Per cui osservando la questione a posteriori, non sarebbe del tutto impossibile affermare che l’Era spaziale abbia una collocazione cronologica spostata in avanti all’interno dei paesi dell’Europa Orientale, dove l’enorme potere ed influenza dell’Unione Sovietica portò ad una certa uniformità di gusto estetico, canoni espressivi e metodologie costruttive. Non tanto durante gli anni ’70 conseguenti allo sbarco sulla Luna, bensì piuttosto una decade dopo, quando l’epoca tarda dell’architettura sovietica avrebbe manifestato un gusto particolarmente evidente per una versione altamente personalizzata di una sorta di modernismo costruttivista, in cui ogni possibile richiamo al cosmo e i suoi ipotetici abitanti sarebbe stato non soltanto preso in analisi, ma portato alle sue più estreme e ben visibili conseguenze. Prendete per esempio il Sanatorio Druzhba (dell’Amicizia) costruito sulla punta meridionale della penisola della Crimea non troppo distante da Yalta, così chiamato con un occhio particolare agli “ottimi rapporti” dei due paesi che collaborarono alla sua edificazione, l’URSS e la Cecoslovacchia. Quest’ultima particolarmente ben disposta politicamente nei confronti della superpotenza orientale, dopo il rimescolamento ai vertici avvenuto a seguito dell’invasione da parte delle truppe del Patto di Varsavia avvenuta nel 1968, per porre fine ai movimenti riformisti della cosiddetta primavera di Praga. Scenario cupo e desolato, a dir poco, che non avrebbe tuttavia impedito ai migliori ingegneri e tecnici presenti nel paese di rispondere esattamente 10 anni dopo alla chiamata dell’architetto russo Igor Vasilevsky, per quella che avrebbe dovuto concretizzarsi come la più importante collaborazione tra il Sindacato dei Commerci cecoslovacco e l’Unione dei Lavoratori sovietica. Un esempio molto rappresentativo di quel tipo di ritiri per vacanze-premio o soggiorni terapeutici, riservati ai servitori dello stato ogni qual volta la loro agenda lo permetteva, e comunque non meno di una volta l’anno. Situato lungo una delle coste maggiormente amate dell’intero contesto geografico dell’Europa Orientale, a poca distanza da un altro simile intitolato a niente meno che Palmiro Togliatti, guida storica del Partito Comunista Italiano. E avendo come vicino, sull’altro lato, il magnifico castello sulla scogliera del Nido di Rondine il che avrebbe presentato un significativo problema dal punto di vista logistico, dovuto al poco spazio residuo a disposizione. Enters Vasilevsky, con il suo catalogo pregresso di creazioni abitative tra cui il casino di caccia Voenproekte di Zavidovo, collocato in posizione sopraelevata su pilastri di cemento al fine di ridurre il suo disturbo per la natura. Un principio di certo encomiabile in se stesso, ma anche propedeutico alla realizzazione di determinati obiettivi…
strano
Il riflesso argentato di tre grandi biglie inviate a rotolare nell’orbita terrestre
Forse uno degli oggetti più notevoli ad aver mai trovato collocazione all’interno di un hangar avrebbe fatto la sua comparsa in una struttura designata in quel di Weeksville, North Carolina, nell’inverno del 1964. In maniera totalmente inaspettata e improvvisa per tutti coloro non fossero stati coinvolti direttamente nella sua preparazione, quando un pallone in poliestere riflettente della massa di 256 Kg sarebbe stato riempito d’aria con un ritmo sostenuto, fino all’ottenimento di una sfera perfetta dal diametro di esattamente 41 metri. Argentata e magnifica, svettante come una sorta di manufatto alieno fuori dal contesto frutto di un contatto interdimensionale segreto, essa costituiva nella realtà dei fatti un oggetto dalla chiara funzionalità pratica, frutto di un piano ben preciso ed attentamente pianificato. Con radici risalenti ad almeno 6 anni prima, quando nel corso di un incontro sul tema dei satelliti per le telecomunicazioni l’ingegnere John R. Pierce, della compagnia telefonica Bell, ipotizzò l’eventualità d’impiegare un oggetto costruito dall’uomo come riflettore passivo per i segnali audio e video, permettendo ai relativi segnali di oltrepassare il bordo della curvatura terrestre. Idea che piacque a tal punto, in modo particolare al direttore del Jet Propulsion Laboratory californiano William H. Pickering, che entro il mese di ottobre di quell’anno venne designato dall’esercito statunitense un gruppo di tecnici incaricati di trasformarlo in realtà. Nel frattempo il JPL era passato sotto il controllo del nuovo ente governativo della National Aeronautics and Space Administration (NASA) ed aveva avuto inizio, formalmente, il programma spaziale degli Stati Uniti.
Reduci dell’esperienza dello Sputnik-1 sovietico, mandato in orbita nel 1957 ed un’intero anno prima dell’Explorer-1 americano, la superpotenza occidentale non aveva la benché minima intenzione di essere raggiunta o superata anche nel campo delle telecomunicazioni condotte mediante oggetti sospesi nello spazio cosmico esterno. E fu così che entro il 1960, il prototipo del cosiddetto progetto Echo, numero Cospar internazionale 6000901 fu pronto; il suo diametro era pari a 30 metri ed il materiale costituente, come quello dei successivi modelli, costituito principalmente in polietilene tereftalato (PET) schiacciato ed espanso, fino al punto di costituire una membrana spessa, flessibile e resistente. Una soluzione altrimenti identificabile con il suo nome commerciale di Mylar, che oltre alle caratteristiche strutturali presentava anche la dote niente affatto trascurabile di una colorazione argentea resistente al vuoto cosmico, idealmente perfetta per la realizzazione del fine originariamente auspicato. Come desumibile dal nome dei satelliti in questione, l’idea fondamentale era quella di utilizzare la grande sfera come una sorta di riflettore catarifrangente, capace non soltanto di restituire la stragrande maggioranza della luce ricevuta dall’astro solare, ma anche il 97% stimato delle microonde frutto dei segnali radio terrestri. Forse il modo più semplice e funzionale di far rimbalzare una trasmissione, se non che il più grave dei contrattempi si trovava purtroppo in agguato. Quando il 13 maggio del 1960, a causa di un problema con il razzo usato per portarlo in orbita del veicolo Thor-Delta, il pallone finì per ricadere nell’oceano Atlantico, dove per quanto ne sappiamo giace tutt’ora. Il che avrebbe certamente costituito un contrattempo eppure, nulla più questo…
Il ponderoso mistero della nave di pietra nel bosco di bambù giapponese
Siamo soliti considerare il Giappone un paese omogeneo, per cultura, credenze e i sistemi delle sue sovrastrutture sociali. Ma c’è stato un tempo, particolarmente remoto, in cui ciascun clan o tribù di questo popolo era in costante guerra con le altre, e i loro stessi Dei scendevano sul campo di battaglia. O per lo meno i più diretti discendenti di questi ultimi, nella maniera in seguito caratteristica della linea di sangue del clan Yamato, capace di far risalire il proprio lignaggio alla somma Amaterasu, personificazione del sole che sorgeva ogni giorno sopra quelle terre devastate dai conflitti degli umani. Quindi al momento del decesso, questi condottieri e privilegiati custodi dell’anima universale del mondo, venivano sepolti con grandi onori, assieme ai simboli del loro ruolo sacro: la spada, lo specchio ed il gioiello. All’interno di strutture che avrebbero in seguito preso il nome di kofun (古墳 – Letteralmente: antichi tumuli) convenzionalmente esteso anche all’intero periodo storico in oggetto, situato tra il 250 ed il 538 d.C. Alcuni maestosi, molti straordinariamente interessanti ed altri, semplicemente, parecchio insoliti e/o bizzarri. Verso la fine di questo paio di secoli eccezionalmente rilevanti quindi, mentre il concetto di un potere centralizzato iniziava a prendere forma, gli enormi complessi dinastici e i palazzi del potere costruiti nella regione circostante l’odierno villaggio di Asuka, nella prefettura di Nara, ci avrebbero permesso di collocare a posteriori lo scettro del potere nelle mani dell’influente clan dei Soga, in gran responsabile dell’importazione ed accettazione della religione buddhista sopra il sacro suolo dell’arcipelago considerato già infuso di una particolare divinità inerente. A questo periodo risale probabilmente il tumulo massiccio dell’Ishibutai Kofun, considerato convenzionalmente la tomba dell’importante uomo politico e statista Soga no Umako (551-626) responsabile di aver fatto costruire grandi templi appena un secolo dopo che l’Imperatore Kinmei aveva fatto gettare in un lago la magnifica statua di Buddha inviata in dono dal Re della Corea. Così come databile risulta essere, sebbene in modo altrettanto approssimativo, un altro tipo di costrutto monolitico del peso stimato di 700 tonnellate situato a poca distanza, dell’oggetto in questione, il cui nome tramandato si configura come Masuda Iwafune (益田岩船) ovvero Nave di Pietra della regione di Masuda; la cui natura, funzione, autori, modalità di costruzione e spostamento, significato religioso ed invero stessa ragion d’essere risultano da lungo tempo il territorio di una pletora d’ipotesi contrastanti. Un macigno intagliato dal granito dioritico a base di quarzo con alcune caratteristiche ed accorgimenti decisamente insoliti, tanto da aver scomodato in più occasioni i sedicenti seguaci delle cosiddette ipotesi extra-terrestri. Anche in funzione della sua unicità, nell’intero apprezzabile contesto di appartenenza…
Il pesce che scatena sui gastronomi la vendetta psichedelica di Poseidone
Causa, effetto: due anelli della stessa catena, interconnessi dalla progressione prevedibile degli eventi. Almeno, in teoria. Giacché non è per forza semplice, né in alcun modo garantito, che l’effettivo progredire da uno stato a quello successivo segua un tipo di percorso chiaro in senso programmatico. E ciò vale in linea di principio come in seguito, nell’analisi effettuata a ritroso sulla base della situazione vigente. Ne parlò per vie traverse uno studio scientifico, spesso citato all’interno del suo settore, finalizzato a prendere in esame una serie di strani casi clinici. Relativi a strane allucinazioni, paralisi temporanee e senso di soffocamento, distribuiti in un arco di oltre dieci anni e simili soltanto in un particolare aspetto: il fatto che i soggetti presi in esame avessero mangiato, soltanto qualche ora prima di vivere questa terrificante contingenza, la carne della salpa del Mediterraneo (Sarpa s.) pesce dal corpo appiattito simile a un’orata, un pesce non particolarmente pregiato ma consumato frequentemente e in tutto il mondo, anche in forza del suo costo al dettaglio relativamente contenuto. E tutto questo senza che nessuno, nella maggior parte dei casi, avesse risentito di particolari conseguenze cliniche almeno fino al caso registrato dalla scienza di un uomo di 40 anni, manager d’azienda, che si trovava in vacanza nel 1994 a Cannes presso la Riviera Francese. Circostanza nel corso della quale, mentre faceva ritorno in macchina dal ristorante dove aveva cenato, all’improvviso iniziò a provare un senso di spontaneo e immotivato terrore. Finché lungo il corso della strada nebbiosa, in una sorta di versione biologica e perversa della Guerra dei Mondi di Orson Welles, non vide comparire le svettanti ombre di crostacei giganti, malefiche aragoste o granchi ragni intenti ad inseguire il suo veicolo col chiaro intento di fagocitarlo in un singolo boccone. Automobile che prima di mandare rovinosamente contro un muro o la barriera del guard rail, con una prova notevole di ragionevolezza, l’individuo parcheggiò nei pressi di un vicino ospedale. Trasportato al pronto soccorso e tenuto sotto osservazione per un periodo di 36 ore di deliri e sofferenza, l’uomo si riprese quindi in modo pressoché totale, non riuscendo neppure a ricordare i dettagli delle sue visioni. Senza gli strumenti per un ulteriore approfondimento, il personale medico pensò quindi all’epoca che egli avesse sofferto un qualche tipo di avvelenamento da cibo, possibilmente per le cattive condizioni d’igiene del ristorante. Si fece qualche indagine, ma non ne venne nulla. Il secondo caso citato nei contesti formali (benché ce ne fossero stati degli altri) fu invece quello di un pensionato novantenne, che due ore dopo aver consumato in casa una certa quantità di Sarpa salpa acquistata da un pescatore di Saint Tropez nel 2002, iniziò a sentire strani rumori provenienti dal suo giardino. Come di grida umane e strani richiami d’uccelli mai sentiti prima. Temendo che stesse diventando pazzo o subendo i primi sintomi di una malattia degenerativa, tuttavia, evitò di cercare l’aiuto di alcuna istituzione medica, almeno finché guarito totalmente la terza notte, decise di chiamare in mattinata il Centro di Controllo dei Veleni di Marsiglia. Dove a fronte di un’intervista e descrizione approfondita dei suoi sintomi, il personale medico non tardò a confermare quanto lui stesso era giunto a sospettare al rapido miglioramento delle proprie condizioni: che nessun tipo di malanno genetico o fisiologico era stato alla base della sua malattia, bensì una condizione clinica temporanea poco nota alla scienza, ma identificata con il nome di ichthioallieinotoxismo; in altri termini, l’avvelenamento da pesce psichedelico, del tutto paragonabile a una dose assunta senza preavviso di una droga come l’LSD…