In un territorio adiacente a quello che viene popolarmente definito come il “tetto del mondo”, la parte settentrionale del Pakistan può essere visivamente avvicinata ad un pianeta distinto, per la natura distintiva, la spettacolarità del paesaggio, l’entità impressionante dei dislivelli. Eppure scarsamente abitata, quasi del tutto sconosciuta ai turisti, la zona dell’amena valle del Gilgit-Baltistan con i suoi antichi villaggi e comunità montane compare raramente su Internet. Il tenore di taluni video ed il racconto di chi c’è stato, permette facilmente di comprenderne la ragione. Affermare che qui vige il regime di collegamenti limitati o difficoltosi non inizia neppure a descrivere l’effettiva situazione; zona amministrativa decentrata, incorporata nel già disputato Kashmir nell’annosa questione diplomatica con l’India, stiamo parlando di un luogo spesso sigillato dall’esercito e dove i limitati investimenti disponibili vengono generalmente veicolati nel campo della difesa. Così coloro che abitano le cosiddette “Aree Settentrionali”, i discendenti delle tribù turche Tarkhan che portarono la religione islamica nel subcontinente, sono abituati a vivere allo stesso modo in cui hanno fatto per molti secoli, sfruttando le risorse di remoti pascoli e spostandosi raramente da una comunità all’altra. Facendo l’utilizzo, quando necessario, di percorsi di collegamento la cui natura è totalmente e direttamente riconducibile all’originario modo di fare le cose. Ne risulta una palese ed evidente dimostrazione l’esperienza, così frequentemente documentata, della principale via d’accesso montana verso il villaggio di Thagas, noto come importante punto di scambio commerciale per comunità oggi non più esistenti, in cui i membri di talune famiglie si sono resi custodi o chowkidar di una fondamentale risorsa delle genti locali. Quella stessa strada costituita nella specificità dei fatti da un esempio notevole di kariz (termine locale) o qanat (nome in lingua persiana) o tecnologia di distribuzione idrica creata in base ai crismi metodologici del Medio Oriente. Un acquedotto scavato nella nuda roccia, se vogliamo, lungo la parete spiovente di una gola ripida creata da un distante fiume glaciale. A svariate centinaia di metri d’altezza, dove per necessità e convenienza, gli originali costruttori hanno incluso anche uno stretto spazio da percorrere, diventato col trascorrere dei secoli una meta favorita degli escursionisti. Difficile immaginare, a tal proposito, un tragitto da trekking più spettacolare ed oggettivamente spaventoso di questo…
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L’incomparabile minimalismo intermittente dei due ponti all’ombra del Karakorum
“C’è sempre di peggio a questo mondo. Almeno non è fatto di vetro, giusto?” Con un persistente senso di capogiro, volgi lo sguardo innanzi all’esperto viaggiatore che, per qualche ragione, ha scelto di farti guida in questo attraversamento infernale. L’amore per l’adrenalina dimostrato nello strano Luna Park cinese delle montagne dello Hubei compare brevemente nei tuoi ricordi, assieme alle immagini dei celebri arrampicatori dell’Est Europa in bilico presso il perimetro dei grattacieli. Certo, non può essere così terribile alla fine. Non stai partecipando allo Squid Game. Alzi gli occhi al cielo, quindi guardi nuovamente in direzione dei tuoi piedi. Grosso errore: c’è uno spazio di 30 centimetri circa tra la punta delle scarpe e il vuoto assoluto. Quindi almeno il doppio in termini di spazio negativo, prima che sia possibile poggiarsi nuovamente senza precipitare nel vuoto assoluto. “Guarda, se anche dovessi cadere, probabilmente non finiresti per farti così male. Di sicuro la corrente di porterebbe un po’ più a valle! Ma la gente del villaggio farebbe di tutto per tirarti a riva, te lo garantisco.” Grazie mille, oh misterioso connazionale che sembra avere il ghiaccio nelle vene e al tempo stesso, sulla base di notevoli esperienze pregresse, il Pakistan nel cuore. Con un rapido sospiro (che altro potresti fare?) Metti il piede destro oltre il balzo e sulla traversina successiva. Dovrai farlo soltanto altre 200 volte per poter dire di aver portato a termine la sfida. La superficie oscilla minacciosamente nel vento. Ma questa non è neppure la parte peggiore. Poiché è innegabile che dopo, in un modo o nell’altro, dovrai necessariamente tornare INDIETRO.
Antichissima è la storia degli insediamenti umani della valle di Gojal, una regione pedemontana che di trova situata all’ombra della seconda catena montuosa più elevata al mondo. E di sicuro, per le specifiche caratteristiche topografiche nonché la natura accidentata dei pochi sentieri disponibili, la meno abitata tra gli interi recessi dell’Asia meridionale. Eppure queste terre, nel corso dei secoli o persino millenni, sembrerebbero aver attratto le persone stolide, gli ostinati, coloro che volevano costruirsi un futuro possibile lontano dall’influenza dei grandi gruppi politici e religiosi. Costruttori di rudimentali case edificate con semplice pietra estratta localmente, capaci di trarre nutrimento dalla pastorizia e l’agricoltura praticate in condizioni di mera sussistenza. In luoghi come Passu, un villaggio attualmente abitato dai membri di 7 famiglie, le uniche rimaste dai fasti delle 300 anime qui situate fino al termine del XVIII secolo. Epoca in cui, come già successo in precedenza, il vicino fiume di Hunza sarebbe straripato a causa di piogge eccessivamente intense, portando la devastazione tra le dimore, i campi e frutteti di coloro che tanto avevano fatto e fino a tal punto avevano tribolato, al fine di facilitarsi per quanto possibile l’esistenza. Eppure, non tutti emigrarono, non tutti persero la speranza. Questo perché restava pur sempre possibile, armandosi di forte volontà ed il giusto senso di abnegazione, procurarsi le risorse necessarie commerciando coi borghi vicini. Ciò facendo affidamento su una rete di sentieri, ed attraversamenti fluviali, che neppure una catastrofe di grande portata avrebbe potuto spazzare via a discapito delle generazioni future. E del resto quale corrente, tra tutti le casistiche idrologiche, sarebbe occorsa per riuscire a scardinare un ponte che era già per il 50% privo di alcuna tangibile sostanza?
Il senso stesso della capra che ha (letteralmente) il ritmo della musica nel sangue
La “mucca per persone meno abbienti”, come veniva tradizionalmente soprannominata entro i confini del subcontinente ed oltre, avrebbe guadagnato una vera e propria dignità culturale nel Pakistan moderno soltanto successivamente al 2011, con l’istituzione del primo concorso dedicato grazie all’Università Agraria di Faisalabad. Diversamente da quanto avveniva in precedenza, con gli animali fatti competere in maniera secondaria nel corso di riunioni dedicate a bovini, ovini, cavalli. Occasione durante la quale oltre 700 esemplari furono valutati in base a bellezza, dimensioni, ubbidienza, produzione di latte e nel caso di una razza particolare, stile nella portare a termine la sfilata. Ciò in quanto nel paese confinante a sud con l’India, e soltanto in esso, figura la categoria del tutto creata dall’uomo di un tipo di quadrupede incline a mantenere la cadenza dei suoi passi ogni qual volta effettua spostamenti da un punto all’altro. Mentre fa oscillare in modo estremamente prevedibile la propria testa, coda e fianchi: non c’è grade differenza, in effetti, nel comportamento deambulatorio di queste creature rispetto a quello indotto negli equini durante le competizioni di dressage, tranne che in quel caso è compito del cavaliere dare inizio, continuità e fine ai passi di danza. Mentre per le capre Nachi, il cui nome in Urdu ed Hindi vuole dire letteralmente “Ballerina”, il ritmo è una condizione pura e semplice dell’esistenza, a tutti gli effetti l’unica maniera in cui possono vivere l’essenza pura e semplice dei propri giorni. Siamo qui al cospetto, volendo adottare un punto di vista oggettivo, ad una casistica piuttosto simile a quella delle capre miotoniche del Tennessee, selezionate tramite l’allevamento a partire dalla metà del XIX secolo proprio in funzione di un tratto genetico non necessariamente desiderabile, ma capace di renderle in qualche maniera contro-intuitiva interessanti, bizzarre o divertenti per l’uomo. Sebbene sia del tutto ragionevole affermare che lo svenimento di queste ultime nei momenti di eccitazione, caratteristica non del tutto inaudita in natura, possa in determinate circostanze risultare utile a scoraggiare o ingannare gli eventuali predatori. Mentre una delle loro cugine di quei lidi distanti, se lasciata in via del tutto ipotetica a se stessa, difficilmente potrebbe sopravvivere potendo fare affidamento sulle proprie limitate predisposizioni deambulatorie. Il che è d’altronde una visione del tutto ipotetica, quando si considera il valore rappresentato dagli esemplari puri di questa razza, detentori di una tecnica nel muovere le proprie zampe a tutti gli effetti senza pari, risultando impossibile da replicare altrove…
I rischi delle buste di plastica utilizzate per alimentare i fornelli pakistani
Essere pieni di risorse non è necessariamente una colpa: saper provvedere alla propria famiglia, traendo il meglio da una situazione problematica. Ricavare spunti di sopravvivenza quando tutto ciò che resterebbe è fare i conti con lo stato della situazione. E limitare le peggiori conseguenze di una sconveniente deriva. Ma è pur vero che le strade alternative, per loro implicita occorrenza, implicano un certo numero di rischi. E compromessi fatti con le Fate del destino, tessitrici insonni che determinano il corso degli eventi persino quando tutto ciò che viene fatto parte dai migliori presupposti. Se i crismi operativi sono collaudati dalla mera e inconfutabile necessità di Fare… Di più. Ed allora, è veramente giusto andare contro ogni comune e ragionevole regolamento e normativa di sicurezza? Sarebbe giusto rimanere al freddo e fare la fame, operando in senso contrario? Chiedetelo, se proprio volete saperlo, agli abitanti della Khyber Pakhtunkhwa, provincia settentrionale del Pakistan, che dallo scorso inverno hanno acquisito su Internet un tipo di fama imprevedibile e molto probabilmente indesiderata. Per la prassi nata dal bisogno di riuscire a procurarsi e trasportare privatamente un carico di alto valore nel modo più efficiente immaginabile. O più pericoloso immaginabile. Poiché una bombola non è soltanto un recipiente metallico riutilizzabile e per questo, il tipo d’investimento che si ripaga da solo. Bensì parte di una serie di processi industriali ben precisi, che comportano la compressione di un gas a molte volte la pressione dell’atmosfera, facilitandone la trasportabilità e stoccaggio all’interno di un’umana dimora. Laddove nel momento in cui si rinunciasse a tale approccio, una quantità per uso personale di quei fluidi risulterebbe molto più ingombrante. Ma anche, leggera. È il principio, a ben pensarci, del dirigibile nonché il principio di QUESTI dirigibili della lunghezza di due o tre metri, il diametro di uno, trascinati per la strada da bambini e adulti che ritornano con entusiasmo sulla via di casa. Poiché non c’è maggior soddisfazione di chi ha trovato il metodo per affrontare i casi della vita. E continua a viverla, imperterrito, scegliendo d’ignorare ciò che è fuori dal catalogo delle questioni risolvibili al momento. D’altra parte il tipo di sostanza al centro di questa nuova categoria di video virali non è il più incendiabile e comprimibile gas metano, bensì un tipo di miscela a base di propano e butano, chiamata LPG, non tossica, non corrosiva e priva del terribile piombo tetraetile, pur risultando altrettanto combustibile nel caso di scintille inopportune o colpi di calore improvviso. Il che non può prescindere da un certo numero di rischi, come esemplificato dagli almeno 7 incidenti registrati nel corso dell’anno nei pronti soccorso locali, tutti relativi a persone più o meno gravemente ustionate. Ma nessuna palazzina rasa al suolo perché come dicevamo, c’è ovviamente un limite alla compressione raggiungibile da un fluido entro la versione sovradimensionata di una busta per la spesa…