Trent’anni di eroi del cinema per un confronto alla Carlito’s Way

Hell's Club

Grazie all’opera di un abile regista e montatore parigino, Antonio Maria da Silva della AMDS Films, già famoso per aver fatto scontrare virtualmente tra di loro alcuni pesi massimi degli anni ’90, come Terminator e Robocop, Schwarzenegger e Stallone. Ma mai niente che abbia raggiunto proporzioni simili, attraverso la creazione di dieci dei minuti maggiormente memorabili che siano mai stati prodotti senza un budget superiore, con un trionfale susseguirsi di personaggi e star famose, chiamate dapprima semplicemente a coesistere, poi a decidere chi debba prevalere fino alla generazione successiva. Nell’unico modo che conoscono molti di loro, almeno stando agli schermi cinematografici: attraverso l’impiego di una pioggia di pallottole fumanti. Si dice che l’effetto speciale migliore sia quello che non noti, e dopo tutto, questo si rivela vero anche nel settore del montaggio, che viene citato dai cinefili inesperti unicamente se è troppo lento, o inutilmente confuso. Ma che diventa fondamentale in ogni singolo momento quando si sta creando l’amalgama di tanti elementi drammatici diversi tra di loro, eppure accomunati da un singolo filo conduttore: il buio ed il rumore del night club. Un luogo topico, ma anche caotico per definizione, dove spariscono i freni inibitori e le persone tendono a trovare modi nuovi d’esistenza. Diventando i guerrieri accidentali di quello che l’autore ha scelto di chiamare suggestivamente Hell’s Bar. Il Bar dell’Inferno ha una serie di regole non scritte, la cui conoscenza è fondamentale per godersi una serata in mezzo ai propri simili venuti dal mondo del cinema d’autore. Punto primo, attraversata quella porta, si deve comprendere di aver lasciato il proprio mondo. È come una soglia interdimensionale, l’equivalente grossomodo quadratico di un buco nero, che accoglie chiunque ma lascia passare indietro solamente particelle disgregate, miseri residui sopra l’orizzonte degli eventi. Nessuno può sussistere in un tale luogo, senza dimostrare delle doti di auto-affermazione totalmente fuori dal comune. Punto secondo, i conti si pagano sempre subito, e in contanti. Ce lo spiega indirettamente il padrone ed amministratore del club, niente meno che Al Pacino all’epoca del 1993, reso traslucido e immanente grazie alle capacità distorcenti di un simile hub dimensionale. Ma non prima che tra i molti avventori della serata inizino a palesarsi i primi avventori problematici, ovvero l’Obi Wan dell’Episodio 1, Ewan McGregor, assieme a Liam Neeson, nel ruolo del suo maestro sfortunato Qui-Gon Jinn. I due giungono per la cattura di un pericoloso criminale, che pare potrebbe essere una donna. E poco importa se al piano di sopra, prima di trovare un dividersi a cercarla, scorgano l’immagine dell’Io futuro del primo dei due, il cupissimo Darth Vader, impegnato ad incrociar la spada laser con un figlio ancora neanche concepito, tanto meno reso nemico dalle due strade divergenti della Forza. Neanche il misticismo Jedi può penetrare il campo distorcente di questa location fuori dal tempo e dai mondi dell’universo quantico e deterministico. Dove Tom Cruise, acconciato come lo era in Cocktail del 1988, fa naturalmente il barista, ma Tom Cruise con la fondina pronta all’uso, nel frattempo, è anche il capo della sicurezza estratto da Collateral (2004) impegnato a sorvegliare con un ciglio attento gli avventori, assieme alla sua spalla Blade (Wesley Snipes) il mezzo vampiro più temuto dell’East Side. Il che ci porta alla terza regola dell’Hell Bar: qui, la logica non è di casa. Anche perché tra gli ospiti di questa sera, guarda caso, è presente anche quel Tony Montana di Scarface, che oltre ad essere lo spietato gangster cubano che noi tutti ricordiamo, ha la non indifferente problematica di poter assomigliare in modo impressionante al padrone del locale, se soltanto quest’ultimo avesse avuto esattamente 10 (ah!) anni di meno. E non manca in effetti un duro confronto di sguardi magnetici tra le due parti, creato grazie all’uso di uno dei pochi effetti digitali dell’intera sequenza.
Perché nel cortometraggio di Antonio Maria da Silva, questa è forse la cosa più incredibile, non c’è tutta l’avanzatissima tecnologia che potrebbe sembrare. Il creatore del video ha più che altro sfruttato, grazie a un colpo di genio niente affatto indifferente, le diverse scene rilevanti estratte dai film di ciascun personaggio, selezionate in base non soltanto a un filo conduttore di causa ed effetto, ma in funzione del fondale, che potesse in qualche maniera essere rimaneggiato e riproposto come quello di un night club. L’alterazione più efficiente in questo, che si estende dal primo all’ultimo minuto della memorabile sequenza, è l’aggiunta di un vistoso filtro tendente al rosso, che pur essendo uno dei tratti dominanti, non diventa mai eccessivamente ingombrante, ne distrae dall’evolversi della serata, destinata letteralmente a far scintille, benché fortunatamente, soltanto nella finzione scenica della violenza immaginaria.

Hell’s Bar, un luogo derelitto e desolato. Creato per associazione con quei tòpoi consumati dell’Inferno o del Limbo, una sorta di ultramondo, dove si ritrovano buoni e cattivi, poco prima del trapasso definitivo. Del resto sono molti, soprattutto tra i principali protagonisti del “racconto” a non essere sopravvissuti alla vicenda che ce li ha fatti conoscere in un tempo che si estende dalla fine degli anni ’70, fino ai primi del 2000. E del resto meritano una menzione anche alcuni degli avventori accidentali, personaggi del calibro di Stanley Ipkiss di The Mask (Jim Carrey) Robocop nel ruolo di Robocop (lo dicono gli irriverenti titoli di coda) Austin Powers (Mike Myers) Trinity di Matrix (Carrie-Anne Moss). E addirittura Michael Jackson, che pur non essendo un personaggio immaginario di per se, qui sembrerebbe comparire nella versione del film del 1988 Moonwalker, in cui si esibiva per sconfiggere i cattivi. E che qui non può far altro che restare a guardare, mentre sulla pista da ballo si susseguono  Kim Basinger di Basic Instinct, John Travolta nel ruolo di Tony Manero (La febbre del sabato sera) di nuovo John Travolta di Pulp Fiction, e innumerevoli altri volti noti della cinematografia internazionale. Eppure grazie all’ottimo lavoro dell’autore, tutto ciò non sembra affatto una rassegna, ma l’inizio di una storia, l’atmosfera che preannuncia il cataclisma.

Arnie Vs Sly
Tra le altre opere della AMDSFILMS, degno di nota è questo “Sly Vs. Schwarzenegger” in cui scene di Predator e Rambo vengono rimaneggiate e amalgamate, per far sembrare che i due attori combattano tra loro. Il filtro cromatico scelto in questo caso è un preoccupante ed insolito verde vegetale.

E infatti a un certo punto, guarda caso, gli animi iniziano a scaldarsi. Come potrebbe essere diversamente, vista la personalità di alcuni dei personaggi citati? I due Jedi trovano la loro taglia, che disarmano e dis-mànano grazie all’uso della spada laser (un altro deja-vu!) E trasportano via, tra gli sguardi totalmente basìti dei presenti. Ma il peggio inizia quando sul dance-floor si palesa Pinhead, il demone sadico del film dell’orrore Hellraiser (1987, interpretato da Doug Bradley) che richiamato alla violenza dal gesto appena compiuto, pronuncia la sua unica, fatidica battuta: “Shall we begin?” – Vogliamo iniziare? Ed ecco che quello diventa il segnale. Entra dalla porta principale, Terminator, con il compito apparente di far fuori Tony Montana. Nell’improvvisa sparatoria, interviene il Tom Cruise-capo-della-sicurezza, con riflessi d’acciaio che si rivelano a quanto pare abbastanza, per fermare momentaneamente l’assassino robotico venuto dal futuro. Dov’è se ne sia andato Robocop ora che servirebbe, non è per niente chiaro. Il caos aumenta, mentre il puntaspilli umano se la ride e tutti fuggono via dall’ingresso del locale. Il giovane Al Pacino, com’era sua prerogativa dei tempi d’oro, riesce ancora una volta a cavarsela, scappando via con l’auto parcheggiata lì vicino. Mentre già l’androide muscoloso si rialza, e crivella di colpi l’obiettivo sbagliato, ovvero il troppo simile Carlito, padrone del locale, pochi secondi prima che Blade l’ammazzavampiri, sopraggiunto tardi sulla scena, lo faccia fuori a sua volta con una raffica di mitraglietta. La storia ha la tendenza a ripetersi, nevvero? Al Pacino senior, ormai prossimo alla dipartita, rivive così la scena finale di quel film antologico, con l’amata che lo compiange alla stazione (pardon, esterno del night club) poco prima che fuggisse verso la salvezza. Tony Manero/Travolta, osservando la tragica scena, non può fare a meno di ricordare chi l’avesse ispirato a diventare un tale straordinario ballerino, proprio colui che ormai sta scivolando a miglior vita, come lacrime perdute nella pioggia. “Attitude” pronuncia fiero, dinnanzi al ricordo di un ancor più giovane Al Pacino, nella sua persona barbuta del film Serpico del 1973.

Double Bruce
I trucchi del montaggio impiegati nei due cortometraggi “Hell’s Bar” e “Schwarzenegger Vs. Sly” funzionano un po’ meno bene nel caso di quest’altra creazione, in cui Bruce Lee combatte contro se stesso da distanza ravvicinata. Il messaggio e lo stile della sequenza, tuttavia, risultano comunque memorabili.

È un vero tour de force di citazioni, dunque, una di quelle sequenze che sfidano e spingono innanzi l’immaginazione. L’ultima creazione di Antonio Maria da Silva, rilasciata neanche una settimana fa, ha già accumulato quasi 250.000 visualizzazioni (in rapida crescita, chissà dove arriverà?) ed è stata definita da diversi siti di settore, come: “La cosa più entusiasmante che si possa trovare su YouTube”. Lode tutt’altro che esagerata, per lo meno dal punto di vista di tutti coloro che amano i revival, o ricordi con piacere nostalgico il cinema di Hollywood degli anni ’70 e ’80. Che poi costituirebbero, almeno nell’opinione dei produttori iper-stipendiati di quei luoghi, un’alta percentuale del pubblico pagante, visto come ormai la stragrande maggioranza dei film che continuano a proporci siano dei seguiti o remake dell’epoca dell’opulenza diffusa e ormai trascorsa, o in alternativa l’adattamento diretto dei fumetti o romanzi che ne trassero l’ispirazione coéva.
E giunti a questo punto, allora, perché no? Trasformiamo pure i nostri eroi di gioventù in fantasmi eterei, piuttosto che mummie plasticose, eternamente condannati a ripetere per sempre ciò che aveva costituito la loro prima via d’accesso alla celebrità. Forse proprio questo è il messaggio, probabilmente intenzionale, veicolato tanto efficacemente dall’Hell’s Bar: che non importa dove sei arrivato, quale dimensione alternativa abbia intrappolato la tua anima o il tuo corpo, il destino che ti aspetta è ferreo ed immutabile, già rapido su cellulosa in mezzo alle bobine inarrestabili del tempo. Se persino il criminale redento Carlito, dotato delle migliori guardie del corpo a disposizione nelle sette dimensioni trascendenti, non ha potuto sfuggire al suo triste destino, che cosa potremmo fare noi per salvarlo? Non ci resta che prendere il popcorn, la Coca Cola, e continuare a guardare, godendo di simili travagli e sofferenze sempre uguali. Mentre i cenobiti se la ridono, dai loro troni insanguinati.

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