Ultime notizie sull’automobilina preferita dal web

podride

Ci sono invenzioni che nascono all’interno di laboratori, frutto dell’opera di schiere d’ingegneri, analisti di mercato, scienziati stipendiati dall’estabilishment delle grandi multinazionali. Ci sono dei prodotti, venduti a puro scopo di profitto, che in aggiunta a questo sono il frutto concettuale di un sincero desiderio di cambiare le cose, il mondo e la società. E poi c’è PodRide, l’innovativa creazione dell’ingegnere norvegese Mikael Kjellman, che è la risposta alla domanda molto personale di “Come posso continuare a recarmi a lavoro in bicicletta, anche nel pieno dell’inverno e a una distanza maggiore del precedente impiego?” Così tutto, nel suo video di presentazione, nelle scelte operative e nei pochi materiali pubblicitari prodotti fin’ora, sembra indicare un semplice desiderio di condividere l’idea , per permettere anche ad altri di provarne l’utile divertimento. Famoso resta il suo tono di voce pacato e quasi speranzoso, che fin dallo scorso maggio, data di presentazione del veicolo, ha giustificato la creazione d’iperboli internettiane sul tipo di “Quest’uomo è un bambino ingenuo che va protetto!” oppure “Vorrei che mi leggesse una fiaba tutti i giorni all’ora di andare a dormire…” Mentre altrettanto valida a conquistare il cuore dei passanti digitali, si è rivelata la scelta di design di costruire la sua velomobile dalla pedalata assistita con un aspetto complessivo degno della più buffa e graziosa tra le city car moderne.
Approfondiamo: velomobile. Un termine che indica, come forse molti di voi già sapranno, un tipo di bicicletta generalmente reclinata (in questo caso, pedelec) nella quale l’utilizzatore viene rinchiuso in un abitacolo, al fine di garantire una maggiore sicurezza, protezione dalle intemperie ed un’aerodinamica efficace. Più pesante, per ovvie ragioni, della classica due ruote, e per questo popolare in genere soltanto nei paesi dal clima relativamente ostile, dove le sue doti migliori hanno modo di brillare dinnanzi alle alternative più tradizionali di trasporto muscolare. Immaginate voi, l’eccezionale praticità: un mezzo di trasporto in grado di effettuare i normali giri quotidiani, con tutta la sicurezza di un automobile, ma senza spese per la benzina, l’assicurazione… Un’aspetto, di questi tempi, particolarmente difficile da trascurare. E ciò ancor prima di entrare nel merito della questione ecologica, al cospetto di un sistema che permette di ridurre le proprie emissioni per ragioni di trasporto fin quasi allo zero, fatta eccezione per gli idrocarburi prodotti assieme all’elettricità necessaria per ricaricare le batterie. Possibile, alla fine? Che il pianeta possa essere salvato, almeno in parte, semplicemente affidandoci a una soluzione differente per raggiungere i diversi luoghi della città? In questo, se non altro, l’automobilina sembra essere un passo nella giusta direzione. Benché, va pur detto, dall’epoca della conclusione della campagna di crowdfunding su IndieGoGo risalente alla scorsa primavera, non se ne sia praticamente più parlato. E questo perché il prototipo in possesso di Kjellman resta, ad oggi, l’unica PodRide mai costruita. Ma qualcosa si muove finalmente all’orizzonte, e forse ben presto avremo delle ottime, attesissime notizie.
“Caro finanziatore del progetto, ci scusiamo di non aver pubblicato aggiornamenti negli ultimi tempi” si legge sulla pagina rilevante della campagna, parafrasando un messaggio risalente alla metà di settembre: “Ma abbiamo incontrato due contrattempi. Il primo è quello relativo all’assunzione a termine di un designer specializzato in biciclette, poiché tutti quelli da noi contattati erano impegnati per un periodo di fino a 12 mesi. Il secondo è relativo ai software da impiegare per il progetto: ci siamo purtroppo resi conto che le soluzioni gratuite non ci permettono di essere in linea con quanto usato dai nostri fornitori. Per questo, siamo attualmente in attesa di una licenza per startup fornita direttamente dalla compagnia informatica, un processo senza tempi limite determinati. Resta tuttavia sicuro, caro finanziatore [sempre più comprensibilmente agitato n.d.a.] che stiamo lavorando alacremente per te.” Si tratta del solito problema di questo tipo di campagne di raccolta fondi, i cui partecipanti online tendono a sentirsi, in maniera totalmente immotivata, come dei comuni clienti, e si aspettano un prodotto terminato in tempi brevi. Quando il creatore di PodRide, in effetti, è sempre stato molto più sincero di altri, dichiarando chiaramente la sua inesperienza in diversi aspetti di base della sua creazione. Che di per se, meriterebbe tutto il tempo necessario per raggiungere l’ultimo coronamento…

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UFO delle vacanze: la strana casa di un altro futuro

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Fa freddo nel cortile del WeeGee Exhibition Centre, ad Espoo in Finlandia, fra il fruscìo della vegetazione rigogliosa piantata tutto attorno a una tipografia dismessa ormai da circa vent’anni. Ma lo sguardo, per lo meno, è riscaldato da un’inconciliabile visione: una bizzarra capsula di quattro metri di diametro, sospesa da terra, costellata di oblò equidistanti sopra la livrea di un vistoso color giallo zafferano. D’un tratto, con un sibilo meccanico, uno spicchio dell’oggetto si apre, rivelando una rampa ribaltabile del tutto simile a quella di un aereo. Un paio di piedi iniziano a discenderla, per diventare quindi gambe, vita e inevitabilmente, un volto. Gli occhi grandi, la folta barba… L’avete riconosciuto? Si tratta, senza alcuna ombra di dubbio, di…
Se guardiamo al domani adesso, tramite la lente della letteratura o del cinema di fantascienza, tendiamo a percepire una distesa desolata al cui confronto gli aridi deserti paiono dei prati alpini. Morte, povertà e devastazione. L’armonia del consorzio umano ormai un remoto ricordo, mentre le persone si combattono per le ultime risorse di un pianeta ormai stanco, battuto dai mutanti, dagli alieni e dagli spiriti affamati di rivalsa. Mentre tutto ciò che popola le nostre fantasie, in qualche maniera, lo riflette: le auto corazzate di Mad Max, le armi mostruosamente letali dei romanzi di William Gibson, i vampiri mangiatori di carne umana di Io Sono Leggenda… Mentre per quanto concerne l’architettura, è raro che i creativi si dilunghino eccessivamente nelle descrizioni. Il che è piuttosto logico, a pensarci: perché quale diamine potrebbe mai essere, l’aspetto di una casa concepita per ospitare una persona ragionevole all’interno di una tale distopia? Se non un cubo di cemento, privo di finestre tranne quelle per prendere la mira, tutto spigoli e filo spinato, dietro varchi successivi di porte blindate e trappole letali! Le abitazioni del domani in fiamme, per come lo vediamo tristemente oggi, non presentano sorprese di alcun tipo. Né la benché minima traccia di linee curve. Ma di contrasto, fino all’altro ieri non fu così. Quando la strada innanzi a noi pareva luminosa e corroborata dal bagliore dell’ottimismo mentre la plastica, materiale indistruttibile ed innovativo, trovava applicazione in ogni ambito che voi possiate concepire. Incluso quello, strano a dirsi, abitativo. Per lo meno in base alla visione operativa di Matti Suuronen, architetto finlandese celebre per l’uso che faceva di poliestere, resine termoindurenti, acrilico e fibra di vetro. Tutti materiali che trovarono l’applicazione nella sua visione di una casa ideale, o per usare l’effettivo marchio commerciale usato a partire dal 1968, l’adorabile Futuro house.
Immaginate, se potete, un’epoca di surplus finanziario, durante la quale ogni famiglia disponeva di risorse in eccedenza. Quando praticamene chiunque, persino i lavoratori con stipendio minimo dell’allora neonato Walmart, era PER LO MENO benestante. Ciò perché i soldi, quei pezzi di carta privi di una reale utilità nel mondo fisico, potevano giovarsi di un potere d’acquisto che cresceva in modo esponenziale. Tanto che ben presto, fluttuando sulle fantasie sui viaggi nello spazio, la robotica, l’idillio di una società pacifica che accelerava i suoi progressi, si iniziò ad immaginare un 2000 in cui nessuno avrebbe più avuto bisogno di lavorare, se non per scelta personale, e tutti avremmo avuto bisogno di un luogo in cui divertirci per far passare i lunghi mesi di una vita senza impegni. Ora, i modi chiaramente non mancavano. Ma il buon Suuronen, a quanto ci è possibile immaginare, amava soprattutto questo: sciare. Così il suo più celebre contributo generazionale, verso il volgere del decennio, fu l’idea per un nuovo tipo di baita per la montagna, non più concepita per essere faticosamente messa insieme sul posto, grazie al sudore sulla fronte delle maestranze locali, bensì costruita in fabbrica in qualche decina di pezzi, da far assemblare al personale tecnico in un paio di giorni, o in alternativa, addirittura, trasportata tutta intera con l’ausilio di un prestante elicottero. Il che doveva presentare una visione piuttosto bizzarra. Perché vedete, la Futuro house è costruita con la precisa forma di un disco volante. Si tratta di una mera coincidenza, intendiamoci. Di una forma concepita, nelle parole dello stesso creatore, per massimizzare l’isolamento termico e risultare, al tempo stesso, in grado di lasciar scivolare via la neve dal tetto, potendo in aggiunta contare sul solo appoggio di quattro palafitte, soluzione ideale in condizioni di suolo instabile o roccioso. Ma l’illusione non può che persistere immutata…

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Drago di fiori si sveglia, tenta la fuga, vince il concorso d’Olanda

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L’animale arancione apre lentamente i suoi occhi, facendo ruotare le gigantesche pupille avanti, poi indietro. Un sommesso ruggito si ode provenire dal profondo del suo corpo scaglioso, mentre le fauci iniziano, molto lentamente, ad aprirsi. La bocca era stata, infatti, legata ad un grande carrello, come del resto le zampe, le ali e gli aculei del mostro, indubbiamente catturato al termine di un lunga e tenace battaglia. All’improvviso, uno sbuffo di fumo fuoriesce dalle sue nari, lasciando intuire ai presenti l’orribile verità: di lì a pochi secondi, una scia di fuoco brucerà l’asfalto, e con esso chiunque sia troppo lento per correre via. Gli addetti al trasporto pesante, colti dal panico, si affollano attorno alla prua del mezzo, tentando di afferrare le cinghie per trattenere la preda. Il pubblico in delirio, che si affolla ai lati della scena, batte le mani e grida il suo entusiasmo. Il disastro appare sempre più inevitabile, nonché vicino.
Zundert è un paese di circa 20.000 persone sito nella parte meridionale del Brabante, provincia olandese che confina col Belgio. Proprio qui nacque, il 30 marzo del 1853, il grande pittore Vincent van Gogh. Ma ora Zundert ha un problema! O forse sarebbe meglio definirla una questione, per così dire, di natura floreale: ogni anno la prima domenica di settembre, le sue strade vengono invase da mostri giganti dall’aria terrificante. Rettili e rane, porcospini, cani, volpi, draghi, bufali lunghi fino a 19 metri, larghi 4,5 ed alti 9. Misure piuttosto specifiche, nevvero? Proprio così. Dopo tutto, gliele hanno imposte. A partire dalla metà degli anni ’80, quando sembrava che l’ultima e più spropositata creatura avrebbe finito per strabordare dai lati del Corso, schiacciando sotto le zampe artigliate il pubblico accorso da ogni parte del mondo. Per vedere i fiori, e con essi le fiere, di uno zoo fantastico ed annualmente rinnovato. Quello di una festa, e la relativa competizione, che è diventata un simbolo dell’intera regione ed invero del suo stesso paese, fin da quando, il 15 maggio del 2012, fu annoverata dall’UNESCO tra i Patrimoni Culturali Intangibili dell’Umanità. Con validissime e condivisibili ragioni: ciascuno dei grandi carri allegorici, spesso animati (perché è di questo che stiamo parlando, quindi rimettete a posto i fucili col tranquillante) si compone non soltanto di uno scheletro in metalli, cartapesta e polistirolo. Bensì anche di molte migliaia di fiori profumati, nient’altro che dalie fatte crescere appositamente negli orti circostanti l’intera città. Per molte miglia in ciascuna direzione, nulla meno di questo, poiché il Bloemencorso è in effetti frutto del lavoro collettivo degli abitanti di ben 20 borghi della regione, periodicamente rivisti ed aumentati attraverso gli anni dalla fondazione dell’evento, risalente al 1936. Tutti uniti, e divisi, dalla giocosa rivalità di questo confronto, in cui una giuria di artisti e scenografi professionisti, alla conclusione dell’epica giornata, stileranno una classifica spietatamente completa ordinata dal migliore al peggiore dei carri. Ed è stato per l’appunto così, che quest’anno ha trionfato Trasporti Pericolosi, il carro col drago proveniente dal borgo di Tiggelaar, distanziando di ben 33 punti su 647 il secondo classificato “La forza di 12 uomini” (MENSKRACHT 12) la spettacolare e fantasiosa rappresentazione di una tempesta in mare, con tanto di imbarcazione in bilico sopra le onde e nubi fosche in tempesta, ciascun elemento fatto muovere ed agitare a manovella dalla brava gente di Helpt Elkander, mentre un loro collega, sul retro dell’apparato, batteva fragorosamente sopra una lastra di metallo, tentando d’imitare il suono del tuono e del fulmine e riuscendoci pure, pensate un po’. Tutto sempre rigorosamente mosso manualmente, incluso il carro stesso, che come i suoi simili non prevede l’impiego di trattori o altri metodi di locomozione che i muscoli umani. E sono queste, normalmente, le trovate che fanno vincere il Corso di Zundert: grosse componenti mobili, magari con attori che recitano una parte ben precisa, mirando alla creazione di un vero e proprio spettacolo improvvisato, effimero come la durata dei fiori recisi ed attaccati alla figura di turno. Ma chi dovesse pensare che gli altri carri, più statici e figurativi, siano in qualche maniera inferiori, farà meglio a guardare il seguente video, con l’intera parata di quest’anno…

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Il parco alpino che diventa un lago per due mesi l’anno

Green Lake Austria

Giornata lenta al club delle immersioni, senza tuffi organizzati per l’intero resto della settimana. Non è facile, talvolta, mettersi d’accordo. L’orologio a forma di pesce spada batte il singolo rintocco delle ore 13:00, mentre un gruppo di hobbisti di ritorno da un’ottima frittura mista trova posto attorno al tavolo colore del corallo, per discutere ordinatamente delle rispettive idee. O almeno, questo era il piano: “Non sto esagerando, vi dico. Cioè l’ho visto in sogno, ma è la verità.” Il responsabile tesoreria e bombole, intento a rigirarsi tra le mani una conchiglia a pettine, non può esimersi da emettere un’udibile sospiro. Gli altri cessano all’istante di parlare, qualcuno sorridendo, altri con l’espressione indecifrabile di chi sta pensando: ecco, presto ne vedremo delle belle. Sentendo di trovarsi finalmente al centro dell’attenzione, come atteso da diverse ore, Franz riprese la sua storia: “Devo ammetterlo: la situazione di partenza non mi è chiara. Nell’esperienza della scorsa notte, io apro gli occhi e mi ritrovo in una valle di montagna. Con ripidi declivi da ogni lato, ma abbastanza distanti da essere visibili soltanto grazie all’aria tersa e limpida di questo luogo. La neve sopra i picchi lancia strali di riflesso per la luce del Sole. Gli alberi mi fanno ombra da ogni lato. Ma fra il mezzo dei loro tronchi, individuo la chiara presenza di un grande specchio. Con una tinta tendente a quella dell’aurora boreale. Della misura di… Diciamo all’incirca un centinaio di metri quadri.” Pausa ad effetto. Un refolo di vento, entrato nella stanza per il tramite della finestra rimasta aperta, agita delicatamente la tenda con la Grande Onda di Hokusai. Il ticchettio dell’orologio pare farsi lievemente, impossibilmente più veloce. “Allora io dimentico ogni sorta di prudenza, corro avanti saltellando sopra le radici, giungo in mezzo alla radura e poi mi lancio a capofitto contro il vetro verdeazzurro, senza una chiara idea del risultato. Ed invece di schiantarmi, all’improvviso, sono entrato in un diverso mondo. Ero sott’acqua, vi dico! Ma anche sospeso in mezzo al cielo di un ambiente estremamente riconoscibile, con piante di terra, fiori alpini ed un paio di siepi stanche, perché cresciute in modo discontinuo. Dinnanzi a me, oltre un ettolitro di acqua trasparente come una bottiglia, s’intravede la forma geometrica di qualche cosa di misterioso. A questo punto, non riemergo. Dovete sapere che nei miei sogni, io sono sempre in grado di restare senza ossigeno per il tempo di 10 minuti.” Risatina sommessa dall’altro lato del tavolo, prodotta non si sa da chi. “Così allargo le mie braccia, ed inizio a nuotare. Altrettanto facile sarebbe dire che stavo volando: a tal punto mi era chiara la presenza di un riconoscibile praticello alpino sotto di me, completo di ogni optional tranne la capra che bruca lietamente verso sera. Vado verso l’ombra misteriosa, finché all’improvviso, essa non si palesa per ciò che realmente è: una PANCHINA in legno, di quelle normalmente montate lungo i percorsi escursionistici delle località per turisti. Momentaneamente esausto, devo sedermici finché non mi addormento. E quando riapro gli occhi, sono nel mio letto e…” Proprio mentre sta per concludere il suo racconto, Franz nota che il solo ed unico responsabile del club, nonostante lo scetticismo iniziale, ora lo sta scrutando attentamente, come aspettando l’occasione di prendere parola in prima persona. Il narratore d’occasione si ferma e gli fa un gesto d’incoraggiamento, subito accolto dall’interessato: “Amico mio. Devo dirti che hai perfettamente ragione. Tutte le ragioni del mondo e scusami per averne dubitato: un tale luogo esiste per davvero. A dirti la verità, ci sono stato la scorsa primavera! Tu stavi sognando, per uno scherzo inspiegabile del tuo subconscio, niente meno che il più famoso lago della regione austriaca della Styria, o come viene amorevolmente definito dagli abitanti del vicino comune di Tragöß, il Grüner See.” Quindi, sconsolato, egli scuote la testa: “Però devo dirtelo, mi dispiace. Arrivi troppo tardi, ormai…”

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