e qualche corroborante sorso di vodka per accompagnar l’evento?

Questo è l’ISU-152 restaurato e persino messo in moto da un’altro gruppo di ricercatori di reperti bellici, l’azienda tecnologica Tanai. Il veicolo fu riscoperto nel 2003, presso un villaggio ucraino (non specificato) che doveva teoricamente metterlo su un piedistallo e farne un monumento, ma che si era poi trovato privo di risorse finanziarie nel momento della verità. Così la nostra equipe tecnologica l’ha ritrovato, ai margini della comunità in questione, completamente dismesso e ricoperto dalla ruggine, eppure eccezionalmente integro e potenzialmente funzionale.
L’ISU-152 rappresentava, nel 1943 per i carri Tiger tedeschi, quello che lo STUG era stato per i T-32 e KV nell’anno precedente: un nemico temuto e difficile da contrastare. Ugualmente privo di torretta, e quindi dotato di un profilo basso (molto relativamente in questo caso, vista la stazza complessiva del veicolo) assolveva al doppio compito di pezzo d’artiglieria e cannone anti carro, grazie ad un impressionante obice ML-20S da 152 mm. Il mezzo, che pesava 45 tonnellate e mezzo, portava in genere 13 munizioni esplosive e 7 perforanti, pesantissime e che dovevano essere caricate a braccio da un servente estremamente ben addestrato. Nonostante ciò, il veicolo non poteva sparare più di tre volte al minuto. Come nella maggior parte dei veicoli analoghi degli altri schieramenti, l’ISU era basato sul telaio di un carro convenzionale, in questo caso l’IS(Iosif Stalin)-3, un veicolo estremamente efficace e che vide un uso molto più continuativo per il resto della guerra. Gli stessi tedeschi avevano già compiuto una mossa simile, con la costruzione dei giganteschi cacciacarri Elefant, basati sui 90 telai prodotti anticipo, prima del rifiuto del prototipo del Tiger della Porsche. In funzione della politica di denominazione della Wehrmacht,  attribuiva nomi di animali ai propri carri, l’ISU-152 ricevette il soprannome di “Uccisore di Bestie”. Ed è quindi al tempo stesso deludente, ma anche estremamente tranquillizzante, vedere il suo cannone soccombere alla fresatura degli addetti della Tanai nel corso della spietata smilitarizzazione, effettuata su cortese richiesta della polizia ucraina, prima che venisse dato il via libera a rimettere in funzione il grande residuato. Dopo tutto, quella particolare regione d’Europa è già abbastanza destabilizzata, senza che un gruppo di “appassionati” se ne vada in giro per la campagna con un’arma devastante delle epoche trascorse!
Ma i dinosauri, alla fine, possono morire? Cos’è la privazione di un singolo cannone, rispetto ai ricordi idealizzati di chi c’era stato, l’apprezzamento incondizionato, auspicabilmente privo di ideologie politiche accessorie, della tecnologia potente e inarrestabile, impegnata in un severo sforzo collettivo…Certo, un’arma simile serviva unicamente a causare danni ai paesi stranieri e ciò che ne costituiva il sangue vivido e pensante: noi meri esseri viventi. Lo stesso obiettivo perseguito dalle fauci di qualsiasi dinosauro rispettabile, per quanto ormai sommerso dall’oblio del tempo. Quindi, guarda! Almeno in questo deleterio ed esiziale campo, i nostri mostri d’acciaio erano alla pari… Con la furia inconoscibile della natura.

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