Corsi e ricorsi, il moto senza fine delle onde che si abbattono contro la spiaggia consumata… Una delle prime cose che si notano approcciandosi alla storia cinese, dopo aver studiato a lungo quella occidentale, è la sua notevole ciclicità. Attraverso il rincorrersi dei secoli, il possente Impero della Terra di Mezzo (Zhōngguó – 中國) è diviso, quindi unito, poi diviso nuovamente all’esaurirsi di una lunga Dinastia. Evento a cui fa seguito, regolarmente, un interregno in cui signori della guerra si combattono, nel tentativo spesso disperato di forgiare nuovamente il filo degli eventi. Ed è in questo contesto, senza falla, che discendono dalle montagne i calibri del Fato; essi sono, e vengono riconosciuti tali, gli uomini e qualche volta le donne investiti del potere di dirigere gli Eventi, grandi strateghi, guerrieri invincibili, saggi consiglieri e quando serve, spietati vendicatori. Impossibili da prevedere come un disastro naturale ed altrettanto investiti di un potere ineluttabile, poiché possiedono, all’interno del proprio stesso corpo ed anima, il potere stesso della Natura capace di renderli “immortali”. Ora se noi stessimo parlando di un paese e una cultura delle nostre, ciò sarebbe attribuito dagli storici coévi, interni a un simile sistema di valori, allo spirito fondamentale del Divino, la suprema Provvidenza o simili interventi di un potere superiore. Ma poiché le due maggiori discipline filosofiche native di quel mondo, Confucianesimo e Taoismo, s’interessano in maniera pressoché esclusiva delle nostre tribolazioni in Terra, non c’è niente di strano se una tale forza debba provenire da un qualcosa di materialmente tangibile e dotato di una consistenza riconducibile a materie prime commestibili. Il suo nome: Zhī (芝) un termine dal significato complesso che può indicare escrescenza minerale, infiorescenza di [pianta] crittogama o ancora e nella maggior parte dei casi, [cosa a forma di] fungo. Ma se aggiungi ad una simile parola l’ideogramma che significa “divino” (Ling – 靈) e provi a pronunciarli assieme dentro una moderna farmacia tradizionale cinese, nessuno avrà alcun dubbio che voi stiate riferendovi al Ganoderma lucidum, fungo parassita polivoro (che cresce a mensola sui tronchi) tipico delle foreste di pinacee Tsuga sia nel Vecchio che il Nuovo mondo, ma capace di riuscire a crescere in maniera particolarmente significativa nel clima tipico del Sud-Est della Cina.
Quanto, esattamente? Esistono leggende. Ma ancor meglio delle semplici parole, perché non prendere ad esempio il qui presente video di Tony del canale FreshCap Mushroom, che attraverso una filiera non esattamente chiara sembrerebbe essere venuto in possesso di un esemplare dalle dimensioni sufficientemente grandi a creare un intero esercito di Xian, gli eremiti illuminati che discendono dalla montagna. Dalle dimensioni paragonabili a quelle di un paravento ma il peso di appena 5 Kg, causa la totale disidratazione prima di raggiungere l’obiettivo delle telecamere del Web. Un oggetto tanto eccezionale che una guerra avrebbe potuto iniziare o cessare in epoca pre-moderna al solo fine di potersi accaparrare un tale ingrediente, in grado di prolungare una semplice vita umana per 5.000, o magari 11.000 anni…
scienza
Il vetusto retaggio dei 600 cubi atomici nazisti
A partire dall’inverno del 1944, il destino stesso del mondo fu precariamente appeso ad una sorta di lampadario, esposto all’interno dei sotterranei di una chiesa nello Hohenzollern , in quella che anticamente era stata la Prussia. Con centinaia, e centinaia di cubetti neri, dallo spigolo di 5 centimetri, dal sorprendente peso di 2,4 chilogrammi ciascuno, situati sopra un ingombrante cilindro di grafite, occasionalmente ricolmo di un liquido perfettamente trasparente. E sapete che cos’era quest’ultimo? Acqua, nient’altro che questo. Tuttavia riempita di deuterio in forma di ossido, a formare la versione cosiddetta “pesante” di quel dissetante fluido, verso l’ottenimento di una densità maggiore dell’11% del normale, assieme a proprietà biologiche, fisiche e chimiche di una diversa natura. E non credo neanche sia del tutto necessario specificare il materiale usato per l’arredo sopra descritto (uranio) né l’identità dell’uomo posto a supervisionare questo luogo con il camice da scienziato (il fisico Werner K. Heisenberg) perché sia possibile capire la portata drammatica del tipo di scoperte possibili in un simile laboratorio: poiché era ormai la fine della seconda guerra mondiale e proprio qui, in aggiunta ad altri due centri a Lipsia e Gottow, la Germania stava ricercando le applicazioni energetiche, e possibilmente belliche, della fissione nucleare. Come spesso avviene nel caso di simili propositi notevolmente avanti rispetto all’epoca vigente, tuttavia, la questione stava richiedendo un tempo più esteso del previsto, mentre giorno dopo giorno, il singolare reattore veniva posto in stato d’immersione, nella trepidante attesa di una reazione a catena che, per nostra e loro fortuna, non ebbe in alcun modo la maniera di realizzarsi. Questo perché, nonostante la misura di sicurezza di una ponderosa barra di cadmio da usare per l’assorbimento dei neutroni in caso di necessità, la quantità di radiazioni emesse in caso di successo sarebbe certamente bastata a condannare l’intero inconsapevole villaggio di Haigerloch.
E fu così che ad aprile del 1945, giungendo assieme all’esercito francese di liberazione presso questo luogo in un certo senso maledetto, un gruppo di persone molto speciali notò l’alto sperone di roccia sotto l’edificio ecclesiastico locale e soprattutto l’angusta caverna, attraverso cui gli scienziati tedeschi avevano fatto passare, al primo rischio dei bombardamenti alleati, la completa dotazione necessaria per la loro attività di ricerca. Sto parlando, nel caso specifico, dei membri dell’operazione Alsos, gestita di concerto da Stati Uniti e Inghilterra, finalizzata alla ricerca e l’acquisizione di tutte le attività atomiche in corso di realizzazione dai tedeschi. Naturalmente a quel punto, il premio nobel Heisenberg era già fuggito, a quanto si racconta pedalando energicamente sulla propria bicicletta, mentre portava in spalla uno zaino dalle dimensioni e il peso certamente significative. Stranamente cubico, nell’aspetto…
Romeo e Giulietta dell’eterna guerra tra corvi e gufi
Nella bella scena di un campo da golf senza nome, due antiche famiglie si combattono per i rancori delle rispettive stirpi. Dalla improvvida discendenza di costoro, due sfortunati amici ed impossibili amanti, le cui sventure con il sussurrato verso, tentano di emendare. Bianca quanto la neve da cui è solita trovare giovamento, Gufetta l’impossibile nell’ora del cupo vespro. Ed oscuro come l’ombra del mezzogiorno in cui è solito aggirarsi Romeo il corvo, le cui piume simboleggiano una decaduta nobiltà. “Che cosa c’è in un gracchiar di becco, Romeo? Ciò che siamo soliti sbranare con gli artigli ancora correrebbe nella sua tana, se smettessimo di chiamarlo Topo. Rinnega tuo padre, rinnega il tuo stormo. O se vuoi tienilo pure, ed io non sarò più una discendente della dea Noctua, signora delle ore successive al tramonto.”
Ma poesia non è poesia, senza uno sguardo approfondito al suo significato. E quello che questi occhi vedono, nella precisa circostanza, trova un utile commento del naturalista nella descrizione “Vogliono capirsi, vogliono colmare il vuoto. Lui tenta d’incalzarla, prima con fare minaccioso, quindi erige le sue piume sulle orecchie, chiaro segno di aggressività. Ma quando vede che lei non è impressionata affatto, china la testa, in quasi-segno di sottomissione. Qui è possibile capire che si è guadagnata, in qualche modo, il suo rispetto.” Insomma: non c’è vera passione, perché mai potrebbe, ma… Firmato: Bernd Heinrich, autore de “La mente del corvo”. Corvo uguale raven, ma non crow: perché appare chiara in questo caso la necessità di fare distinzioni. Laddove per la nostra lingua nazionale d’uso non scientifico, corvo è corvo e lì finisce tutto quanto, mentre i parlanti inglesi sono soliti distinguere tra i suddetti rappresentanti della specie cosmopolita Corvus corax e i diversi suoi cugini corvidi, tra cui C. ossifragus e C. corone, usando il primo termine piuttosto che il secondo. E ben più minaccioso può essere chiamato proprio lui, dal becco più grande e ricurvo, le dimensioni in media maggiori, la coda con la punta invece che a ventaglio. Mentre l’altro personaggio della scena è il Bubo scandiacus o gufo delle nevi, che visto il contesto assai probabilmente statunitense rende possibile collocare la scena nella parte settentrionale di quel paese ove la sua colorazione pallida può risultare un valido vantaggio per mimetizzarsi d’inverno. Ora che ella sua una femmina, nei fatti, è un semplice costrutto della mia immaginazione, benché l’approssimativa corrispondenza di dimensioni tra i due uccelli sembrerebbe confermarlo (i maschi dei corvi sono più grandi delle femmine, mentre nel caso dei gufi, vale generalmente l’esatto opposto) e del resto per quanto sappiamo, potrebbe aver lasciato confusi gli stessi due esponenti di specie tanto diverse. Ciò che possiamo d’altra parte riconfermare con assoluta certezza, è la natura fortemente insolita di tale circostanza, in cui nemici giurati per nascita sembrano godersi un breve attimo d’amicizia, dimenticando gli antichi rancori ereditati assieme al sangue dei propri stessi genitori. Risulta infatti straordinariamente raro, non soltanto vedere gufi & corvi che coesistono all’interno dello stesso territorio, ma la scena di un rappresentante della nera specie gracchiante che corre il rischio di avvicinarsi a un esponente della controparte, generalmente assai più grande e forte, senza la copertura protettiva del suo intero gruppo della sua posse o gang che incombe, possibilmente dall’alto. Ed infinite, nonché altrettanto terribili, appaiono da tempo immemore le scene in cui questi due ordini s’incontrano, spesso culminanti con la fuga o in alternativa, addirittura la tragica morte della progenie rapace del cielo notturno. Ma chi può dire cosa potrebbe realmente succedere, nell’ipotetica ed improbabile casistica di un vero sentimento romantico tra un giovane Romeo, nero combattente, ed il gufo alato oggetto del suo proibito amore…
L’ape che diventa più felice nel suo sigaro segreto
Un oggetto la cui origine non è del tutto chiara: chi ha creato questo tubo, di una foglia arrotolata su se stessa, con un tappo frutto della stessa clorofilla ed un qualche insolito “ripieno”? Dieci, quindici ne ho messi sopra il tavolo. E quando con mano curiosa ne avvicino uno, che sorpresa! Esso è vivo, riesce a muoversi, davvero! Come se un’insolito RONZIO, cui fa seguito con BRIO, il semplice accenno di un BRUSIO, d’ape. Ape-ape, veramente, di cui appare un’esemplare, per ciascuna capsula degna di un’opificio, ove producano l’esportazione maggiormente rappresentativa dell’Isla de Cuba. Insetti, ottimi artigiani. Specialmente se dell’ordine degli imenotteri, il cui istinto e splendida capacità creativa rientrano tra i più grandi misteri della natura. Più delle piramidi, più di Stonehenge, di Re Artù e dell’Area 51; chi ha potuto “programmare” tali piccole creature, insegnargli il modo di approntare l’universo inconoscibile dell’alveare… Ma togli un’ape dalla sua comunità, come potrebbe sopravvivere… Da sola? Ah, non siamo certo qui riuniti per parlare, di formiche! Poiché esiste una famiglia intera di questi esseri, chiamata Megachilidae, per cui la solitudine è un semplice assunto del quotidiano. Il che non preclude la precisa costruzione di una soluzione abitativa Degna. Abbiamo in effetti parlato in precedenza, e forse vi ricorderete l’articolo, dell’ape blu dei frutteti o ape blu muratrice, della quale sono qui tornato per farvi conoscer la cugina.
Oh, Megachile rotundata! Sorgi quindi dal profondo del tuo tubo. Grazie alle mandibole sporgenti o vere e proprie labbra (χείλος) da cui prendi il nome, caratteristica primaria della tua genìa. É più o meno verso giugno, d’altra parte, quando il contadino o giardiniere (qualche volta complice) può avvistare sulle foglie delle proprie piante uno specifico ritaglio dalla forma circolare. Che potrebbe ricordare il pasto di un bruco, se non fosse per il piccolo dettaglio che neanche l’ombra di una simile creatura sia presente nei dintorni. Finché dinnanzi a quello sguardo attento, non compaia all’improvviso la presenza di una piccola cosa volante, di colore grigio scuro ma dotata di sottili strisce biancastre, con un lampo verde stretto tra le piccole zampette distruttrici; ecco, dunque lei. Non intesa come lei/l’ape, solamente, bensì in quanto esemplare propriamente di sesso femminile, tra i due di questa specie dall’evidente dimorfismo sessuale (il maschio è sensibilmente più piccolo) intenta nella fondamentale raccolta del suo materiale da costruzione preferito.
Quel che segue, come si usa dire, è lo stagionale compiersi di una leggenda straordinariamente iterativa…