Il complesso ruggito del tigrillo dalla coda di serpente

“Umano, come mai in questi ultimi tempi ti rifiuti di uscire dalla mia casa?” Recita la chiara didascalia, di quella classe d’immagine umoristica per il media digitale che prende normalmente il nome anglofono di meme. Raffigurato in essa il tipico gatto domestico, dall’espressione naturalmente altezzosa, infastidito per il cambio d’abitudini del suo padrone. Così come gli animali domestici sembrano essersi abituati al cambio d’abitudini dettato dal coronavirus, ogni giorno continuano gli avvistamenti di creature selvatiche in luoghi fuori normalmente fuori dai loro orizzonti, come nel caso dei delfini a Venezia, le scimmie che invadono le strade Thailandesi, piccioni e gabbiani che piombano disperati sopra le persone, capre della countryside britannica e gli orsi canadesi, oggi visitatori più frequenti dei rurali vicinati senza più il fastidio delle automobili e altri cacofonici veicoli di passaggio. Ma è soltanto se ti sposti in Florida, o nella limitata zona costiera dell’Alabama, che potrai aspettarti di vedere “intrusi” come questo. Ed in effetti, reiterato è il caso di qualcuno che a intervalli casuali, corre dai mezzi mediatici gridando di aver visto, sulla strada verso il proprio ufficio, scuola o luogo di culto, la forma lunga e inconfondibilmente sinuosa del jaguarundi.
Felino strettamente imparentato con il puma ed il ghepardo, benché non assomigli più di tanto a nessuno dei due, questo essere viene anche chiamato nei paesi sudamericani tigrillo o leoncillo, date le sue dimensioni non di molto superiori a quelle di un comune gatto domestico. Benché risulti possedere, d’altra parte, una forma estremamente distintiva e bizzarra, data la lunghezza di fino a 77 cm coda esclusa per un peso di soli 9,1 Kg. In altre parole stiamo parlando di un animale lungo, non quanto il leggendario longcat ma del resto simile a un mustelide anche vista la relativa cortezza delle sue gambe, il che conduce senza falla al suo ulteriore soprannome di gatto-faina o gatto-lontra, ampiamente giustificato dalla sua notevole flessibilità della spina dorsale, che gli permette di piegarsi agilmente da un lato e dall’altro, mentre si sposta attraverso i vasti territori della sua originale provenienza. Poiché per quanto gli abitanti degli Stati Uniti meridionali amino particolarmente affermare di averne visto uno (in una pletora di casi mai effettivamente confermati) l’Herpailurus yagouaroundi occupa in effetti un areale che si estende dall’intero istmo dell’America Centrale fino ad Argentina, Brasile e la maggior parte degli altri paesi meridionali di quel continente, con un’esatta diffusione che tutt’ora, in effetti, riesce a sfuggire ai cataloghi della scienza. Questo perché l’essere in questione possiede, inerente nel suo carattere, la propensione al possesso esclusivo di fino a 70-80 Km di territorio per ciascun esemplare solitario, oltre alla propensione a ridefinirne fluidamente i confini non appena il cibo parrebbe iniziare a scarseggiare. Costituito da prede come piccoli topi, lucertole, uccelli ma anche animali dalle dimensioni più grandi, quali conigli, opossum e armadilli, che il jaguarundi cattura con la consueta rapidità e soddisfazione dei più famosi carnivori dalle unghie retrattili, benché l’approccio alla caccia risulti essere sostanzialmente diverso. Questo perché stiamo parlando di una creatura che, alquanto sorprendentemente, caccia preferibilmente di giorno e in campo aperto, nelle vaste pianure della pampa o bioma equivalente, senza comunque arrampicarsi mai sugli alberi a meno che occorra sfuggire istantaneamente dinnanzi all’assalto di qualche predatore più grande generalmente appartenente alla stessa famiglia dei felidi, come il giaguaro, l’ocelot o il puma, mentre i cuccioli tendono a cadere preda degli uccelli rapaci. Ciò detto, ogni effettivo nemico ecologico del nostro protagonista è stato per lo più identificato come parte di un’analisi aneddotica, data l’insolita e particolare assenza di studi specifici su questo animale, presumibilmente subordinato nell’immaginario collettivo ad altri esempi di felini, magari più forti, grandi o variopinti nella loro colorazione…

Leggi tutto

La volpe con il radar per sentire il passo delle termiti

Le storie dei saggi parlano del distruttore senza nome, il cui arrivo simboleggia l’ora della fine tristemente reiterata nel procedere delle Ere. Quando un intero ciclo di rivoluzione del pianeta è prossimo al compimento, e la tenebra fa scomparire l’ombra del monumentale grattacielo, i suoi abitanti si rannicchiano all’interno degli spazi cavi, fermando le sottili zampe e antenne, quasi fossero in attesa di… Qualcosa. Decine di migliaia, centinaia, milioni d’individui spaventati, sono stati già strappati dall’interno delle loro case, distrutte con le unghie e con i denti dal gigante con il muso a punta, i cui denti non smettono mai di chiudersi, ancora e ancora, stritolando i loro corpi condannati, ricoperti di un’inutile corazza di chitina. Osservati, fratelli artropodi, la gran divoratrice. Volgete le vostre mandibole al cielo, prima del sopraggiungere dell’ora della fine, sua sorella, suo fratello e suo cugino. Concentrandovi sull’unica possibile maniera per salvarvi, ovvero il voto, mantenuto ad ogni costo, del silenzio.
Per la selezione antologica di esempi usati a modello nella maggior parte dei proverbi, da sempre significativo riesce ad essere il ruolo degli appartenenti alla categoria dei cani: fedeli al padrone se domestici, altrimenti a loro stessi e all’istituzione sociale del branco, attenti ad ogni minimo dettaglio perché preoccupati, in ogni attimo, di garantirsi la sopravvivenza. E fra tutti certamente, non sembra far eccezione la volpe, sinonimo in tanti contesti nazionali di “furbizia” applicata ai bisogni del vivere quotidiano, intesi come ricerca del cibo e un metodo efficace al fine di sfuggire ai cacciatori. Che siano questi ultimi di tipo umano, oppur degli animali, l’approccio risulta essere del resto sempre quello. Fare affidamento, per quanto possibile, sulla furtività e l’individuazione di efficaci nascondigli, qualche volta già presenti, in altri casi scavati dall’animale stesso, nel terreno friabile della radura. Immaginate, dunque, l’alternativa collocata in Africa centro-meridionali di una creatura che in aggiunta a questo, possiede un senso che è a tal punto sviluppato da modificare il suo integrale aspetto, assolvendo alla funzione addizionale del regolamento del calore, come avviene per la piccola cugina dei deserti del nord, la scattante e rumorosa Fennec. Sto parlando, in questo caso, della cosiddetta volpe dalle orecchie di pipistrello, anche chiamata nella lingua dei latini Otocyon megalotis, col significato letterale di “cane-orecchie dalle grandi orecchie” (sic.). Il che determina e rafforza, in un sol colpo, l’effettivo tratto distintivo di questa creatura, per il resto ragionevolmente conforme all’aspetto di una Vulpes europea, con colorazione criptica focata tendente al grigio-marrone, zampe nere ed un’accenno di maschera sul muso, affine a quella del suo altro distante parente nordamericano, il procione. Con cui condivide l’appartenenza a un genere ragionevolmente esclusivo, in questo caso addirittura contenente l’unica specie sopra nominata, i cui ritrovamenti fossili hanno lasciato intendere l’esistenza fin dall’epoca del Pleistocene, risalente a circa 800.000 anni fa. Chi volesse trarre da questo la conclusione che siamo di fronte a un essere in qualche maniera primitivo & vulnerabile, tuttavia, sarebbe certo incline a ritrovarsi in fallo, data l’eccezionale raggiungimento della nicchia ecologica cui questo carnivoro occasionale appartiene, il cui cibo principale resta sempre & soltanto quello: l’isoptero terrestre, insetto affine alle formiche per struttura sociale, ma inserito nella categoria biologica dei blattoidei. Termiti pronte per il pasto facilmente guadagnato, da mattina a sera…

Leggi tutto

Peperone o pomodoro? Tutti gli appiccicosi segreti della rana del Madagascar

Pochi luoghi esprimono un senso di tranquillità nella natura e pacifica serenità come le ampie spiagge della baia d’Antongil, nella parte nordorientale della grande isola di Madagascar. Dove l’oceano indiano, risalendo in forma di risacca, sale per bagnare l’estremità di uno dei luoghi più biologicamente caratteristici, nonché vari, di questo intero pianeta. Sarebbe tuttavia destinato a ritrovarsi errore, chiunque passeggiando in questi ameni luoghi, immaginasse di trovarsi circondato dal solo fruscio dei rami delle palme fatti muovere dal vento, piuttosto che un lieve, costante, reiterato croak, croak creato dalle tenebre vicine del semi-sottosuolo. Poiché lì sepolte per nascondersi dai loro molti possibili nemici, incluso l’uomo in cerca di abitanti per il proprio terrario, seriamente intente in ciò che gli riesce meglio, abitano le molte, moltissime migliaia di esponenti del genere Discophus dagli occhi splendenti fatti seguire dall’elegante striscia nera, un tipo di rana esclusiva di questo territorio e il resto della terra emersa celebre soprattutto per i suoi lemuri, ma cionondimeno popolosa per quanto concerne alla maggior parte dei recessi dell’ampio albero della vita. Anuri della lunghezza massima di 10,5 cm e il peso di 230 grammi che in un particolare punto pregresso del loro percorso evolutivo, sembrerebbero aver deciso: “Se devo vivere facendo costantemente rumore, tanto vale che non faccia nulla per nascondermi” data la tonalità vermiglia, intensa come il sangue di un drago, della loro pelle lucida e liscia. Scelta che con terminologia scientifica potremmo scegliere di definire aposematica, ovvero mirata a disturbare il senso di voracità dei predatori, che l’istinto porterà istantaneamente a dubitare di un qualcosa che potrebbe ricordare, fuori dal contesto, una chiara trappola da cui tenersi a ragionevole distanza. Verità riconfermata, d’altra parte, per quei pochi coraggiosi, data la più formidabile arma di cui dispone: le ghiandole di cui è coperta la sua pelle, capaci di secernere un muco tossico e biancastro, dalle straordinarie doti adesive e anestetizzanti, al punto che l’aspirante divoratore, ritrovatosi coperto da una simile sostanza, perderà temporaneamente la capacità di serrare le sue fauci o persino vedere chiaramente, lasciando al gracchiante saltatore il tempo necessario per scappare via. Non che ciò avvenga, del resto, in maniera particolarmente agile o scattante: in quanto la rana pomodoro, come viene chiamata per la sua (accidentale?) somiglianza cromatica con la frutta/verdura preferita dai pizzaioli italiani, è in effetti tutt’altro che agile, preferendo fare affidamento nel momento del pericolo sulla propria arma chimica incorporata e il potere di un aspetto spaventoso, garantito dalla sua capacità di aprire la bocca e riempirsi d’aria, aumentando di fino al 75% delle dimensioni complessive. Decisamente abbastanza da non poter più essere ingoiata in un sol boccone, lasciando il tempo necessario alle tossine di portare a compimento la loro possente opera di dissuasione alimentare. Considerata al tempo stesso a rischio d’estinzione, dato l’areale estremamente specifico, ma relativamente facile da preservare date le straordinarie capacità di adattamento e proliferazione, la rana pomodoro esiste in uno spazio del pensiero in cui abitano le più curiose, originali e carismatiche creature anfibie della Terra. Assieme alle sue due cugine maggiormente note agli appassionati del settore…

Leggi tutto

La pigna svolazzante che usurpa i pulcini all’interno del nido

Ricordo la mia nascita come se fosse stato ieri: lo spesso guscio dell’uovo, difficile da rompere, gradualmente superato dalla persistenza di un becco appuntito. E la vista mozzafiato del mondo dalla cima di quell’albero, irraggiungibile pur essendo eccezionalmente, stupendamente vicino. La sensazione di essere compresso, all’interno di un abito troppo piccolo per me. Finché mia madre, balzellando soavemente, non venne a portarmi il primo verme di quest’esistenza totalmente nuova, facendo si che potessi sentirmi, istantaneamente, amato. Facendo seguito allo stesso gesto del suo amabile consorte, il padre scricciolo dalle arruffate piume. Giorno dopo giorno, mi è facile riportare nella mente il modo in cui crescevo, ancora e ancora, finché a un certo punto, iniziai a guardare con sospetto le altre quattro cose-uovo all’interno del mio legittimo spazio vitale. “Cosa sono, da dove arrivano, chi le ha deposte in questo luogo?” Pensavo tra me e me. “Perché non si sono ancora schiuse? E soprattutto, quando lo faranno, ci sarà abbastanza cibo per tutti quanti?” Stranamente, non percepii mai alcun tipo di legame con questi futuri esseri viventi, miei “fratelli” soltanto di nome. Finché un giorno, stanco di pensare, iniziai a spingere. La schiena contro quegli oggetti del mio legittimo fastidio, le ali glabre puntellate presso il fondo della conca di rametti, il becco aperto per lo sforzo, gli occhi strabuzzati per tentare di nascondere l’odio. Uno, due, issa. Tre quattro, issa. Pioooo. E via, il problema che si avvia a una placida risoluzione: dov’ero prima uno tra tanti, in pochi attimi riuscii a restare solo. Per sempre amato, nonostante tutto, da una coppia neanche in grado di concepire il concetto aviario di un fraticidio.
Esistono nel contesto geografico del Nuovo Mondo parecchie decine di specie appartenenti alla famiglia dei cuculiformi, ma tra queste, solamente tre adottano la crudele prassi riproduttiva del parassitismo. La quale gli ha permesso, attraverso le generazioni, di poter superare la necessità di costruirsi da soli il nido. Pratico, semplice, efficiente: basta distrarre per un attimo la coppia di neo-sposi e mentre guardano da un’altra parte, proiettare il proprio nascituro in-guscio entro i confini della nursery sotto-dimensionata. Sto parlando, nello specifico, del cuculo fagiano (Dromococcyx phasianellus) il corridore pavonino (D. pavoninus) ed il protagonista della nostra notevole foto d’apertura, il mimetico striato (Tapera naevia) con areale andante dal Messico meridionale all’Argentina, per cui la selezione naturale sembrerebbe aver portato, oltre a quel crudele processo riproduttivo, anche il vantaggio di un notevole approccio al mimetismo. Essenzialmente la capacità di assomigliare in età giovane, come evidenziato da questa foto pubblicata per la prima volta un anno fa dall’utente di Reddit “thebigleobowski” che aveva soccorso il piccolo esemplare al confine con l’Argentina, a una splendida e perfetta pigna, caduta casualmente presso il luogo in cui potesse ricevere cibo e attenzioni genitoriali totalmente immeritate. E tutto il resto, come si usa dire su Internet, è (memetica) storia…

Leggi tutto