Ma come fa lo sport del badminton a superare i 400 all’ora?

Badminton

Le storie, i trionfi, i sacrifici, i piccoli e grandi drammi che costellano 4 anni di preparazione: ogni Olimpiade è un grande spettacolo che coinvolge a più livelli chiunque abbia la voglia, e il tempo, di lasciarsi coinvolgere dalla vicenda personale di questo o quell’atleta, aspirante protagonista indiscusso del suo sport. Ma come ogni volta precedente, essa costituisce pure la finestra su particolari discipline che gli sponsor e la televisione amano trascurare, a imprescindibile vantaggio del solito preponderante mondo del pallone. Chi non ricorda, ad esempio, nel 2010 e ’14, in occasione di Vancouver e Soči, l’improvviso nonché fugace interesse che ebbe a diffondersi su più livelli per l’insolita disciplina di origini scozzesi del curling, in cui la grande pietra scivolante viene spinta contro le altre e al centro del bersaglio, verso l’inseguimento di sfuggevoli medaglie senza pari… E nel 2020 a Tokyo, assai probabilmente, sarà il turno dello skateboard, per la prima volta lasciato assurgere a quel rango di primaria importanza che gli si confa, accanto al suo cugino snowboard già impiegato sui declivi nevosi degli eventi succitati. Ma che dire di questa corrente edizione di Rio de Janeiro, che attualmente sta avviandosi verso il suo ultimo coronamento? Quale “riscoperta” essa potrà lasciare nel subconscio collettivo di noi tutti esseri moderni, superficialmente, ma enfaticamente esperti di ogni cosa? Facendo un rapido giro di perlustrazione su Internet, non rimarrà alcun dubbio: il livello stratosferico della competizione, la presenza di atleti che sono gli indiscussi migliori praticanti mai vissuti, uniti all’insospettata spettacolarità di ogni aspetto rilevante di contesto, ha condotto sulla cima di questa ideale classifica quel BADMINTON ingiustamente trascurato per il resto dell’anno, che se soltanto gliene fosse data l’opportunità, raggiungerebbe facilmente il successo di pubblico della sua alternativa più famosa, l’eternamente replicato show della pallina gialla. Tennis dove la capacità di tirare forte, in determinate situazioni, può superare addirittura l’importanza dei riflessi e dell’abilità. Mentre sul campo molto più piccolo, quasi claustrofobico dell’alternativa, basta una flessione corretta del polso, un ottimo posizionamento, la prontezza di riflessi necessaria ad orientare in modo giusto il tiro, per lanciare una scheggia che supererebbe in accelerazione la locomotiva dell’Eurostar. Ecco di cosa stiamo parlando: il più veloce sport con le racchette che sia mai esistito, che esista attualmente, forse che potrai mai esistere. Da qui a un futuro privo di antigravità.
Prendete come riferimento questa partita del 2015 della versione a coppie, tra le due squadre pluripremiate di Lee Yong-dae / Yoo Yeon-seong (Corea) e Fu Haifeng / Zhang Nan (Cina) eterni rivali sopra i campi di mezzo mondo, i cui rispettivi atleti più famosi e primi citati per ciascun paese, costituiscono, allo stato dei fatti, rispettivamente il 1° è il 4° giocatore più quotato dell’intero scena globale. Qui ci trovavamo, per inciso, agli open di Danimarca, una delle nazioni che attualmente mantengono viva la fiamma del badminton, assieme all’intera area dell’Estremo Oriente, dove risulta essere in effetti alquanto popolare. Strana corrispondenza di regioni geografiche distanti! Da cui nascono…Scintille, vie di fuoco lungo l’aria immobile del campo rigorosamente al chiuso e privo di vento (la “pallina”, anzi il volano, qui è talmente leggero che un soffio basterebbe a invalidare il partita). Il video rilevante, fatto circolare nel corso dell’intera scorsa settimana con il titolo di “Scambi iper-veloci del badminton 2015” o “Questo sport è veramente straordinario [punto esclamativo]” mostra un momento del torneo in cui le controparti si sono sfidate in una serie di confronti al fulmicotone, tra il risuonar dei battiti e lo squittire delle calzature sul PVC. Ebbene sappiate che, nel momento in cui il volano attraversava la rete a seguito di ciascuno smash, esso sorpassava spesso i 300 Km/h. Niente male, per un pezzetto di sughero con 14-16 piume d’anatra nella sua parte posteriore, vero? “Soltanto” la cosa più veloce che abbia mai toccato una racchetta umana…

Leggi tutto

Questo liquido è il futuro della stampa tridimensionale

Carbon 3D

Strano, sibillino, surreale. Da una vasca di metallo emerge capovolta, dettagliata e ineccepibile, la riduzione color-fluo dell’arcinota Tour Eiffel. Giusto dall’altro ieri su di un palcoscenico gremito, la sua evocazione da una mera polla liquida, come Durlindana della scienza, sta già lanciando strali metamorfici a margine delle comuni aspettative sulla prototipazione-fatta-in-casa, quel processo futuribile ed innovativo che viene ad oggi definito stampa tridimensionale. Benché non abbia molto a che vedere con la tecnica inventata dal buon vecchio Gutenberg a suo tempo, tranne che l’effetto potenziale sulle regole del senso della società. L’intero reveal si presenta come uno strano sovvertimento della presentazione al pubblico di una novità tecnologica, che generalmente si svolge per gradi attentamente definiti, ovvero il lampo, il botto e poi la pioggia; mentre in questo nuovo temporale siamo a ancora a districare le innumerevoli implicazioni, palesate tutte assieme, all’improvviso, in un vortice che ha già cambiato gli orizzonti e le remote prospettive. Lunedì sera, come previsto da copione, il professor di chimica Joseph DeSimone, insegnante all’università di Stanford, è salito sul palco mobile della celebre serie di conferenze TED Talk, momentaneamente sito in quel di Vancouver, per parlare al mondo degli ultimi progressi fatti nel campo della nuova microindustria digitalizzata. Quello che il pubblico non si aspettava, e invero forse neanche una buona parte degli organizzatori, è stato il suo far fuoriuscire dal cilindro metaforico, oppur da sotto il telo tipico degli inventori, questo incredibile strumento. Un calderone senza eguali. Accompagnato dall’inevitabile seguito di una venture commerciale, nominata alquanto suggestivamente Carbon 3D.
E non è chiaro al momento in cui scrivo esattamente il perché (il video della presentazione non è stato ancora reso pubblico) né se l’idea azzeccata sia stata il frutto dell’inventore con la sua equipe, oppure il parto di uno dei giornalisti presenti all’occasione, ma l’oggetto è stato immediatamente abbinato ad un effetto speciale particolarmente celebre, tra i primi digitali ad aver fatto la storia del cinema di fantascienza: la maniera in cui l’attore Robert Patrick alias T-1000, nel film Terminator 2 – Judgement Day (1991, il tempo vola) poteva controllare il suo stato della materia fra le due prime alternative totalmente a piacimento, ad esempio rinascendo da una pozzanghera di metallo liquido dopo aver subito danni fisici anche considerevoli, tipo un paio di fucilate ad opera dello spietato Schwarzy. È un termine di paragone alquanto affascinante, innanzi tutto per la somiglianza estetica del processo, tramite il quale un liquido viene trasformato in forme solide riconoscibili, ma soprattutto per le immagini che evoca nella mente del pubblico, di un futuro tanto avanzato, nei fatti, da risultare quasi spaventoso. Una tecnologia così apparentemente priva di precedenti, quando arriva tanto all’improvviso, può in effetti suscitare un senso d’istintiva diffidenza, e già rimbalzano da un lato all’altro della blogosfera timide battute, del tipo: “Siamo sicuri che la stampante non possa riprodurre se stessa, sviluppando a un certo punto, per mera progressione quantistica, un’accenno di autocoscienza e…” Che la risposta giaccia all’altro capo della macchina del tempo, rivelazione certamente im-prevista di una prossima TED Talk?

Leggi tutto

1 10 11 12